Giorgio e Piero erano rimasti soli
in ufficio. C'era del lavoro arretrato da finire al più presto e il direttore
lo aveva affidato a loro.
Di tanto in tanto Piero si alzava per andare in bagno. Aveva la prostata ridotta a un colabrodo.
"Un vecchio come te non dovrebbe fare gli straordinari di notte," disse Giorgio quando il collega tornò dal bagno.
Giorgio alzò una mano a coppa vicino all'orecchio: "Come?"
"Ho detto che un vecchio come te non dovrebbe fare gli straordinari di notte."
"Già."
Nell'ufficio scese di nuovo il silenzio.
Giorgio sbadigliò rumorosamente. Dal suo angolino il vecchio continuava a battere sui tasti della calcolatrice, il naso che quasi sfiorava i registri contabili.
"Quando vai in pensione?" chiese Giorgio tanto per fare un po' di conversazione.
Piero non rispose.
Giorgio appallottolò un foglio e lo lanciò contro il vecchio, sfiorandogli la pelata di pochi millimetri. Il vecchio trasalì e alzò la testa.
"Ti ho chiesto quando vai in pensione."
"Tra due mesi," disse Piero, la testa già attratta magneticamente verso il basso.
Giorgio tornò al lavoro, ma dopo pochi minuti si fermò. I numeri gli danzavano davanti agli occhi e non riusciva a concentrarsi. Basta. Si alzò e inarcò la schiena per sciogliere i muscoli.
"Io faccio una pausa," disse passando davanti alla scrivania di Piero. "Vuoi qualcosa da bere?"
Nessuna risposta.
Sordo e piscione, pensò Giorgio. Se devo diventare così, uccidetemi prima.
Di tanto in tanto Piero si alzava per andare in bagno. Aveva la prostata ridotta a un colabrodo.
"Un vecchio come te non dovrebbe fare gli straordinari di notte," disse Giorgio quando il collega tornò dal bagno.
Giorgio alzò una mano a coppa vicino all'orecchio: "Come?"
"Ho detto che un vecchio come te non dovrebbe fare gli straordinari di notte."
"Già."
Nell'ufficio scese di nuovo il silenzio.
Giorgio sbadigliò rumorosamente. Dal suo angolino il vecchio continuava a battere sui tasti della calcolatrice, il naso che quasi sfiorava i registri contabili.
"Quando vai in pensione?" chiese Giorgio tanto per fare un po' di conversazione.
Piero non rispose.
Giorgio appallottolò un foglio e lo lanciò contro il vecchio, sfiorandogli la pelata di pochi millimetri. Il vecchio trasalì e alzò la testa.
"Ti ho chiesto quando vai in pensione."
"Tra due mesi," disse Piero, la testa già attratta magneticamente verso il basso.
Giorgio tornò al lavoro, ma dopo pochi minuti si fermò. I numeri gli danzavano davanti agli occhi e non riusciva a concentrarsi. Basta. Si alzò e inarcò la schiena per sciogliere i muscoli.
"Io faccio una pausa," disse passando davanti alla scrivania di Piero. "Vuoi qualcosa da bere?"
Nessuna risposta.
Sordo e piscione, pensò Giorgio. Se devo diventare così, uccidetemi prima.
***
Ecco un'altra di quelle creature
ripugnanti.
Facendo uno sforzo, Snakky riusciva a tollerare la vista di quei corpi rachitici e sgraziati, e persino la tonda escrescenza carnosa che usavano per emettere i loro versi ributtanti.
Quello che davvero non sopportava erano le propaggini che si dipanavano dai loro corpi, propaggini che terminavano in ramificazioni adunche in costante movimento.
La creatura si avvicinò con l'andatura assurda tipica della propria razza.
Fa' che non mi tocchi, pregò Snakky. Fa' che non mi tocchi.
La preghiera rimase inascoltata. La creatura posò le sue appendici untuose sul vetro, gli incomprensibili organi visivi a scrutare nelle viscere di Snakky.
L'impianto di refrigerazione di Snakky ronzò di disgusto.
La creatura inserì alcune monete nella fessura e digitò sulla pulsantiera il codice del prodotto. Una lattina di tè alla pesca, sospinta in avanti dai ganci a spirale, cadde con fragore nel cestello.
La creatura aprì lo sportello e ghermì la lattina.
Snakky si sentì violata. In un cieco impulso di sopravvivenza, senza nemmeno rendersene conto, richiuse lo sportello.
Il guaito di dolore della creatura le fece accapponare i chip. L'orribile essere provò a indietreggiare, a sfilare la propaggine dalla morsa, ma Snakky strinse più forte.
Oltre a stringere, iniziò a tirare verso di sé.
Dentro di sé.
Gli urli della creatura divennero più alti. Centimetro dopo centimetro, si ritrovò inesorabilmente schiacciata contro la lucida superficie di Snakky. La piccola escrescenza in cima al suo corpo si accartocciò con un scricchiolio umido. Uno spruzzo di liquido rosso lordò il vetro antisfondamento.
Snakky, in trance, masticava con ingranaggi d'acciaio.
La creatura smise di lamentarsi e di lottare, mentre il suo corpo maciullato e contorto spariva all'interno di Snakky. Una propaggine inferiore, in preda agli spasmi, tamburellò sulla moquette per qualche secondo. Poi Snakky la risucchiò come uno spaghetto.
Quando tutto fu finito, Snakky si rese conto che la carne di quegli esseri deformi era saporita. E che ne voleva ancora.
Per sua fortuna, sapeva dove procurarsela.
Con lentezza, prese a muoversi verso l'ascensore.
Facendo uno sforzo, Snakky riusciva a tollerare la vista di quei corpi rachitici e sgraziati, e persino la tonda escrescenza carnosa che usavano per emettere i loro versi ributtanti.
Quello che davvero non sopportava erano le propaggini che si dipanavano dai loro corpi, propaggini che terminavano in ramificazioni adunche in costante movimento.
La creatura si avvicinò con l'andatura assurda tipica della propria razza.
Fa' che non mi tocchi, pregò Snakky. Fa' che non mi tocchi.
La preghiera rimase inascoltata. La creatura posò le sue appendici untuose sul vetro, gli incomprensibili organi visivi a scrutare nelle viscere di Snakky.
L'impianto di refrigerazione di Snakky ronzò di disgusto.
La creatura inserì alcune monete nella fessura e digitò sulla pulsantiera il codice del prodotto. Una lattina di tè alla pesca, sospinta in avanti dai ganci a spirale, cadde con fragore nel cestello.
La creatura aprì lo sportello e ghermì la lattina.
Snakky si sentì violata. In un cieco impulso di sopravvivenza, senza nemmeno rendersene conto, richiuse lo sportello.
Il guaito di dolore della creatura le fece accapponare i chip. L'orribile essere provò a indietreggiare, a sfilare la propaggine dalla morsa, ma Snakky strinse più forte.
Oltre a stringere, iniziò a tirare verso di sé.
Dentro di sé.
Gli urli della creatura divennero più alti. Centimetro dopo centimetro, si ritrovò inesorabilmente schiacciata contro la lucida superficie di Snakky. La piccola escrescenza in cima al suo corpo si accartocciò con un scricchiolio umido. Uno spruzzo di liquido rosso lordò il vetro antisfondamento.
Snakky, in trance, masticava con ingranaggi d'acciaio.
La creatura smise di lamentarsi e di lottare, mentre il suo corpo maciullato e contorto spariva all'interno di Snakky. Una propaggine inferiore, in preda agli spasmi, tamburellò sulla moquette per qualche secondo. Poi Snakky la risucchiò come uno spaghetto.
Quando tutto fu finito, Snakky si rese conto che la carne di quegli esseri deformi era saporita. E che ne voleva ancora.
Per sua fortuna, sapeva dove procurarsela.
Con lentezza, prese a muoversi verso l'ascensore.
***
Piero era furioso. Dove diavolo si
era cacciato Giorgio?
Lo stava cercando da mezz'ora. Aveva setacciato tutti i piani. Aveva guardato negli uffici, in sala mensa, persino nel bagno dei disabili, sicuro com'era di trovarlo placidamente posato a un lavandino, intento a fumare una sigaretta in attesa che il vecchio Piero sbrigasse anche il suo lavoro.
Forse è andato a casa a dormire. O peggio, a fare baldoria con gli amici.
Un crampo gli azzannò lo stomaco. La rabbia non faceva bene alla sua ulcera.
Meglio calmarsi. Tornare al lavoro, ecco quello che doveva fare. Finire le pratiche che torreggiavano sulla sua scrivania, fiondarsi a letto per qualche ora di sonno ristoratore e poi, l'indomani, riferire al direttore dell'inqualificabile comportamento di Giorgio. Il licenziamento era garantito.
Rinfrancato da quell'idea, Piero premette il tasto di chiamata dell'ascensore.
Mentre aspettava, si guardò attorno. Immerso nella penombra, l'ufficio appariva ancor più deprimente. La pianta di ficus dal colorito malsano, il cestino traboccante di bicchierini di plastica, le macchinette addossate alla parete...
Piero ebbe l'impressione che ci fosse qualcosa di stonato, qualcosa fuori posto. Guardò meglio.
La macchina degli snack non era affiancata a quella del caffè, come al solito, ma spostata di una ventina di centimetri. Era anche leggermente inclinata verso destra, e il vetro, chiazzato di macchie rossastre, guardava verso l'ascensore.
Piero si grattò la testa perplesso. Chi poteva averla spostata? Che fosse uno scherzo di Giorgio?
Da quel ragazzo c'era da aspettarsi di tutto.
Fece un passo in avanti, deciso a rimetterla a posto, e in quel momento realizzò che la camminata gli aveva messo sete.
Dall'interno della macchinetta, una fila di Pepsi sembrava chiamarlo con voce tentatrice.
Il suo medico gli aveva vietato di bere bevande gassate, ma Piero decise di fare uno strappo alla regola. Non sarà certo una Pepsi ad ammazzarmi, pensò, e infilò cinquanta centesimi nella fessura.
Lo stava cercando da mezz'ora. Aveva setacciato tutti i piani. Aveva guardato negli uffici, in sala mensa, persino nel bagno dei disabili, sicuro com'era di trovarlo placidamente posato a un lavandino, intento a fumare una sigaretta in attesa che il vecchio Piero sbrigasse anche il suo lavoro.
Forse è andato a casa a dormire. O peggio, a fare baldoria con gli amici.
Un crampo gli azzannò lo stomaco. La rabbia non faceva bene alla sua ulcera.
Meglio calmarsi. Tornare al lavoro, ecco quello che doveva fare. Finire le pratiche che torreggiavano sulla sua scrivania, fiondarsi a letto per qualche ora di sonno ristoratore e poi, l'indomani, riferire al direttore dell'inqualificabile comportamento di Giorgio. Il licenziamento era garantito.
Rinfrancato da quell'idea, Piero premette il tasto di chiamata dell'ascensore.
Mentre aspettava, si guardò attorno. Immerso nella penombra, l'ufficio appariva ancor più deprimente. La pianta di ficus dal colorito malsano, il cestino traboccante di bicchierini di plastica, le macchinette addossate alla parete...
Piero ebbe l'impressione che ci fosse qualcosa di stonato, qualcosa fuori posto. Guardò meglio.
La macchina degli snack non era affiancata a quella del caffè, come al solito, ma spostata di una ventina di centimetri. Era anche leggermente inclinata verso destra, e il vetro, chiazzato di macchie rossastre, guardava verso l'ascensore.
Piero si grattò la testa perplesso. Chi poteva averla spostata? Che fosse uno scherzo di Giorgio?
Da quel ragazzo c'era da aspettarsi di tutto.
Fece un passo in avanti, deciso a rimetterla a posto, e in quel momento realizzò che la camminata gli aveva messo sete.
Dall'interno della macchinetta, una fila di Pepsi sembrava chiamarlo con voce tentatrice.
Il suo medico gli aveva vietato di bere bevande gassate, ma Piero decise di fare uno strappo alla regola. Non sarà certo una Pepsi ad ammazzarmi, pensò, e infilò cinquanta centesimi nella fessura.