sabato 16 agosto 2025

UN LAVORETTO PIUTTOSTO SEMPLICE di Paolo Secondini

 


1.

 

Con addosso un vecchio maglione e un paio di jeans sdruciti, l’uomo entrò nel locale grattandosi vivacemente una guancia. Si guardò per un attimo intorno, poi andò a sedersi su un alto sgabello e batté con violenza la mano sul bancone.

Il barista, girata la testa di scatto, fissò il nuovo arrivato con occhi torvi.

«Fuori di qui!» ringhiò poco dopo.

L’uomo non parve scomporsi.

«Un bicchiere di rum,» disse tranquillamente, sostenendo lo sguardo dell’altro.

«Fuori di qui,» ribadì il barista sporgendo il viso verso di lui. «Non farti più vedere.»

Riuscì a stento a trattenere l’impulso a spaccargli il muso.

«Non vado in cerca di guai, Berto,» l’uomo disse. «Voglio soltanto un bicchiere di rum. Non mi sembra di chiederti troppo.»

Il barista serrò le mascelle, poi sbuffò con veemenza come una belva furiosa. Infine poggiò i suoi pugni sul piano del bancone.

«È così ogni volta,» fece. «Ti siedi e chiedi un bicchiere di rum, o di cognac, o di whiskey, o chissà di cos’altro… Non ti ho mai veduto trarre denaro dalle tasche.»

«Ti pagherò, stanne certo.»

«Pagarmi tu?! È da un po’ che lo vai ripetendo. Una canzone, la tua, piuttosto vecchiotta, non ti pare?»

«Ti pagherò, dannazione!» l’altro disse, e si passò con asprezza la mano sulle labbra. «In questo momento, lo confesso, sono a corto di denaro, ma prima o poi ti darò tutto quello…»

«Fuori di qui!» lo interruppe il barista digrignando. «Non voglio sentire mai più la tua voce né, tanto meno, vedere la tua faccia. Mi sono spiegato?»

«Farò in modo che tu non la veda, Berto. Dammi solo un bicchiere di rum, poi me ne andrò. Te lo giuro.»

Il barista rimase in silenzio. Si grattò per un po’ tra i folti capelli che cominciavano a incanutire, specialmente alle tempie.

«Un bicchiere di rum, hai detto?»

«Uno solo, sì!»

«Uno solo, eh?»

«Sicuro!»

«Dovrai guadagnartelo.»

«E va bene! In fondo è da un pezzo che cerco lavoro.»

«Davvero?»

«Magari potessi darmelo tu!»

 «Vediamo,» fece il barista. Lo sguardo assorto, si massaggiò lentamente la nuca col palmo della mano. «Qualcosa per te ce l’avrei.»

«Sul serio?»

«Vieni con me nel retrobottega.»

«Prima il bicchiere di rum.»

«Dopo!»

«No, subito!»

Per qualche secondo il barista lo guardò con rabbia, poi alzò leggermente le spalle in segno di resa.

«D’accordo, ubriacone!» disse anche.

Glielo versò.

L'uomo bevve d’un fiato. Si asciugò le labbra col dorso della mano.

Berto chiamò una giovane inserviente.

«Sostituiscimi al bancone,» le disse. Quindi, rivolto all’uomo: «Seguimi.»

 

 

2.

 

Il retrobottega era un ampio locale piuttosto in penombra. Tale rimase anche quando fu accesa la sola lampadina che pendeva, ricoperta da un denso strato di polvere, dal basso soffitto.

Dovunque vi erano casse, bottiglie vuote, sedie e tavolinetti sgangherati, nonché cianfrusaglie di vario genere. Sembrava un cimitero di oggetti vecchi, del tutto inservibili.

Vi si respirava un’aria opprimente, viziata, dal forte odore di muffa.

«Come puoi vedere,» minimizzò il barista incrociando sul petto le braccia robuste, «c’è un po’ di disordine qui dentro. Non devi far altro che mettere a posto ogni cosa. Un lavoretto piuttosto semplice: roba da niente, insomma!»

In un primo momento l’uomo non rispose. Con la fronte aggrottata si limitò a volgere gli occhi tutt’intorno.

«È un lavoraccio, altroché!» disse alla fine. «Come puoi affermare che è roba da niente? C’è da spezzarsi la schiena per mettere ordine in questo porcile.» Fece una smorfia grottesca con le labbra. «Mi ci vogliono ore di estenuante fatica, senza considerare…»

«Non farla lunga,» lo interruppe il barista. «Saprò compensarti come si deve. E poi di là ho qualcosa che ti sarà di grande aiuto.»

Avanzò nella parte più buia del retrobottega facendosi largo tra l’ingombrante ciarpame. L’uomo lo seguì come un’ombra, continuando a girare lo sguardo dappertutto. Dal suo viso non traspariva il minimo entusiasmo.

«Ecco qua,» disse Berto indicando con mano quello che parve, a prima vista, un cumulo informe di ferraglie.

«Che cos’è?» l’altro chiese, dopo aver osservato per un momento quell’ammasso metallico.

«Diavolo! È una tuta robotica: nuovo modello, il più costoso e sofisticato fra tutti.»

«Questa cosa sarebbe… una tuta robotica?» fece l’uomo, incredulo.

«Te l’ho detto, no? Hai mai visto qualcosa di simile prima di adesso?»

«Una volta ne ho vista una, sicuro!» l’altro rispose annuendo. «Non ho avuto però l’occasione di metterla addosso.»

Il barista sorrise e alzò leggermente le spalle.

«In tutte le cose c’è sempre la prima volta,» disse. «Oggi avrai finalmente quella occasione. Non appena constaterai la grande efficienza della tuta, non potrai fare a meno di lavorare, in futuro, senza una di esse.»

«Ma… ma non so come usarla!»

«Credi che abbia importanza?»

«Come sarebbe?»

«Farà tutto la tuta, sta’ tranquillo.»

«Tutto la tuta? Che vuoi dire?»

 «Tu devi soltanto indossarla. Nient’altro! Sarà un giochetto da ragazzi, vedrai.»

L’uomo sembrò assai titubante. Rimase fermo a guardare l’oggetto con una certa diffidenza.

«Allora,» lo incitò il barista, «che aspetti? Una volta lì dentro dovrai soltanto decidere il da farsi. Ti assicuro che quell’affare agirà autonomamente… Mi spiego meglio… Vedi quella grossa cassa laggiù?» E alzò la mano a indicarla. «Basta che pensi: ora l’afferro con le braccia e la sposto a sinistra… Ebbene, la tuta farà ogni cosa immediatamente, senza il minimo sforzo da parte tua.» Fece una pausa, si chinò in avanti e batté le nocche della mano sull’informe ammasso di metallo: «È tutta in acciaio, ma molto leggero, malleabile. Le sue braccia, però, riescono a sollevare decine e decine di chili… Il tuo sarà un lavoro per nulla faticoso, te lo garantisco. Lo farei volentieri io stesso, ma di tempo purtroppo non ne ho abbastanza. Su, avanti, che aspetti ancora?»

«Ecco… io… veramente non so… non…»

A causa della ritrosia dell’uomo, Berto faticò non poco per persuaderlo a indossare la tuta. E quando quegli alla fine vi fu dentro, il barista gli diede precise istruzioni.

«Le bottiglie vanno da un lato; le casse dall’altro. Le cianfrusaglie, invece, devi ammucchiarle fuori in cortile. Vi si accede da quella piccola porta di ferro. Passerà qualcuno, più tardi, a portarle via con un furgone… In meno di un’ora dovresti avere finito… Allora, cosa mi dici?»

«Che farò del mio meglio, accidenti!» Si sputò due volte sulle mani, che sfregò energicamente l’una con l’altra. «Farò del mio meglio, puoi contarci!»

«Bene!» disse Berto il quale, dopo aver aiutato l’uomo a indossare la tuta e averla con cura predisposta all’uso, tornò nel locale a servire i clienti.

 

 

3.

 

La tuta robotica aveva l’aspetto di uno scafandro con tanto di casco, i cui fili interni di vario colore erano stati applicati, mediante piccole ventose, alla fronte e alle tempie dell’uomo. Attraverso di essi il cervello avrebbe trasmesso impulsi precisi agli arti di acciaio della tuta, determinandone i movimenti.

A tutta prima l’uomo si sentì a disagio, goffo, non sapendo come avviare quello strano congegno che, per quanto complesso e ingombrante, sulle sue spalle pesava poco.

Superò l’iniziale impaccio nell’attimo in cui ricordò che bastava pensare al da farsi perché la tuta agisse da sola, come fosse dotata di vita o impulsi propri.

«Speriamo che sia davvero così,» fece l’uomo tra sé, «proprio come mi ha detto il barista.»

Quindi dalle parole passò ai… pensieri.

Voglio avvicinarmi a quel mucchio di casse laggiù.

Immediatamente, con suo grande stupore, sentì la tuta mettersi in movimento. Dopo pochissimi istanti egli giunse trasportatovi letteralmente nel punto desiderato.

«Funziona, funziona! Accidenti se funziona!» disse tra sé esultando. «Dunque era vero, non mi aveva mentito quel lurido bastardo… Ma cerchiamo di fare alla svelta. Prima finisco, meglio è. Mi sembra di stare in un forno qui dentro. Comincia a far caldo, maledizione!»

Tutte le casse vanno a sinistra, una sull’altra…

La tuta eseguì, in modo perfetto, quello che l’uomo aveva pensato.

Le bottiglie sul lato opposto.

Fu fatto anche quello.

Dopo appena dieci minuti, casse e bottiglie erano con esattezza dove il barista voleva che fossero messe.

Per un istante, l’uomo rimase a osservare ogni cosa immensamente soddisfatto. Bisognava ora portare in cortile le varie cianfrusaglie, e per farlo ci volle più tempo.

Dopo un’altra mezzora di lavoro, l’uomo stando ancora all’interno della tuta ebbe la sensazione che il caldo aumentasse continuamente, fino a diventare rovente, insopportabile.

A un certo punto gli parve di avvampare, come neppure in un forno durante l’estate più torrida. Il sudore gli scorreva sul viso e lungo la schiena a rivoli sottili, gli entrava negli occhi bruciando terribilmente. Ma come strofinarli? Non lo poteva nel modo più assoluto, per via dei guanti e del casco integrale.

«Devo subito uscire da questo marchingegno,» disse l’uomo tra sé in tono convulso. «Mi manca il respiro…Non resisto… Non resisto, maledizione! Soffoco… soffoco…»

Dopo molti e infruttuosi tentativi di levarsi la tuta di dosso, provò a gridare, a chiedere aiuto, ma ebbe la netta impressione che la sua voce non superasse le spesse pareti del casco che, nella parte anteriore, era munito di vetro, anch’esso di grande spessore.

Decise, allora, di entrare nel bar, sperando che qualcuno magari lo stesso Berto lo aiutasse a uscire da quella che ormai gli pareva una trappola infernale.

Entra lì dentro, presto, che tu sia maledetta! pensò l’uomo con rabbia e apprensione nello stesso tempo.

La tuta si mosse prontamente, come sempre ubbidendo agli impulsi del suo cervello. Ma dopo un paio di passi si bloccò ed emise una specie di gemito. Poi prese a sfrigolare e il suo interno fu subito invaso da un fumo giallastro, denso, e da un forte odor di bruciato.

«Mio Dio, che succede?» si chiese l’uomo in preda al panico più spaventoso. «Dannazione, sto arrostendo… muoio… salvatemi…»

Immaginò che il proprio sudore avesse provocato un cortocircuito o chissà quale altra diavoleria e, di conseguenza, un principio di incendio. L’interno della tuta, infatti, era tappezzato di fili e materiale altamente infiammabile.

«Dannazione!» esclamò di nuovo. «Mille volte dannazione!»

D’istinto si scosse, sussultò, contrasse i muscoli del petto, delle braccia, cercando disperatamente di uscire da quel catenaccio. Gridò con tutto il fiato che aveva, sperando che qualcuno riuscisse a sentirlo…

Fu inutile.

Allora, egli ebbe la certezza che presto sarebbe morto… per colpa di una dannata tuta robotica. Ciò nonostante non si arrese. In un estremo tentativo di ribellione, gridò, bestemmiò, tornò a gridare più forte, a bestemmiare… ma col risultato di empirsi inevitabilmente i polmoni di fumo. Tossì più volte con violenza, mentre le lacrime gli sgorgavano dagli occhi appannandogli la vista.

«Devo uscire… devo… devo uscire…» disse, al culmine del parossismo.

Furono, quelle, le sue ultime parole.

A un tratto la tuta si accartocciò su se stessa con tale violenza che l’uomo, all’interno, ne restò schiacciato. Quindi cadde pesantemente sul pavimento.

 

 

4.

 

Dopo più di un’ora, Berto il barista tornò nel retrobottega, sperando trovarlo perfettamente in ordine, con tutti gli oggetti al posto che lui aveva indicato.

Il sorriso si spense sulle sue labbra quando sul pavimento, poco dopo la porta di ingresso, vide la tuta robotica orribilmente deformata.

Capì all’istante cos’era successo.

Serrò le mascelle e sbuffò di rabbia. Infine, con la punta del piede toccò quell’ammasso informe e ancora fumante di metallo.

Si grattò contrariato fra i capelli. Poi, dopo un breve sospiro:

«È successo di nuovo, maledizione! Ancora una volta il sistema refrigerante non ha funzionato… l’ennesimo idiota è rimasto schiacciato dalla tuta… L’ho sempre detto, io, che non c’era da fidarsi minimamente di questi aggeggi. E pensare che ho sborsato parecchio denaro per acquistare questa dannata tuta! Mi toccherà ripulirla da ciò che rimane di quell’ubriacone, quindi dovrò nuovamente farla riparare. Altro denaro da spendere, come se io ne avessi da buttare.» Rimase un istante in silenzio crollando la testa, poi riprese: «Funzionerà come si deve questo strumento diabolico? Sono curioso di vedere se qualcuno, prima o poi, riuscirà a non rimetterci la pelle. Ne dubito fortemente.»

Scosse la testa desolato.


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