(Di recente
pubblicazione il nuovo libro del nostro collaboratore Fabio Calabrese – I CANINI
SULLA GIUGULARE, Scudo Edizioni, Bologna)
E' stato osservato che
la narrativa horror nella sua forma più classica in definitiva riguarda solo
cinque tipi di soggetti: fantasmi, lupi mannari, vampiri, zombi e streghe.
In un'esperienza di
autore nel campo del fantastico che ha ormai superato il mezzo secolo, posso
dire di aver quanto meno sfiorato più volte almeno quattro di queste tematiche:
di fantasmi e presenze spettrali di vario genere mi sono occupato più volte, e
le antologie pubblicate dalle Edizioni Scudo, Incubi e prodigi e Terrori
e magie offrono non pochi esempi a questo riguardo. Della licantropia non
mi sono occupato altrettanto spesso, ma ne è un esempio Stirpe delle tenebre,
racconto che compare nell'antologia Sulle orme di Alhazred pubblicata dalla
Dagon Press, racconto che è un'ideale continuazione de Il figlio della notte
di Jack Williamson, ma se prendete ad esempio Incubi e prodigi,
molto simile a un licantropo è ad esempio il Liomo del racconto omonimo,
e sicuramente un richiamo a questa tematica c'è anche in Plenilunio,
dove però mi sono soprattutto divertito a porvi una domanda forse ancor più
inquietante: se “l'omino dei lupini” dei vecchi cinema altro non fosse che
“l'uomo dei lupi” di cui si era occupato Sigmund Freud?
Sulle streghe, il discorso
è diverso: in tutta franchezza, non mi riesce di vederle come figure diaboliche
o negative: molto spesso erano donne che attraverso “la stregoneria”
esprimevano semplicemente la ribellione nei confronti di un mondo
sfacciatamente maschilista. E' una tematica di cui mi sono occupato piuttosto
in storie di heroic fantasy che di horror; ne sono esempi Mab nell'antologia
Il risveglio della spada e Sangue di strega in Primavera sacra
e altri incantesimi.
Quattro tematiche su
cinque, vi dicevo: una non è finora comparsa nelle mie storie e penso che non
vi comparirà mai, quella degli zombi. Quella che generalmente chiamiamo
narrativa di horror si può distinguere in due sottogeneri ben distinti: da un
lato c'è il weird, l'orrore soprannaturale, l'inquietudine legata al
trascendente e al mistero, dall'altra lo splatter (un'onomatopea che
ricorda lo sprizzare del sangue). Qui l'elemento soprannaturale o trascendente
in genere manca del tutto, e l'orrore non assume nessuna forma di inquietudine
cosmica, ma è dato unicamente dal raccapriccio di scene sanguinarie e
truculente. Lo splatter è presente soprattutto nella cinematografia di
serie B. Gli zombi rientrano precisamente in questo ambito, e per quanto mi
riguarda, non ho alcuna intenzione di occuparmene.
Rimangono i vampiri,
personaggi ben più interessanti, soprattutto – bisogna dire – grazie a Bram
Stoker che ha diffuso il modello del vampiro come perverso aristocratico, anche
se non bisogna dimenticare che in questo era stato preceduto da William
Polidori che nelle sembianze del suo Vampiro sembra aver riprodotto
nientemeno che lord Byron.
Il problema che si
presenta tutte le volte che ci si occupa di queste tematiche, è sempre lo
stesso: come riuscire a dire qualcosa di nuovo e di originale in tematiche che sono
state ampiamente sfruttate da oltre due secoli?
A parte dunque un
utilizzo ormai bisecolare di questi temi da parte di una tradizione letteraria
ben consolidata, c'è anche da fare i conti con le tendenze cinematografiche
televisive e cinematografiche più recenti, che hanno “riciclato” vampirismo e
licantropia in versione romantico-adolescenziale, quasi una sorta di versioni
halloween di West Side Story.
Come rinnovare dunque
queste tematiche fin troppo usurate? Una via è senza dubbio quella dell'ironia,
che ho profuso in racconti come La piramide, L'insegna, L'ospite, Dimmi con
chi vai e anche quella breve raccolta di epigrammi e battute che ho
chiamato Frammenti di canini rimasti sulla giugulare. Negli ultimi due
racconti la storia è narrata dal punto di vista del vampiro, e vi devo
confessare che una figura che mi ha affascinato una volta che mi è uscita dalla
penna e a cui mi riprometto di dedicare qualche scritto di maggiore spazio, è
quella del dottor Niemeyer, uno studioso di scienze occulte a cui la condizione
di vampiro e la quasi inimmaginabile longevità che ne consegue, ha permesso di
portare avanti i suoi studi esoterici come a nessuno prima di lui, ma anche L'insegna,
un divertissement che lega le vicende del conte Dracula a quelle delle
Edizioni Scudo.
Quella che poi segue è
una galleria di vampiri alquanto eterodossi. Un caso che non esce poi tanto dai
binari del genere, è la storia dell'Ultima recita di un attore
estremamente convincente nella parte di un vampiro che nella Francia occupata della
seconda guerra mondiale collabora con i tedeschi per tenere la gente lontana da
certe installazioni segrete. E se lo stesso conte Dracula non fosse stato
esattamente un vampiro come perlopiù l'intendiamo, e i suoi poteri e la sua
immortalità fossero dovuti al possesso di un certo Anello?
L'efficacia dei mezzi
per combattere il vampirismo, forse non dipende tanto dallo strumento in sé, ma
dal fatto che su di esso è concentrata l'energia positiva di milioni di persone
che vedono in esso un simbolo sacro, questo vale per la croce, simbolo della
religione cristiana, e per l'aglio il cui fiore è simile al giglio,
universalmente visto come emblema di purezza. L'arma della fede è un
racconto che scrissi negli anni '70 e risente del clima di quel momento storico,
nel quale sembrava che il verbo marxista stesse per soppiantare per ogni dove
le fedi tradizionali, poi le cose andarono in tutt'altra maniera, e abbiamo
assistito alla caduta dell'Unione Sovietica e dell'impero comunista.(1).
C'è un retroscena di
questo racconto, una “storia nella (o della) storia” che vale la pena di
raccontare. Luciano Comida è stato un carissimo amico scomparso anni fa in
seguito a una malattia lunga e dolorosa. All'epoca, questo racconto, che doveva
essere pubblicato sulla fanzine del fantastico “Il re in giallo” curata da
Giuseppe Lippi e da me, e che gli feci leggere in anteprima, gli piacque
tantissimo, e si spinse al punto di recensirlo quando era ancora inedito, sulle
pagine della sua “Konrad” (Luciano Comida era una persona dai vasti interessi
intellettuali, che spaziavano dalla fantascienza al teatro dialettale,
all'ecologia, e aveva creato questa pubblicazione ecologista – ma aperta a una
varietà di opzioni culturali - “Konrad”, il cui nome s'ispirava al grande
Konrad Lorenz). Poi successe che “Il re in giallo”, per vicende che ora non
occorre rievocare, cessò le pubblicazioni prima che il racconto fosse
pubblicato, e finora non ha ancora avuto occasione di vedere la luce. La sua
comparsa oggi in questa antologia vuole essere anche un omaggio alla memoria di
Luciano.
Altri vampiri sono ancor
più eterodossi. Il Wendigo, figura leggendaria presente nelle tradizioni dei
nativi americani, ha molti tratti in comune con il vampiro, anche se è
piuttosto un mangiatore di carne umana che un succhiatore di sangue, ma
similmente ai vampiri europei, è altrettanto letale e inafferrabile. Nel
racconto che gli ho dedicato, chi è realmente La preda e chi il
predatore?
L'idea di un vampiro
vegetale non è un'originalità assoluta. Ricordo molti anni fa di aver letto
molti anni fa sulle pagine di una fanzine un divertente racconto umoristico su
di un vampiro vegetale, Oprimav, che alla fine veniva eliminato
seppellendolo con una bistecca piantata nel cuore, purtroppo non ricordo chi
fosse l'autore. Né tra i vampiri vegetali si può ignorare il Cuore di
ghiaccio del romanzo omonimo di Donato Altomare, davvero un autore che ha
pochi concorrenti in fatto di fantasia macabra.
Qui di vampiri vegetali
ne trovate più di uno. Di uno, potete sentir parlare andando A pranzo dagli
zii, di un altro, un incauto marine se ne porta a casa i semi sotto forma
di Bottino di guerra. Il primo ha le sue origini negli esperimenti di
manipolazione genetica, mentre quelle del secondo, che risalgono all'antica
Babilonia, rimangono misteriose. Un vampiro vegetale si può considerare, in
ultima analisi, anche L'angelo di legno, un'inquietante statua lignea
che di angelico ha ben poco.
Palolo è forse il caso più
paradossale della nostra inquietante casistica, un caso, potremmo dire, di
auto-vampirismo. Dentro di noi ci portiamo sempre un bambino mai cresciuto, ci
dicono alcuni, dal fanciullino di Giovanni Pascoli, al “bambino che è in
noi” e di cui dobbiamo prenderci cura secondo certa filosofia new age, ma se il
nostro “fanciullino” non fosse per nulla animato da buone intenzioni nei nostri
confronti?
Il fine di questi
racconti è l'intrattenimento. Una notte serena se avrete seguito alcune
semplici precauzioni: aver evitato di invitare a casa sconosciuti, aver
sbarrato porte e finestre, aver appeso in giro festoni di aglio, tenere un
crocifisso sulla testiera del letto e uno appeso al collo.
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