C'era poca gente nel Parco della Pace. Il
prato, piatto e verde, si stendeva per diversi ettari, con qualche macchia di
cipressi qua e là, fino al bordo dell'alta scogliera che dava su un mare
perennemente mosso, le cui onde si frangevano fragorosamente contro scogli neri
e aguzzi, simili ai denti di un preistorico mostro marino.
Il sole era alto e le lenti incorporate
dell'uomo si scurirono ancora di più quando varcò la soglia del parco e lo
scintillare dei piccoli obelischi di cristallo che costellavano il tappeto
erboso si riversò su di lui come una cascata luminosa.
Lajos Dritan si arrestò un momento, come
intimidito da quelle saette luminose che lo investivano. Gli succedeva sempre
quando veniva in quel luogo, anche se ormai ci veniva molto raramente e solo
quando qualche cosa lo tormentava nel profondo.
Come oggi.
Un profondo sospiro e mosse un passo in
avanti, rompendo quella specie di trance che l'aveva colto nell'attimo in cui
varcava il portale d'ingresso.
Trovò subito l'obelisco che cercava e che
non era molto distante dal punto d'entrata. Un obelisco di un cristallo
azzurrino, la cui tinta si fece sempre più accentuata a mano a mano che si
avvicinava. Quando fu davanti, a un passo di distanza, l'azzurro si era
trasformato in un blu cobalto intenso.
- Sono qui, papà – disse l'uomo.
L'azzurro dell'obelisco palpitò come un
cuore che riprende a pulsare dopo essere rimasto fermo per un'eternità. Il
cristallo stesso prese a vibrare leggermente e l'aria attorno parve caricarsi
di elettricità.
- È tanto tempo che non vieni, figlio mio
– risuonò il cristallo. – Che cosa ti conduce qui?
Lajos non rispose subito e la sua mente
vorticò freneticamente alla ricerca di una risposta qualsiasi, perché non era
ancora giunto il momento di affrontare la vera questione per cui era venuto fin
lì.
- Un rimorso, papà – rispose alla fine e
mentre pronunciava quelle parole sapeva che non era vero, che un altro era il
problema.
La voce sintetizzata del cristallo parlò
in tono dolce, il tono di un padre che blandisce il figlio piccolo. – Non
potevi fare altro, Lajos. Ne abbiamo già discusso altre volte, non ricordi? Non
avrei mai dovuto pretendere che mio figlio stesso ponesse fine alla mia vita.
- La maledizione degli immortali – sussurrò
Lajos. – Questa è la maledizione che ci accompagna per avere osato sfidare le
leggi della natura. Eppure tutto sembrava così bello, radioso.
L'aria attorno all'obelisco crepitò come
se le cariche elettriche si fossero fatte più intense. – Sconfiggere la morte è
stata non la vittoria dell'uomo, ma la sua sconfitta – disse il cristallo. –
Anch'io da giovane lo pensavo, poi, col passare degli anni, col carico dei
ricordi, con la fatica di vivere, ho desiderato che si potesse tornare
indietro, a un tempo lontano in cui un giorno ci si abbandonava al sonno
eterno.
Ci fu una lunga pausa. Un silenzio
prolungato. in quel momento Lajos avrebbe voluto dire tante cose, eppure anche
una sola parola gli sarebbe costata una fatica immane.
La maledizione degli immortali. Si,
vivere da immortali era una maledizione, non la cosa meravigliosa a cui tutti
avevano applaudito trecento anni prima, quando per la prima volta, in un
misconosciuto laboratorio asiatico, era stata sintetizzata la proteina che dava
l'immortalità.
- A cosa pensi, figlio mio? – chiese il
cristallo.
Un nodo alla gola impedì a Lajos di
rispondere. Ricordava ancora con tremenda sofferenza il giorno, cinquant'anni
prima, in cui suo padre gli aveva detto con voce stanca di non volere più
vivere. E l'aveva chiesto a lui, a Lajos, suo figlio, perché Lajos era forse
l'unico uomo della terra che avesse il tocco. Il tocco dell'oblio eterno. La
capacità soprannaturale di invertire il processo di immortalità di un uomo e
fare sì che nell'arco di di pochi minuti sopraggiungesse la morte naturale.
- Non ne sono stato capace, papà – disse
con voce tremante. – Non potevo farlo. Non con te. No.
Il cristallo vibrò intensamente, come se
vivesse di emozioni proprie e l'aria crepitò di nuovo di scariche intense, così
forti che raggiunsero un gruppo di gabbiani che in quel momento sorvolavano il
prato, provenendo dalla scogliera, e li fecero deviare bruscamente in altra
direzione.
- Così non mi è rimasta altra soluzione
che incapsulare la mia mente in questo cristallo dove se non altro può riposare
nell'oblio da cui viene risvegliata solo quando mi raggiunge un visitatore –
disse la voce dal cristallo e c'era un tono non tanto di sofferenza, quanto di
stanchezza in essa.
Per un immortale che trovava immane il
peso della vita non c'erano molte soluzioni, pensò Lajos con tristezza. O si
suicidava con qualche sistema cruento che non offriva ai medici la possibilità
di rimediare con interventi risanatori, o sceglieva la via dell'oblio eterno,
incapsulando la mente in un obelisco di cristallo nel Parco della Pace. Ma
pochi avevano il coraggio di affrontare un suicidio cruento e crudele come la
decapitazione o la cremazione. Così quasi tutti sceglievano la via dell'oblio.
O il tocco di Lajos.
Ricordava ancora con chiarezza la prima volta
in cui si era reso conto del potere che disponeva. Un vecchio, vecchio di età,
ma giovanile d'aspetto, l'aveva supplicato di procurargli la morte, perché lui
non aveva il coraggio di farlo da solo. Ma Lajos era un medico, non avrebbe mai
potuto uccidere una persona in perfetta salute e non l'aveva fatto. Si era
limitato a posargli una mano su un braccio e a sussurrargli: - Non posso.
Vorrei tanto porre fine alle tue sofferenze, ma non posso farlo. Se solo
potessi annullare questa maledizione dell'immortalità questo sì che lo farei
immediatamente. – E in quel momento lo desiderò con tutte le sue forze.
Un istante dopo aveva visto quel corpo
giovanile, invecchiare di colpo, accelerando il processo di secondo in secondo,
finché nel giro di cinque-dieci minuti al massimo aveva avuto di fronte a sé un
vecchio grinzoso e canuto che si era afflosciato al suolo e con un sorriso di
beatitudine sulle labbra era spirato.
- Un potere terribile e grandioso il tuo
– disse la voce del padre, come se questi gli avesse letto nel pensiero.
Sì, terribile e grandioso, davvero. Un
potere a cui ricorreva un numero sempre maggiore di immortali. Un potere che
dava la possibilità ad altri uomini di sfuggire alla maledizione della vita
eterna, quando il peso dei ricordi, dei rimorsi, dei tormenti si faceva
insopportabile.
- Procuri la pace a tante persone – disse
il cristallo. – Dovresti essere felice di questo.
- Ma non lo sono! – gridò Lajos con voce
strozzata – io sono un medico, dovrei portare la vita, non la morte. Non sopporto
più questo peso, non posso continuare a fare questo. Ogni volta provo una
tensione sempre più insopportabile. Credevo di fare la cosa giusta all'inizio,
anzi ne sono ancora convinto, ma ciononostante dare la morte mi è
insopportabile.
- Tu non dai la morte, figlio mio – lo
contraddisse il cristallo. – Tu riporti solo la natura sul suo percorso
naturale. La morte non è un accidente della vita, ma è la sua conclusione
naturale, è l'immortalità il fattore estraneo, il peccato d'orgoglio dell'uomo,
che ha finito per procurare la sua stessa infelicità.
Il blu del cristallo palpitò come per
esprimere un'emozione intensa.
- Non puoi abbandonare questa tua
missione – disse ancora il cristallo. – Tu puoi risparmiare dolori e
sofferenze.
Era vero, pensò Lajos. Ma questo non gli
era di consolazione. Sarebbe stato meraviglioso ritornare a essere un medico
come erano i medici di un tempo, quelli di cui parlavano i libri di storia. I
medici che facevano nascere i bambini, che portavano un soffio di vita nel
mondo. Ma non nascevano più bambini adesso. E così, alla lunga la razza umana
si sarebbe estinta e di essa sarebbero rimasti per l'eternità solo i cristalli
del Parchi della Pace e le loro anime immerse nel sonno dell'oblio.
- Non ho scelta allora? – chiese Lajos.
In quel momento si sentì di nuovo il figlio che, da piccolo, correva a chiedere
consiglio al padre, quel padre che saldo come una roccia aveva sempre una
risposta a tutti i suoi dubbi e le sue paure.
- Temo di no, figlio mio – rispose il
cristallo. – Ognuno di noi ha o ha avuto una funzione in questo mondo e la tua
è di procurare sollievo alla gente che soffre. In fondo è proprio questa la tua
missione di medico. Un medico cura e risana, ma deve anche porre fine alle
sofferenze. E tu puoi farlo. Devi farlo.
- Anche se costa sofferenza a me, papà –
disse Lajos tra le lacrime.
Aveva fatto bene a venire al Parco della
Pace. Ancora una volta suo padre aveva saputo offrirgli il consiglio giusto.
Ora doveva seguirlo.
In futuro è prevista qualche nuova antologia cartacea?
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