martedì 19 agosto 2025

IL PIANETA VERDE di Peppe Muroo

 


Quel pianeta gli parve subito una stranezza: tutto verde di alberi, senza nessuna radura, senza rocce o specchi d’acqua. Con difficoltà riuscì a posarsi e con cautela aprì il portello: lo accolse un quadro di pace che sembrava quasi entrasse nei suoi respiri.
I sensori gli dissero che l’aria era respirabile, del tutto simile alla sua terra: si tolse il casco e quella sensazione di serenità la aggredì con forza maggiore.
Era strana e dolcissima, gli pareva come una nenia musicale che lo carezzava e ne cullava le sensazioni. Per un po’ si abbandonò, i suoi muscoli si rilassarono e la cosa gli parve molto piacevole. Strano questo pianeta verde che lo accoglieva con tale dolcezza!
Cominciò a camminare quasi danzando, mentre un’insolita allegria si stava impossessando di lui. Avanzava nel verde e gli pareva quasi che si aprisse al suo passaggio, come un invito o un abbraccio. “Strano”, pensò, “ma anche difficile da capire. E se fosse un inganno?”
Come se quel pensiero cupo e diffidente fosse una bestemmia, la musica nei suoi pensieri cessò di colpo, i rami non si spostarono più al suo passaggio, il cammino divenne più aspro.
Gli sembrò quasi che il verde fosse diventato più cupo e tetro.
Ne ebbe paura, mentre un vento spostava con forza i rami e il verde sembrava quasi piegarsi a questa nuova sofferenza: gli pareva che le cime degli alberi stessero urlando di pena e di terrore.
Non capiva come fosse possibile questa che gli sembrava un’impossibile sintonia tra il verde e le sue sensazioni.
Si impose di calmarsi e quasi contemporaneamente i rami si rimisero a frusciare con dolcezza: provò quasi la gioia di una carezza d’amore. Si lasciò andare a quella musica dondolante che entrava nei suoi pensieri, chiuse gli attimi come per un godimento maggiore.
E cominciò a capire: quel pianeta verde che lo stava accogliendo, per una stranezza delle cose, entrava in sintonia con le sue emozioni, le ripeteva, le viveva… e gli regalava le proprie, lievi e dolcissime.
Benvenuto!”, sentì nella sua testa, non con delle parole, ma con sensazioni ondulate che assomigliò allo stormire delle foglie.
Era piacevole quel dondolio nei suoi pensieri, si rilassò, si distese su un prato verdissimo e fresco. Forse si appisolò, stranamente, ma ancora più strano gli parve il suo scuotersi improvviso o risvegliarsi. Era sceso su quel pianeta per esplorare non per dormire: ordinò a se stesso di scuotersi e di espletare la missione. La cosa più importante da capire gli parve quella strana simbiosi fra il pianeta e le sue sensazioni.
 Decise allora di fare un esperimento: andò vicino al portello e a mani nude diede un pugno, forte, contro il metallo della navetta.
Al suo dolore sembrò rispondere tutto il bosco con un piegarsi di rami e un ululo di vento lamentoso. Si massaggiò le nocche e sorrise man mano che il dolore spariva. Ed anche il bosco riprese il suo frusciare dolce.
Pensò allora alla meraviglia delle cose viste nello spazio, e le cime degli alberi restarono immobili verso il cielo, come bambini meravigliati.
Allora decise che avrebbe fatto l’ultimo esperimento. Imbracciò l’arma che aveva in dotazione, mirò con cura verso un piccolo albero e fece fuoco.
L’albero si accartocciò in una vampa di fuoco, mentre nei pensieri gli esplodeva una domanda dolorosa: “Perché?”, e sentiva uno strazio mai provato, qualcosa che lo scuoteva dal profondo ed a cui non sapeva dare ragioni.
Per capire”, si rispose lentamente, anche se la tristezza che sentiva lo stava travolgendo.
Per capire”, ripeté parlando a se stesso, ma non ne era contento.
Il bosco era silenzioso, non c’era più vento.

 

Sentì per l’ultima volta parole verdi dentro di sé: “Ed ora, che farai della tua conoscenza e del nostro dolore?”
Poi più nulla, solo un silenzio immane in quel pianeta d’alberi. 

 


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