venerdì 24 novembre 2017

I CANINI SULLA GIUGULARE (Introduzione)

(Di recente pubblicazione il nuovo libro del nostro collaboratore Fabio Calabrese – I CANINI SULLA GIUGULARE, Scudo Edizioni, Bologna)
 
E' stato osservato che la narrativa horror nella sua forma più classica in definitiva riguarda solo cinque tipi di soggetti: fantasmi, lupi mannari, vampiri, zombi e streghe.
In un'esperienza di autore nel campo del fantastico che ha ormai superato il mezzo secolo, posso dire di aver quanto meno sfiorato più volte almeno quattro di queste tematiche: di fantasmi e presenze spettrali di vario genere mi sono occupato più volte, e le antologie pubblicate dalle Edizioni Scudo, Incubi e prodigi e Terrori e magie offrono non pochi esempi a questo riguardo. Della licantropia non mi sono occupato altrettanto spesso, ma ne è un esempio Stirpe delle tenebre, racconto che compare nell'antologia Sulle orme di Alhazred pubblicata dalla Dagon Press, racconto che è un'ideale continuazione de Il figlio della notte di Jack Williamson, ma se prendete ad esempio Incubi e prodigi, molto simile a un licantropo è ad esempio il Liomo del racconto omonimo, e sicuramente un richiamo a questa tematica c'è anche in Plenilunio, dove però mi sono soprattutto divertito a porvi una domanda forse ancor più inquietante: se “l'omino dei lupini” dei vecchi cinema altro non fosse che “l'uomo dei lupi” di cui si era occupato Sigmund Freud?
Sulle streghe, il discorso è diverso: in tutta franchezza, non mi riesce di vederle come figure diaboliche o negative: molto spesso erano donne che attraverso “la stregoneria” esprimevano semplicemente la ribellione nei confronti di un mondo sfacciatamente maschilista. E' una tematica di cui mi sono occupato piuttosto in storie di heroic fantasy che di horror; ne sono esempi Mab nell'antologia Il risveglio della spada e Sangue di strega in Primavera sacra e altri incantesimi.
Quattro tematiche su cinque, vi dicevo: una non è finora comparsa nelle mie storie e penso che non vi comparirà mai, quella degli zombi. Quella che generalmente chiamiamo narrativa di horror si può distinguere in due sottogeneri ben distinti: da un lato c'è il weird, l'orrore soprannaturale, l'inquietudine legata al trascendente e al mistero, dall'altra lo splatter (un'onomatopea che ricorda lo sprizzare del sangue). Qui l'elemento soprannaturale o trascendente in genere manca del tutto, e l'orrore non assume nessuna forma di inquietudine cosmica, ma è dato unicamente dal raccapriccio di scene sanguinarie e truculente. Lo splatter è presente soprattutto nella cinematografia di serie B. Gli zombi rientrano precisamente in questo ambito, e per quanto mi riguarda, non ho alcuna intenzione di occuparmene.
Rimangono i vampiri, personaggi ben più interessanti, soprattutto – bisogna dire – grazie a Bram Stoker che ha diffuso il modello del vampiro come perverso aristocratico, anche se non bisogna dimenticare che in questo era stato preceduto da William Polidori che nelle sembianze del suo Vampiro sembra aver riprodotto nientemeno che lord Byron.
Il problema che si presenta tutte le volte che ci si occupa di queste tematiche, è sempre lo stesso: come riuscire a dire qualcosa di nuovo e di originale in tematiche che sono state ampiamente sfruttate da oltre due secoli?
A parte dunque un utilizzo ormai bisecolare di questi temi da parte di una tradizione letteraria ben consolidata, c'è anche da fare i conti con le tendenze cinematografiche televisive e cinematografiche più recenti, che hanno “riciclato” vampirismo e licantropia in versione romantico-adolescenziale, quasi una sorta di versioni halloween di West Side Story.
Come rinnovare dunque queste tematiche fin troppo usurate? Una via è senza dubbio quella dell'ironia, che ho profuso in racconti come La piramide, L'insegna, L'ospite, Dimmi con chi vai e anche quella breve raccolta di epigrammi e battute che ho chiamato Frammenti di canini rimasti sulla giugulare. Negli ultimi due racconti la storia è narrata dal punto di vista del vampiro, e vi devo confessare che una figura che mi ha affascinato una volta che mi è uscita dalla penna e a cui mi riprometto di dedicare qualche scritto di maggiore spazio, è quella del dottor Niemeyer, uno studioso di scienze occulte a cui la condizione di vampiro e la quasi inimmaginabile longevità che ne consegue, ha permesso di portare avanti i suoi studi esoterici come a nessuno prima di lui, ma anche L'insegna, un divertissement che lega le vicende del conte Dracula a quelle delle Edizioni Scudo.
Quella che poi segue è una galleria di vampiri alquanto eterodossi. Un caso che non esce poi tanto dai binari del genere, è la storia dell'Ultima recita di un attore estremamente convincente nella parte di un vampiro che nella Francia occupata della seconda guerra mondiale collabora con i tedeschi per tenere la gente lontana da certe installazioni segrete. E se lo stesso conte Dracula non fosse stato esattamente un vampiro come perlopiù l'intendiamo, e i suoi poteri e la sua immortalità fossero dovuti al possesso di un certo Anello?
L'efficacia dei mezzi per combattere il vampirismo, forse non dipende tanto dallo strumento in sé, ma dal fatto che su di esso è concentrata l'energia positiva di milioni di persone che vedono in esso un simbolo sacro, questo vale per la croce, simbolo della religione cristiana, e per l'aglio il cui fiore è simile al giglio, universalmente visto come emblema di purezza. L'arma della fede è un racconto che scrissi negli anni '70 e risente del clima di quel momento storico, nel quale sembrava che il verbo marxista stesse per soppiantare per ogni dove le fedi tradizionali, poi le cose andarono in tutt'altra maniera, e abbiamo assistito alla caduta dell'Unione Sovietica e dell'impero comunista.(1).
C'è un retroscena di questo racconto, una “storia nella (o della) storia” che vale la pena di raccontare. Luciano Comida è stato un carissimo amico scomparso anni fa in seguito a una malattia lunga e dolorosa. All'epoca, questo racconto, che doveva essere pubblicato sulla fanzine del fantastico “Il re in giallo” curata da Giuseppe Lippi e da me, e che gli feci leggere in anteprima, gli piacque tantissimo, e si spinse al punto di recensirlo quando era ancora inedito, sulle pagine della sua “Konrad” (Luciano Comida era una persona dai vasti interessi intellettuali, che spaziavano dalla fantascienza al teatro dialettale, all'ecologia, e aveva creato questa pubblicazione ecologista – ma aperta a una varietà di opzioni culturali - “Konrad”, il cui nome s'ispirava al grande Konrad Lorenz). Poi successe che “Il re in giallo”, per vicende che ora non occorre rievocare, cessò le pubblicazioni prima che il racconto fosse pubblicato, e finora non ha ancora avuto occasione di vedere la luce. La sua comparsa oggi in questa antologia vuole essere anche un omaggio alla memoria di Luciano.
Altri vampiri sono ancor più eterodossi. Il Wendigo, figura leggendaria presente nelle tradizioni dei nativi americani, ha molti tratti in comune con il vampiro, anche se è piuttosto un mangiatore di carne umana che un succhiatore di sangue, ma similmente ai vampiri europei, è altrettanto letale e inafferrabile. Nel racconto che gli ho dedicato, chi è realmente La preda e chi il predatore?
L'idea di un vampiro vegetale non è un'originalità assoluta. Ricordo molti anni fa di aver letto molti anni fa sulle pagine di una fanzine un divertente racconto umoristico su di un vampiro vegetale, Oprimav, che alla fine veniva eliminato seppellendolo con una bistecca piantata nel cuore, purtroppo non ricordo chi fosse l'autore. Né tra i vampiri vegetali si può ignorare il Cuore di ghiaccio del romanzo omonimo di Donato Altomare, davvero un autore che ha pochi concorrenti in fatto di fantasia macabra.
Qui di vampiri vegetali ne trovate più di uno. Di uno, potete sentir parlare andando A pranzo dagli zii, di un altro, un incauto marine se ne porta a casa i semi sotto forma di Bottino di guerra. Il primo ha le sue origini negli esperimenti di manipolazione genetica, mentre quelle del secondo, che risalgono all'antica Babilonia, rimangono misteriose. Un vampiro vegetale si può considerare, in ultima analisi, anche L'angelo di legno, un'inquietante statua lignea che di angelico ha ben poco.
Palolo è forse il caso più paradossale della nostra inquietante casistica, un caso, potremmo dire, di auto-vampirismo. Dentro di noi ci portiamo sempre un bambino mai cresciuto, ci dicono alcuni, dal fanciullino di Giovanni Pascoli, al “bambino che è in noi” e di cui dobbiamo prenderci cura secondo certa filosofia new age, ma se il nostro “fanciullino” non fosse per nulla animato da buone intenzioni nei nostri confronti?
Il fine di questi racconti è l'intrattenimento. Una notte serena se avrete seguito alcune semplici precauzioni: aver evitato di invitare a casa sconosciuti, aver sbarrato porte e finestre, aver appeso in giro festoni di aglio, tenere un crocifisso sulla testiera del letto e uno appeso al collo.  
 

 

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