Quel
pianeta gli parve subito una stranezza: tutto verde di alberi, senza nessuna
radura, senza rocce o specchi d’acqua. Con difficoltà riuscì a posarsi e con
cautela aprì il portello: lo accolse un quadro di pace che sembrava quasi entrasse
nei suoi respiri.
I
sensori gli dissero che l’aria era respirabile, del tutto simile alla sua
terra: si tolse il casco e quella sensazione di serenità la aggredì con forza
maggiore.
Era
strana e dolcissima, gli pareva come una nenia musicale che lo carezzava e ne
cullava le sensazioni. Per un po’ si abbandonò, i suoi muscoli si rilassarono e
la cosa gli parve molto piacevole. Strano questo pianeta verde che lo
accoglieva con tale dolcezza!
Cominciò
a camminare quasi danzando, mentre un’insolita allegria si stava impossessando
di lui. Avanzava nel verde e gli pareva quasi che si aprisse al suo passaggio,
come un invito o un abbraccio. “Strano”,
pensò, “ma anche difficile da capire. E
se fosse un inganno?”
Come
se quel pensiero cupo e diffidente fosse una bestemmia, la musica nei suoi
pensieri cessò di colpo, i rami non si spostarono più al suo passaggio, il
cammino divenne più aspro.
Gli
sembrò quasi che il verde fosse diventato più cupo e tetro.
Ne
ebbe paura, mentre un vento spostava con forza i rami e il verde sembrava quasi
piegarsi a questa nuova sofferenza: gli pareva che le cime degli alberi
stessero urlando di pena e di terrore.
Non
capiva come fosse possibile questa che gli sembrava un’impossibile sintonia tra
il verde e le sue sensazioni.
Si
impose di calmarsi e quasi contemporaneamente i rami si rimisero a frusciare
con dolcezza: provò quasi la gioia di una carezza d’amore. Si lasciò andare a
quella musica dondolante che entrava nei suoi pensieri, chiuse gli attimi come
per un godimento maggiore.
E
cominciò a capire: quel pianeta verde che lo stava accogliendo, per una
stranezza delle cose, entrava in sintonia con le sue emozioni, le ripeteva, le
viveva… e gli regalava le proprie, lievi e dolcissime.
“Benvenuto!”, sentì nella sua testa, non con
delle parole, ma con sensazioni ondulate che assomigliò allo stormire delle
foglie.
Era
piacevole quel dondolio nei suoi pensieri, si rilassò, si distese su un prato
verdissimo e fresco. Forse si appisolò, stranamente, ma ancora più strano gli
parve il suo scuotersi improvviso o risvegliarsi. Era sceso su quel pianeta per
esplorare non per dormire: ordinò a se stesso di scuotersi e di espletare la
missione. La cosa più importante da capire gli parve quella strana simbiosi fra
il pianeta e le sue sensazioni.
Decise allora di fare un esperimento: andò
vicino al portello e a mani nude diede un pugno, forte, contro il metallo della
navetta.
Al
suo dolore sembrò rispondere tutto il bosco con un piegarsi di rami e un ululo
di vento lamentoso. Si massaggiò le nocche e sorrise man mano che il dolore
spariva. Ed anche il bosco riprese il suo frusciare dolce.
Pensò
allora alla meraviglia delle cose viste nello spazio, e le cime degli alberi
restarono immobili verso il cielo, come bambini meravigliati.
Allora
decise che avrebbe fatto l’ultimo esperimento. Imbracciò l’arma che aveva in
dotazione, mirò con cura verso un piccolo albero e fece fuoco.
L’albero
si accartocciò in una vampa di fuoco, mentre nei pensieri gli esplodeva una
domanda dolorosa: “Perché?”, e sentiva
uno strazio mai provato, qualcosa che lo scuoteva dal profondo ed a cui non
sapeva dare ragioni.
“Per capire”, si rispose lentamente,
anche se la tristezza che sentiva lo stava travolgendo.
“Per capire”, ripeté parlando a se
stesso, ma non ne era contento.
Il
bosco era silenzioso, non c’era più vento.
Sentì
per l’ultima volta parole verdi dentro di sé: “Ed ora, che farai della tua conoscenza e del nostro dolore?”
Poi
più nulla, solo un silenzio immane in quel pianeta d’alberi.
Nessun commento:
Posta un commento