domenica 31 gennaio 2016

IL MURO di Peppe Murro

Era stanco. Si appoggiò al muro e si sedette quasi cedendo ad un peso. Si tolse quanto restava delle sue scarpe e cominciò a massaggiarsi i piedi.
Guardò il muro, guardò i suoi piedi.
Guardò l'orizzonte.
Da lì era venuto e come lui tanti, troppi: chi per bisogno, chi per paura, chi più semplicemente per l'urgenza di una speranza.
A migliaia erano giunti al muro e lì premevano per passare, piangevano urlavano si affaticavano in arrampicate spericolate, finché si abbandonavano prostrati e inebetiti dalla delusione e dallo sconforto.
 In pochi avevano la forza o la disperazione di tentare la strada del muro, costeggiandolo come ratti in cerca di cibo.
Il muro era lì, cupo e deserto di fronte a loro, forse contro di loro.
 Un giorno si ritrovò solo, guardò in alto il muro e si accorse che restare era un modo inutile di consumare la vita imprecando contro gli uomini e bestemmiando dio, o aspettando improbabili aperture.
Decise allora di agire con metodo: se avesse costeggiato il muro andando sempre verso est avrebbe prima o poi trovato una porta o magari avrebbe scoperto la fine del muro.
 E camminò, camminò tanto da non sapere più contare i giorni: scoprì che non esisteva un solo muro, che erano tanti e tutti piegavano verso nord, ma dove uno spariva dalla curva un altro ne nasceva. Senza soluzione di continuità, come cerchi d'acqua senza centro si aggiungevano l'uno all'altro. Una manciata di sassi gettata in uno stagno avrebbe prodotto lo stesso accavallarsi di curve che si integravano fra loro formando un unico sbarramento. Così il muro, una lunga e interminabile linea curva che piegava sempre alla sua sinistra, fusa e confusa con altre seguenti.
Qualche volta, nel suo andare lento e tenace, aveva udito suoni da dietro il muro, voci urla rumori indefiniti e smozzicati, segno di vite che forse mai avrebbero incontrato la sua. Per non cedere però allo sconforto immaginò persone dall'altra parte che assomigliassero a quanti erano al di qua del muro, uomini e donne che vivevano e invecchiavano, che avessero anch'essi speranze e desideri, e stanchezze, e delusioni come accadeva a lui; immaginò che avessero un sorriso negli sguardi.
I piedi gli dolevano.
Avrebbe voluto fermarsi, confondersi con quella folla di senza nome che bivaccava ai piedi del muro, fiaccata dall'inedia.
Ma qualcosa, dentro, forse un'idea o una testarda speranza, o una rabbia incontenibile gli impediva di fermarsi: non poteva che andare lungo il muro, non esisteva nessun altrove.
Era certo che dietro il muro vivevano altre persone, con lo stesso marchio del tempo sulla pelle e la stessa voglia di vivere. Anche loro, si diceva, hanno bisogni e speranze, anche loro una sola vita da vivere.
Ma forse chi aveva costruito il muro voleva che fossero fuori, prigionieri dell'attesa in quella terra bruciata.
Guardò il muro: gli parve più freddo e imponente, quasi minaccioso, come la parete senza sbarre di una prigione.
Gli sembrò che fosse un immane NO al suo essere uomo.
Sorrise fra un pensiero ed un sospiro, mentre si rialzava stancamente, i piedi doloranti cocciutamente puntati versi est. Si rimise in cammino chiedendosi, con amara ironia, se davvero gli esclusi erano loro, se la prigione vera fosse al di qua o al di là del muro.

1 commento:

  1. Bellísima la descrizione della disperazione e la incertezza... Fra le mille domande che si fanno sulla strada della vita

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