mercoledì 16 aprile 2014

LA MIA CASA NELL'ALBERO di Adriana Alarco de Zadra



La casa cresceva man mano che l’albero si innalzava. La creatività transgenica produceva alloggi: un’abitazione dentro l’albero. Con questo esperimento moderno, la pianta si sviluppava intorno a una sfera di materiale genetico che si gonfiava dentro di lei. Quando cresceva e arrivava alla dimensione richiesta, la sfera veniva sgonfiata e lasciava un abitazione al centro dell’albero. Crescevano così le case nel bosco.
Si entrava nell’alloggio in mezzo alle radici, in uno spazio che poteva essere suddiviso e arredato a gusto dell’inquilino. Era pregevole la nuova invenzione di produrre case che si fabbricavano da sole, aprendosi un varco dentro gli alberi.
Quando lo spazio dentro al nostro albero fu sufficiente, la sfera di materiale genetico venne sgonfiata e restò un luogo spazioso, circondato dalle parete interne del tronco. Pronto da arredare e riempire di mobili e di tecnologia…
Che altro si poteva desiderare? Essere proprietari di una casa senza dover usare acciaio o mano d’opera! Una meraviglia della scienza moderna!
Era la prima casa della colonia Bosquejo, vigorosa e vitale. L’energia che la pianta assorbiva dal terreno si diffondeva attraverso le pareti concave e poteva essere utilizzata. Le tubature scendevano portando acqua piovana dalla cisterna. Appena fu pronta, mi trasferii nella nuova casa con i miei figli Pastor e Juglar. Vi piazzai dei mobili scomponibili e degli elettrodomestici. I bambini saltavano felici, grattando le pareti della nuova abitazione e dormirono ninnati dai suoni del bosco. Eravamo i primi abitanti a usufruire di quell’invenzione moderna.
Poco tempo dopo, un pomeriggio, le urla spaventate dei miei figli mi fecero trasalire. Notai con terrore che erano immobilizzati nelle pareti interne dell’albero. Si supponeva che non dovesse più crescere, invece stava aumentando a vista d’occhio il suo volume verso l’interno, riempiendo il vuoto. I corpi di Pastor e Juglar sarebbero potuti scomparire inghiottiti dall’albero. La casa del bosco aveva bisogno di un alimento genetico per crescere? Non ero in grado di pensare e stavo perdendo il senno. Con orrore, vidi che non riuscivo a staccarli dalla parete che li abbracciava. Disperato, afferrai un machete, tagliai il legno intorno a Pastor e lo liberai da quella prigione.
Juglar mi guardava supplicante, con la bocca aperta e senza riuscire a gridare, bloccato nella sua infame prigione vegetale. Alla fine, a colpi di machete, riuscii a liberarlo dall’albero che inghiottiva le persone.
Non facemmo mai più ritorno alla colonia transgenica del pianeta. Costruimmo la nostra casa di acciaio, cemento e vetro nella città più chiassosa e bandimmo tutto quello che ci faceva ricordare l’albero ingordo di Bosquejo, il suo legno, la carta e perfino i libri dove anticamente si leggeva quello che oggi si vede sullo schermo. Non mangiamo nemmeno verdura o legumi. Attualmente ci nutriamo solo di pillole vitaminiche e di bevande chimiche.
I miei figli cresceranno circondati di tecnologia, senza visitare boschi genetici, e io nutro la speranza di sopravvivere in salute per il resto dei miei giorni, anche senza la bellezza della natura, tanto rovinata dall’uomo, ultimamente.
(Traduzione dallo spagnolo: Giuliana Acanfora)

5 commenti:

  1. Grazie, Paolo, della tua gentilezza e ringrazio anche Giuliana che traduce i miei racconti incredibili. Voglio precisare che amo la verdura e la frutta.

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  2. Davvero un racconto interessante.
    G.S.

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