1.
Con addosso un vecchio maglione e un
paio di jeans sdruciti, l’uomo entrò nel locale grattandosi vivacemente una
guancia. Si guardò per un attimo intorno, poi andò a sedersi su un alto
sgabello e batté con violenza la mano sul bancone.
Il barista, girata la testa di scatto,
fissò il nuovo arrivato con occhi torvi.
«Fuori di qui!» ringhiò poco dopo.
L’uomo non parve scomporsi.
«Un bicchiere di rum,» disse
tranquillamente, sostenendo lo sguardo dell’altro.
«Fuori di qui,» ribadì il barista
sporgendo il viso verso di lui. «Non farti più vedere.»
Riuscì a stento a trattenere l’impulso a
spaccargli il muso.
«Non vado in cerca di guai, Berto,»
l’uomo disse. «Voglio soltanto un bicchiere di rum. Non mi sembra di chiederti
troppo.»
Il barista serrò le mascelle, poi sbuffò
con veemenza come una belva furiosa. Infine poggiò i suoi pugni sul piano del
bancone.
«È così ogni volta,» fece. «Ti siedi e
chiedi un bicchiere di rum, o di cognac, o di whiskey, o chissà di cos’altro…
Non ti ho mai veduto trarre denaro dalle tasche.»
«Ti pagherò, stanne certo.»
«Pagarmi tu?! È da un po’ che lo vai
ripetendo. Una canzone, la tua,
piuttosto vecchiotta, non ti pare?»
«Ti pagherò, dannazione!» l’altro disse,
e si passò con asprezza la mano sulle labbra. «In questo momento, lo confesso,
sono a corto di denaro, ma prima o poi ti darò tutto quello…»
«Fuori di qui!» lo interruppe il barista
digrignando. «Non voglio sentire mai più la tua voce né, tanto meno, vedere la
tua faccia. Mi sono spiegato?»
«Farò in modo che tu non la veda, Berto.
Dammi solo un bicchiere di rum, poi me ne andrò. Te lo giuro.»
Il barista rimase in silenzio. Si grattò
per un po’ tra i folti capelli che cominciavano a incanutire, specialmente alle
tempie.
«Un bicchiere di rum, hai detto?»
«Uno solo, sì!»
«Uno solo, eh?»
«Sicuro!»
«Dovrai guadagnartelo.»
«E va bene! In fondo è da un pezzo che
cerco lavoro.»
«Davvero?»
«Magari potessi darmelo tu!»
«Vediamo,» fece il barista. Lo sguardo
assorto, si massaggiò lentamente la nuca col palmo della mano. «Qualcosa per te
ce l’avrei.»
«Sul serio?»
«Vieni con me nel retrobottega.»
«Prima il bicchiere di rum.»
«Dopo!»
«No, subito!»
Per qualche secondo il barista lo guardò
con rabbia, poi alzò leggermente le spalle in segno di resa.
«D’accordo, ubriacone!» disse anche.
Glielo versò.
L'uomo bevve d’un fiato. Si asciugò le
labbra col dorso della mano.
Berto chiamò una giovane inserviente.
«Sostituiscimi al bancone,» le disse.
Quindi, rivolto all’uomo: «Seguimi.»
2.
Il retrobottega era un ampio locale
piuttosto in penombra. Tale rimase anche quando fu accesa la sola lampadina che
pendeva, ricoperta da un denso strato di polvere, dal basso soffitto.
Dovunque vi erano casse, bottiglie
vuote, sedie e tavolinetti sgangherati, nonché cianfrusaglie di vario genere.
Sembrava un cimitero di oggetti vecchi, del tutto inservibili.
Vi si respirava un’aria opprimente,
viziata, dal forte odore di muffa.
«Come puoi vedere,» minimizzò il barista
incrociando sul petto le braccia robuste, «c’è un po’ di disordine qui dentro.
Non devi far altro che mettere a posto ogni cosa. Un lavoretto piuttosto
semplice: roba da niente, insomma!»
In un primo momento l’uomo non rispose.
Con la fronte aggrottata si limitò a volgere gli occhi tutt’intorno.
«È un lavoraccio, altroché!» disse alla
fine. «Come puoi affermare che è roba da
niente? C’è da spezzarsi la schiena per mettere ordine in questo porcile.» Fece una smorfia grottesca con
le labbra. «Mi ci vogliono ore di estenuante fatica, senza considerare…»
«Non farla lunga,» lo interruppe il
barista. «Saprò compensarti come si deve. E poi di là ho qualcosa che ti sarà
di grande aiuto.»
Avanzò nella parte più buia del
retrobottega facendosi largo tra l’ingombrante ciarpame. L’uomo lo seguì come
un’ombra, continuando a girare lo sguardo dappertutto. Dal suo viso non
traspariva il minimo entusiasmo.
«Ecco qua,» disse Berto indicando con
mano quello che parve, a prima vista, un cumulo informe di ferraglie.
«Che cos’è?» l’altro chiese, dopo aver
osservato per un momento quell’ammasso metallico.
«Diavolo! È una tuta robotica: nuovo
modello, il più costoso e sofisticato fra tutti.»
«Questa cosa sarebbe… una tuta robotica?» fece l’uomo, incredulo.
«Te l’ho detto, no? Hai mai visto
qualcosa di simile prima di adesso?»
«Una volta ne ho vista una, sicuro!»
l’altro rispose annuendo. «Non ho avuto però l’occasione di metterla addosso.»
Il barista sorrise e alzò leggermente le
spalle.
«In tutte le cose c’è sempre la prima
volta,» disse. «Oggi avrai finalmente quella occasione. Non appena constaterai la grande efficienza della tuta,
non potrai fare a meno di lavorare, in futuro, senza una di esse.»
«Ma… ma non so come usarla!»
«Credi che abbia importanza?»
«Come sarebbe?»
«Farà tutto la tuta, sta’ tranquillo.»
«Tutto
la tuta? Che vuoi dire?»
«Tu devi soltanto indossarla. Nient’altro!
Sarà un giochetto da ragazzi, vedrai.»
L’uomo sembrò assai titubante. Rimase
fermo a guardare l’oggetto con una certa diffidenza.
«Allora,» lo incitò il barista, «che
aspetti? Una volta lì dentro dovrai soltanto decidere il da farsi. Ti assicuro
che quell’affare agirà autonomamente…
Mi spiego meglio… Vedi quella grossa cassa laggiù?» E alzò la mano a indicarla.
«Basta che pensi: ora l’afferro con le
braccia e la sposto a sinistra… Ebbene, la tuta farà ogni cosa
immediatamente, senza il minimo sforzo da parte tua.» Fece una pausa, si chinò
in avanti e batté le nocche della mano sull’informe ammasso di metallo: «È
tutta in acciaio, ma molto leggero, malleabile. Le sue braccia, però, riescono
a sollevare decine e decine di chili… Il tuo sarà un lavoro per nulla faticoso,
te lo garantisco. Lo farei volentieri io stesso, ma di tempo purtroppo non ne
ho abbastanza. Su, avanti, che aspetti ancora?»
«Ecco… io… veramente non so… non…»
A causa della ritrosia dell’uomo, Berto faticò non poco per persuaderlo
a indossare la tuta. E quando quegli alla fine vi fu dentro, il barista gli
diede precise istruzioni.
«Le bottiglie vanno da un lato; le casse
dall’altro. Le cianfrusaglie, invece, devi ammucchiarle fuori in cortile. Vi si
accede da quella piccola porta di ferro. Passerà qualcuno, più tardi, a
portarle via con un furgone… In meno di un’ora dovresti avere finito… Allora,
cosa mi dici?»
«Che farò del mio meglio, accidenti!» Si
sputò due volte sulle mani, che sfregò energicamente l’una con l’altra. «Farò
del mio meglio, puoi contarci!»
«Bene!» disse Berto il quale, dopo aver
aiutato l’uomo a indossare la tuta e averla con cura predisposta all’uso, tornò
nel locale a servire i clienti.
3.
La tuta robotica aveva l’aspetto di uno
scafandro con tanto di casco, i cui fili interni di vario colore erano stati
applicati, mediante piccole ventose, alla fronte e alle tempie dell’uomo.
Attraverso di essi il cervello avrebbe trasmesso impulsi precisi agli arti di
acciaio della tuta, determinandone i movimenti.
A tutta prima l’uomo si sentì a disagio,
goffo, non sapendo come avviare quello strano congegno che, per quanto
complesso e ingombrante, sulle sue spalle pesava poco.
Superò l’iniziale impaccio nell’attimo
in cui ricordò che bastava pensare al da farsi perché la tuta agisse da sola,
come fosse dotata di vita o impulsi propri.
«Speriamo che sia davvero così,» fece
l’uomo tra sé, «proprio come mi ha detto il barista.»
Quindi dalle parole passò ai… pensieri.
Voglio
avvicinarmi a quel mucchio di casse laggiù.
Immediatamente, con suo grande stupore,
sentì la tuta mettersi in movimento. Dopo pochissimi istanti egli giunse – trasportatovi letteralmente – nel punto desiderato.
«Funziona, funziona! Accidenti se
funziona!» disse tra sé esultando. «Dunque era vero, non mi aveva mentito quel
lurido bastardo… Ma cerchiamo di fare alla svelta. Prima finisco, meglio è. Mi
sembra di stare in un forno qui dentro. Comincia a far caldo, maledizione!»
Tutte
le casse vanno a sinistra, una sull’altra…
La tuta eseguì, in modo perfetto, quello
che l’uomo aveva pensato.
Le
bottiglie sul lato opposto.
Fu fatto anche quello.
Dopo appena dieci minuti, casse e
bottiglie erano con esattezza dove il barista voleva che fossero messe.
Per un istante, l’uomo rimase a
osservare ogni cosa immensamente soddisfatto. Bisognava ora portare in cortile
le varie cianfrusaglie, e per farlo ci volle più tempo.
Dopo un’altra mezzora di lavoro, l’uomo – stando ancora all’interno della tuta – ebbe la sensazione che il caldo
aumentasse continuamente, fino a diventare rovente, insopportabile.
A un certo punto gli parve di avvampare,
come neppure in un forno durante l’estate più torrida. Il sudore gli scorreva
sul viso e lungo la schiena a rivoli sottili, gli entrava negli occhi bruciando
terribilmente. Ma come strofinarli? Non lo poteva nel modo più assoluto, per
via dei guanti e del casco integrale.
«Devo subito uscire da questo
marchingegno,» disse l’uomo tra sé in tono convulso. «Mi manca il respiro…Non
resisto… Non resisto, maledizione! Soffoco… soffoco…»
Dopo molti e infruttuosi tentativi di
levarsi la tuta di dosso, provò a gridare, a chiedere aiuto, ma ebbe la netta
impressione che la sua voce non superasse le spesse pareti del casco che, nella
parte anteriore, era munito di vetro, anch’esso di grande spessore.
Decise, allora, di entrare nel bar,
sperando che qualcuno – magari lo
stesso Berto – lo aiutasse a uscire
da quella che ormai gli pareva una trappola infernale.
Entra
lì dentro, presto, che tu sia maledetta!
pensò l’uomo con rabbia e apprensione nello stesso tempo.
La tuta si mosse prontamente, come
sempre ubbidendo agli impulsi del suo cervello. Ma dopo un paio di passi si
bloccò ed emise una specie di gemito. Poi prese a sfrigolare e il suo interno
fu subito invaso da un fumo giallastro, denso, e da un forte odor di bruciato.
«Mio Dio, che succede?» si chiese l’uomo
in preda al panico più spaventoso. «Dannazione, sto arrostendo… muoio… salvatemi…»
Immaginò che il proprio sudore avesse
provocato un cortocircuito – o
chissà quale altra diavoleria – e,
di conseguenza, un principio di incendio. L’interno della tuta, infatti, era
tappezzato di fili e materiale altamente infiammabile.
«Dannazione!» esclamò di nuovo. «Mille
volte dannazione!»
D’istinto si scosse, sussultò, contrasse
i muscoli del petto, delle braccia, cercando disperatamente di uscire da quel catenaccio. Gridò con tutto il fiato che
aveva, sperando che qualcuno riuscisse a sentirlo…
Fu inutile.
Allora, egli ebbe la certezza che presto
sarebbe morto… per colpa di una dannata tuta robotica. Ciò nonostante non si
arrese. In un estremo tentativo di ribellione, gridò, bestemmiò, tornò a
gridare più forte, a bestemmiare… ma col risultato di empirsi inevitabilmente i
polmoni di fumo. Tossì più volte con violenza, mentre le lacrime gli sgorgavano
dagli occhi appannandogli la vista.
«Devo uscire… devo… devo uscire…» disse,
al culmine del parossismo.
Furono, quelle, le sue ultime parole.
A un tratto la tuta si accartocciò su se stessa con tale violenza che l’uomo,
all’interno, ne restò schiacciato. Quindi cadde pesantemente sul pavimento.
4.
Dopo più di un’ora, Berto il barista
tornò nel retrobottega, sperando trovarlo perfettamente in ordine, con tutti
gli oggetti al posto che lui aveva indicato.
Il sorriso si spense sulle sue labbra
quando sul pavimento, poco dopo la porta di ingresso, vide la tuta robotica
orribilmente deformata.
Capì all’istante cos’era successo.
Serrò le mascelle e sbuffò di rabbia.
Infine, con la punta del piede toccò quell’ammasso informe e ancora fumante di
metallo.
Si grattò contrariato fra i capelli.
Poi, dopo un breve sospiro:
«È successo di nuovo, maledizione!
Ancora una volta il sistema refrigerante non ha funzionato… l’ennesimo idiota è
rimasto schiacciato dalla tuta… L’ho
sempre detto, io, che non c’era da fidarsi minimamente di questi aggeggi. E pensare che ho sborsato
parecchio denaro per acquistare questa dannata tuta! Mi toccherà ripulirla da
ciò che rimane di quell’ubriacone, quindi dovrò nuovamente farla riparare.
Altro denaro da spendere, come se io ne avessi da buttare.» Rimase un istante
in silenzio crollando la testa, poi riprese: «Funzionerà come si deve questo strumento diabolico? Sono curioso di vedere se qualcuno, prima o poi, riuscirà a non
rimetterci la pelle. Ne dubito fortemente.»
Scosse la testa desolato.