venerdì 17 aprile 2015

SULLA FREDDA IMMENSITÀ di Adriana Alarco de Zadra

In mezzo a una fitta nebbia e circondata di acqua da tutte le parti, cerco di affrontare la cruda realtà: sto morendo. Il freddo mi ghiaccia le ossa, non sento la mia faccia né i miei arti e l’ultimo pesce, che avrebbe potuto riempire il vuoto che sento nello stomaco, mi è scappato dalle mani assiderate ed è caduto in acqua nuovamente, allontanandosi con un colpo della coda.
Una foschia umida, persistente, grigia e muta che attenua i rumori e i sensi, le visioni e i sapori, una solitudine infinita, una tristezza senza fine, è tutto quello che c’è e non trovo altro intorno a me.
Cerco di svegliarmi e mi strofino gli occhi per togliere la brina che si accumula sulle ciglia. Una parete alta e bianca, quasi trasparente, si avvicina all'imbarcazione o forse sono io che mi sto approssimando; non ho deciso ancora quello che sta succedendo intorno a me, nella realtà.
L'odore di sale è a ogni istante più forte; il sapore dell’ultimo riccio mangiato riemerge sulla mia bocca; il suono del vento continua a frastornarmi l’udito. Ritorno verso il mondo o mi sto solo ubriacando di deliri?
Dalla parete bianca e ghiacciata scorre l'acqua a spruzzi e quello è qualcosa che mi sembra inconcepibile. Si sta sciogliendo un’isola davanti ai miei occhi? So che certe zone del pianeta hanno un periodo di disgelo, ma... svaniscono così rapidamente? Onde impetuose mi spingono verso la sponda di quell’isola trasparente e ghiacciata, attorniata da stalattiti, ombre e fantasmi.
Lascio il battello fra due rocce bianche e scendo con precauzione per non scivolare sopra i corsi d'acqua che aprono crepe nel pavimento ghiacciato. La cascata che cade vertiginosa dall'alto verso il mare è stupefacente. Incredibile come butti tanta acqua una piccola isola di ghiaccio. Sembra un vulcano che spruzza acqua fredda, fra lo scricchiolare dei timpani e le lastre, come una materia solida che si dissolve in una liquida, come il scivolare di tempeste che fendono in un dirupo o dentro un paramo di ghiaccio.
Chi sono? Sento una voce. Qualcuno mi domanda chi sono?
Rispondo. Sono una donna smarrita, un’esploratrice, conquistatrice, navigante, comandante, che riempio la mia vita di sogni e i miei occhi di mare. Questa vita che può finire come una goccia in più di questa bianca immensità. Io non sono nessuno. Posso esistere oppure non esistere; sono soltanto qualcosa in più in mezzo alla vita che continua. Ma, a quale vita?
Cammino come pestando scaglie di ghiaccio che incominciano a fondersi e slittare sotto i sandali che non mi proteggono dal freddo. Sono rattrappita quando, in un momento di luce e speranza, vedo filtrare fra il muraglione di nuvole grigie un raggio di splendore. Mi fermo e alzo la faccia verso quello splendore. Quel lume è vita, proporziona vita, illumina la vita. Però niente si muove intorno a me.
Il pavimento fragile può franare in qualunque momento e potrei finire i miei giorni prigioniera del ghiaccio trasparente.
Il fulgore risplende più forte. È un movimento quello che vedo?
Un'ombra da dietro la muraglia che sta sciogliendosi, mi fa pensare che c'è qualcosa vicino a me in mezzo a questi ghiaccioli. Si avvicina mentre uno scintillio si riflette sui cristalli e mi acceca. Distinguo un’ombra, la quale, mentre si dissolve all'intorno buttando acqua dappertutto, si scopre che esce da una nave diversa da qualunque altra io abbia mai visto. È un abitacolo molto grande e rotondo, circondato di punte che girano lentamente, e quelli esterni come coltelli vanno scheggiando le pareti gelate, come cercando di liberarsi di un guscio che lo opprime.
Si sta liberando, sta avanzando oppure è un essere che sta nascendo? È enorme. Scivola verso la cascata e l'acqua finisce di scoprire la sua immensa mole. È una nave, come previsto, fatta di metallo brillante che gira e lancia raggi luminosi da diversi orifizi. Non posso muovermi, sono in piedi su una sottile lastra di ghiaccio e il ghiacciaio sembra che stia sprofondando. Il freddo e il raggio di luce mi hanno paralizzato. Osservo, muovendo soltanto gli occhi, tutto ciò che appare dall’ombra e nella nebbia intorno a me. Il mio corpo non mi ubbidisce più. Morirò assiderata e resterò sepolta da scaglie congelate su quest’isola.
Uscendo dalla cascata, vedo che si avvicina a me un essere strano. Ha soltanto un occhio in mezzo alla fronte. È un ciclope infernale, un mostro prigioniero dalla roccia gelida. Prima di svenire sento che mi solleva con due braccia squamose, metalliche, potenti e io continuo immobile e paralizzata come una statua di ghiaccio. Il ciclope dirige i suoi passi, con quei suoi enormi piedi, verso la nave che ha aperto una paratia sul lato. Il gigante vuole rapirmi, soggiogarmi, mangiarmi, uccidermi? È un essere alieno? È questo un sogno, un delirio o sto morendo e sono in cammino verso l’aldilà?

Svengo per il terrore mentre la nebbia intorno a me va nascondendo dietro quell’immenso muraglione di ghiaccio il mistero di una nave sconosciuta.

1 commento:

  1. atmosfere alla Poe per un racconto molto intrigante. Grazie, Adriana
    peppe murro

    RispondiElimina