Decine
di cosmonavi interplanetarie sbarcavano su Pronixx 12 una moltitudine
di giornalisti provenienti dal pianeta Terra e da altre colonie
terrestri. Le sale Teletrasporto materializzavano decine di esseri
umani al minuto. Nemmeno all’inaugurazione della colonia penale di
trent’anni prima si erano visti tanti corrispondenti.
La
sala conferenze era esaurita in ogni ordine di posto. Si dovevano
organizzare diverse sessioni per poter soddisfare tutti gli inviati.
Il
segretario generale della colonia penale, sull’asteroide Pronixx
12, lesse l’oggetto della conferenza stampa straordinaria, poi
iniziarono le valanghe di domande.
Il
responsabile generale dei dodici penitenziari era il Direttore 08,
rappresentante delegato, autorizzato a rispondere alle miriadi di
informazioni da parte degli inviati. Di fianco a lui, erano seduti
gli altri undici direttori.
‒ Direttore
08 ‒ domandò uno dei tanti giornalisti mandati sull’asteroide ‒
come le è venuta in mente questa idea?
Il
direttore finì di pulirsi gli occhiali da sole, con calma.
‒ La
colonia penale soffriva da anni di sovraffollamento ‒ spiegò Bryon
Lockhart ‒ le entrate superavano di gran lunga le uscite.
‒ Mi
scusi, può essere più chiaro ‒ intervenne un reporter ‒ cosa
intende per entrate e uscite?
‒ Beh,
mi sembra chiaro ‒ disse Lockhart con un sorriso deformato ‒
entrate, uguale accesso di nuovi detenuti. Uscite, uguale esecuzioni
dei condannati a morte. Poi ci sono i soliti casi di decessi per
cause naturali, ma non bastano per il depennamento.
Lockhart
fece una pausa, si stava stirando un baffo brizzolato e ingiallito
dalla nicotina.
‒ Dopo
aver ascoltato i pareri dei miei colleghi, circa tre anni fa mi è
venuta l’illuminazione
di organizzare una corsa tra i detenuti del braccio della morte,
quelli condannati all’ergastolo e tutti gli altri ospiti delle
carceri che vi avessero voluto partecipare. C’è voluto un po’
per perfezionarla e renderla esecutiva, ma ne è valsa la pena.
‒ Direttore
08, ci risulta che per i condannati a morte e gli ergastolani
l’iscrizione sia obbligatoria, conferma? ‒ chiese un altro
giornalista.
‒ Proprio
così.
‒ Non
le sembra una coercizione tirannica, tutto questo? ‒ domandò una
bella biondina, inviata dall’Heisenberg Post.
‒ Che
parolone. ‒ disse, ridendo a denti stretti. ‒ No, perchè
sarebbero dovuti morire comunque, prima o poi. In questo modo invece,
chiunque dovesse riuscire nell’impresa otterrebbe l’amnistia e
una nuova vita come colono su Mlaflag-T. In questa gara non conta
arrivare primi, ma arrivare, è chiaro?
‒ E'
un’impresa
impossibile. ‒ disse un giornalista del Moon Journal.
‒ Non
è impossibile. ‒ rispose Lockhart. ‒ Ardua, ma non impossibile.
‒ Teneva una stilografica d’oro tra le mani, e la rigirava tra le
dita ossute.
‒ Quindi
si tratta di una vera e propria prova di sopravvivenza? ‒ chiese
l’inviata dell’Heisenberg Post. Il direttore osservò la ragazza
con occhi socchiusi e acquosi. Lei non distolse lo sguardo. Lockhart
sbuffò col naso.
‒ Esatto.
Uno slalom tra i blocchi di ghiaccio dell’Anello Bianco.
‒ è
un metodo alquanto drastico. ‒ intervenne il rappresentante del
Quantum.
‒ Ma
pratico. ‒ rispose Lockhart, infilandolsi la stilografica nel
taschino della giacca. ‒ E non infrange alcuna norma, in quanto
Pronixx 12, come pianeta di detenzione autonomo, è fuori dalla
giurisdizione terrestre.
‒ A
me sembra piuttosto un suicidio di massa. Gli statisti hanno
calcolato che esistono remote possibilità di riuscita. ‒ disse un
giornalista.
‒ Audaces
fortuna iuvat.
‒ rispose Lockhart lisciandosi l’altro baffo.
‒ Ci
può spiegare il funzionamento e le regole di questa singolare
competizione? ‒ Altra domanda.
‒ Di
regole ne esistono solo due ‒ Lockhart alzò il dito indice ‒
Primo: non è previsto il ritiro se non a causa di incidente mortale.
Chi, durante la corsa, dovesse pentirsi
e tentare di uscire dall’Anello Bianco, verrebbe disintegrato
all'istante dai dispositivi Anti-efflusso, i quali orbitano poco
fuori dalla fascia, attorno al pianeta.
Poi
alzò anche l’anulare. ‒ Secondo: ogni detenuto deve
auto-costruirsi il mezzo con cui tentare di affrontare e uscire
indenne dall’Anello Bianco. Per l’assemblaggio e il collaudo, i
ragazzi hanno due periodi di tempo. Per il resto la gara è senza
esclusione di colpi.
‒ Cane
mangia cane. ‒ disse uno del Nightcrawler.
‒ Viviamo
in un modo crudele. ‒ ribattè Lockhart, con un sorriso
mefistofelico.
‒ Signori,
temo che questo sia tutto. ‒ Il direttore si alzò in piedi e
salutò gli astanti con un cenno del capo. Uscì da una porta
scorrevole seguito dagli altri direttori, mentre le domande dei
giornalisti si mescolavano fino a impastarsi in strilli confusi.
‒ Quello
è uno psicopatico ‒ disse un giornalista ‒ dovrebbero mandarci
lui a fare slalom nell’Anello.
Yul
Cobrax si era scelto una carrozzeria particolare appartenuta a
un’automobile della prima metà del ventesimo secolo, quando ancora
ci si spostava su ruote. La lamiera azzurra era ancora in buono
stato, tanto che erano presenti pochissime macchie di ruggine, però
non si riusciva a risalire alla marca originaria. Forse una Buick.
Cobrax l’aveva scelta dal catalogo on-line di Ramon Ramirez, un
proprietario di mezzi d’epoca che gestiva un museo sulla Terra e
forniva in esclusiva le carrozzerie e il materiale meccanico a tutti
i piloti. Per questo, si doveva ringraziare il Fondo
Cassa Detenuti
di Pronixx 12, che finanziava i partecipanti alla corsa.
Il
telaio però, era del tutto diverso da quello di quasi
centocinquant’anni fa. Sotto i parafanghi non ci sarebbero stati
pneumatici ma stabilizzatori Conley e nel vano motore un endorazzo al
posto dell’anacronistico propulsore termico, andato in pensione da
oltre novant’anni. Ma la chicca tecnologica era il modulo Gravitax,
anche se era solo la versione basic.
‒ Mancano
poche settimane alla corsa ‒ disse Remo Drabek ‒ e non hai ancora
montato il modulo Gravitax.
‒ Non
ho fretta. ‒ rispose Cobrax disteso sulla branda dell’officina,
con le mani dietro la nuca.
‒ Se
lo dici tu. ‒ Remo Drabek era imbrattato di grasso fino agli
avambracci. ‒ Intanto gli altri sono tutti a buon punto.
Cobrax
rimase in silenzio.
‒ Mi
domando cosa diavolo stai aspettando.
‒ Quisling
mi deve procurare un paio di cose. ‒ disse Cobrax.
‒ Chi?
‒ Quello
del Braccio 19. Aspetto dei tubi elettronici e un paio di
robotrotter. Tu a che punto sei, invece?
‒ Domani
inizio il collaudo.
Ci
fu una pausa di silenzio, si sentiva solo il ronzio delle turbine
della vicina centrale I.B.K.
‒ Credo
che tu stia facendo un errore madornale, Yul. Io sono un ergastolano
e mi gioco il tutto per tutto, ma a te restano diciotto anni, non
sono uno scherzo, lo so, ma... se fossi in te non rischierei.
‒ Ad
essere sincero ‒ continuò Drabek ‒ non credo che uscirai vivo
dal Grande Anello.
‒ Senti
Drabek, ne abbiamo già parlato, sono giovane e ho ancora tanti
progetti. Non voglio marcire in questo posto per i prossimi
vent’anni, chiaro? ‒ Disse seccato Cobrax.
‒ Ho
un piano. Non ho nessuna intenzione di fare il colono su un pianeta
per agricoltori, e poi ho promesso ai ragazzi che sarei tornato.
‒ A
quelli del Vulnus? ‒ Drabek si fece una risata. ‒ Chissà se si
ricorderanno di te, dopo due anni.
‒ Ero
il loro capitano. E abbiamo un accordo. Sono uomini d’onore.
‒ I
pirati non hanno onore. ‒ disse con sdegno Drabek.
Cobrax
scattò in piedi raccogliendo da terra una chiave Brandolph. Drabek
si alzò d’istinto dal cofano e si riparò la faccia con le braccia
unte, sporcandosi la pelle.
‒ Basta,
basta! Lasciate che ad ammazzarvi ci pensi il Grande
Bianco.
‒ Lo
hai sentito Hinrik? Ha detto che...
‒ L’ho
sentito, l’ho sentito. ‒ disse il vecchio dalla pelle color
mogano. ‒ E tu ti scaldi per così poco? Al diavolo ragazzi! ‒
Sid Hinrik sorrideva a entrambi, tenendo in mano la sua vecchia pipa
di ciliegio.
‒ Non
ti approfittare della nostra amicizia. ‒ disse duro Cobrax. Gettò
la chiave per terra e uscì dall’officina.
Drabek
tornò con le mani nel grasso, chiedendosi che cosa avesse in mente
Cobrax.
Yul
Cobrax si sedette al suo posto abituale in sala mensa. Nel vassoio
c’era la solita sbobba scura che offriva la cucina del carcere.
‒ Ti
va di fare a metà? ‒ chiese sorridendo un detenuto dai capelli
ricci e cremisi, mentre si sedeva di fronte. ‒ Io ti do un po’
della mia broda e tu un po’ della tua.
‒ Quisling.
‒ disse Yul. ‒ Hai procurato quel che ti avevo chiesto? ‒
chiese Cobrax senza staccare gli occhi dal vassoio.
‒ è
roba pericolosa quella. Per adesso ho solo i tubi elettronici, per i
robotrotter ho bisogno di tempo.
Quisling
si guardò intorno, non voleva che altri orecchi captassero le sue
parole.
‒ Entrare
nel laboratorio S.T.I. non è per niente semplice. ‒ continuò,
parlando a bassa voce. ‒ Senti... dovrei avere la roba per
dopodomani.
‒ Bene
‒ disse Yul.
Quisling
giocherellava con il cucchiaio nel liquido denso.
‒ Quando
conti di assemblarli? ‒ chiese.
Nella
cella quattordici, Drabek se ne stava disteso con gli occhi chiusi
sulla branda superiore.
‒ Senti,
Yul ‒ disse ‒ mi dispiace per quelle offese, giù in officina.
‒ Ho
in mente un piano di fuga, Remo.
Ci
fu un attimo di silenzio.
‒ Un
piano di fuga? ‒ ripetè Drabek.
‒ Mi
sono fatto procurare del materiale sottobanco dalla Sala Trasporti
Istantanei. Quisling ha un buon aggancio là dentro. Da uno che gli
deve dei favori.
‒ Dag
Quisling? Quello di cui mi parlavi in officina?
‒
Prima di finire in
quella dannata trappola magnetica, su 354 Yol e venire catturato
dalle Guardie Kupleriane e prima ancora che il nostromo del Vulnus
facesse esplodere le mine per garantire la fuga al resto
dell’equipaggio, mi spiegò come costruire un Localizzatore Bet.
‒
Fu una missione
rischiosa. Ebbi la peggio io. Mi promise che sarebbero tornati a
riprendermi quando sarebbe stato possibile intercettare il segnale
del Localizzatore.
‒
Ah, andò così
lassù ‒ disse Drabek ‒
comunque il Localizzatore non ha la potenza di farti individuare
dentro una cella e nemmeno sulla superficie di questo schifoso
asteroide. ‒ disse Drabek.
‒ Degli
informatori sapevano già due anni fa della corsa. Erano al corrente
che si sarebbe disputata dentro il Grande Anello.
‒ Mh.
Da quel che ne so, oltre al Localizzatore Bet, serve anche un
ripetitore che faccia da ponte. ‒
fece Drabek.
‒
Il nostromo mi disse
che
avrebbero provveduto a lanciarne uno camuffato da lattina di Coca,
dentro la discarica di rifiuti su Debris, il satellite di Pronixx.
Drabek
si mise a ridere.
‒ Il
Vulnus opera sempre nel settore del VII
Conglomerato Stellare, il segnale ha un raggio d'azione abbastanza
potente da arrivare a coprire tutta quell'area.
‒ Quante
sono le probabilità di successo? ‒ chiese Drabek.
‒ Il
settanta per cento, forse di più. Mentre la percentuale di
sopravvivere alla corsa è del sette, otto per cento.
‒ Basterebbero
solo dieci minuti per permettere agli operatori del Vulnus di
localizzarci, e teletrasportarci subito da dentro l'abitacolo dei
nostri endorazzi.
‒ Dieci
minuti in mezzo ai blocchi di ghiaccio dell'Anello Bianco non sono
uno scherzo. ‒ disse Drabek.
‒ Io
dico che basteranno, devono
bastare. Allora, che ne dici?
‒ Beh,
non ho niente da perdere comunque, ma se il tuo piano concede
possibilità maggiori di sopravvivenza, credo proprio che... ‒
Drabek non fece in tempo a finire la frase.
‒ Domani
dirò a Quisling di procurarmi altro materiale.
‒ Ti
fidi di Quisling? ‒ chiese Drabek.
‒ Certo.
Gli ho promesso che lo avrei portato con me sul Vulnus.
I partecipanti erano
stipati nell'arena in attesa del discorso da parte di Bryon Lockhart.
Dopo un paio d'ore, l'ologramma del direttore si materializzò sul
palco. Yul Cobrax e Remo Drabek erano seduti uno di fianco all'altro,
un paio di gradinate più sotto, stava Dag Quisling. Non si girava
mai verso i suoi compagni di fuga per non destare troppi sospetti, il
posto era pieno di videocamere ad alta definizione e amplificatori
audio installati sotto tutti i sedili. Ogni detenuto, erano oltre
quindicimila, aveva puntati addosso sguardi elettronici e sensori
ultra-sensibili alla percezione di suoni e rumori. Tra i prigionieri
assiepati sulle gradinate, passavano inosservati falsi carcerati che
in realtà erano spie infiltrate della Guardia Kupleriana e della
Polizia Segreta. I tre preferivano non fidarsi di nessuno e dovevano
agire con estrema cautela.
‒
Sembra
di essere a una finale dell'NKKA. ‒ disse Drabek.
‒
Scommetto
tutti i bottini conquistati dal Vulnus che non se ne salverà nemmeno
uno di questi poveri disgraziati. ‒ commentò Cobrax.
Lockhart appariva in
tutta la sua pomposità. In testa portava un cappello nero a tesa
larga in stile cow-boy, che faceva ombra agli occhiali a specchio che
cavalcavano il naso affilato. Come al solito, aveva la tendenza a
lisciarsi i folti baffi brizzolati e ingialliti da anni di nicotina.
Indossava un soprabito dello stesso colore del cappello e lungo fino
ai piedi. Più che un direttore di penitenziario, sembrava il
protagonista cattivo di un vecchio film western.
Il suo discorso durò
mezz'ora scarsa e poi augurò, con un sorrisetto falso e ironico,
buona fortuna a tutti.
‒ Quello
ci prende per i fondelli. ‒ osservò Drabek.
Non
c'era un vero e proprio schieramento di partenza, gli endorazzi
erano ammassati in modo disordinato, nella sabbia azzurra del Grande
Cratere Deserto in attesa del via. Al segnale, i mezzi sarebbero
saliti in modo graduale,
diminuendo l'attrito gravitazionale con il suolo dell'asteroide, fino
a entrare in orbita. Dopo un secondo segnale, i piloti avrebbero
acceso i motori per entrare nella scia dei massi di ghiaccio che
compongono l'Anello Bianco, percorrendo un giro completo
dell'equatore in senso contrario alle roccie.
L'endorazzo di
Cobrax era simile a quelle automobili americane degli anni sessanta
del ventesimo secolo, con due codoni posteriori. Sulle fiancate e sul
tetto, stava in bella evidenza l'insegna del proprio penitenziario
d'appartenenza: il Rosen 08. Poco più sotto, c'era il suo numero di
matricola stampato a caratteri bianchi. Yul era protetto dentro una
tuta Rendering, fornita dal penitenziario numero otto e disponeva di
una riserva d'aria di circa tredici ore.
Il motore del suo
endorazzo generava un boato cupo e di forte intensità, che unito con
il frastuono delle altre migliaia di propulsori, provocava un
emozionante spettacolo acustico senza precedenti.
Non riusciva a
scorgere nè Remo Drabek e nemmeno Dag Quisling, seppelliti in quel
mare di lamiere variopinte.
Mancavano
pochi minuti al via. Nella sala dei computer, Lockhart e i suoi
colleghi direttori se ne stavano con le natiche sprofondate sopra i
loro comodi seggi di pelle bruna. Parevano imperatore e senatori
della Roma antica, in attesa di dare il via ai giochi. Erano i Dodici
Duci
di Pronixx.
Le centinaia di
inviati erano assiepati in diverse sale provviste di megaschermo. Le
immagini della corsa erano riprese da una sfilza di satelliti
collocati lungo l'intera zona equatoriale del pianeta. Riprendevano
ogni minimo particolare, standosene al sicuro fuori dalla portata
delle rocce ghiacciate.
Lockhart diede il
via e migliaia di endorazzi dalle linee più svariate e originali,
iniziarono il loro lento decollo verticale.
Drabek era alla
guida di una specie di cilindro scuro che aveva decorato con immagini
macabre. Quisling aveva scelto un antico caccia militare di fine
ventunesimo secolo, con una bocca di squalo dipinta sulla carlinga.
Sembravano tanti palloncini che si sollevavano in aria liberati
durante una festa. Uno di essi, a causa di un guasto all'impianto
gravitazionale, precipitò come un ferro da stiro, schiantandosi
sulla sabbia. Lo stesso accadde ad altri due, tre, dieci...
‒ I
suoi sabotatori hanno fatto un notevole lavoro, signor Baade. ‒
disse soddisfatto Lockhart. L'altro ringraziò con un sorriso e un
inchino del capo. ‒ Ne cadranno ancora un centinaio, di più non si
poteva fare, sarebbe stato un boicottaggio troppo evidente.
‒ Va
bene così. ‒ disse Lockhart.
Dentro l'abitacolo
dov'era sistemato Cobrax, l'altimetro sul cruscotto segnava quota
novanta chilometri.
‒ é
ora di accendere il Localizzatore Bet.
Drabek e Quisling
fecero lo stesso, quasi in perfetta sincronia. Caddero altri
endorazzi, poi l'epidemia si placò.
Un'ora
dopo il decollo, il rimanente dei partecipanti raggiunse l'orbita. La
fascia interna dell'anello era a circa settecento chilometri. Si
potevano distinguere miliardi di macigni ghiacciati sfrecciare a
velocità grandiose. Da quella distanza sembravano innocui granelli
che variavano da un blu cobalto cupo, all'acquamarina.
Lockhart
diede il secondo segnale, quello che lui chiamava il
tramonto della vita.
I
piccoli veicoli spaziali, dopo aver acceso i postbruciatori,
sembravano tante lucciole, un gigantesco sciame luminoso che si
sarebbe man mano smorzato in poco tempo.
‒
Incrociamo
le dita e speriamo che il Vulnus sia dove dev'essere. ‒ disse
Cobrax, che sperava nel primo timoniere Herschel.
Yul
pensava a Drabek, a tutte le volte che Remo lo aveva salvato dai
soprusi degli altri carcerati. Pensava alle lunghe chiaccherate
profonde, ma anche ai momenti allegri e piacevoli. Pensava ai suoi
compagni del Vulnus: la Confraternita
del Grog
e alla voglia che aveva di riunirsi a loro e guidarli di nuovo in
pericolose scorribande. Pensava al vecchio Hinrik, il padre che non
aveva mai conosciuto. Ma i suoi occhi si incendiavano, quando nella
sua mente si materializzava il volto bastardo di Bryon Lockhart, il
direttore, o meglio, il dittatore, il despota, il tiranno del carcere
di Pronixx 12. Non che gli altri fossero da meno, tutti squali
corrotti che pensavano solo a riempirsi le loro avide bocche di oro a
discapito di altri esseri umani, ma il Direttore 08 era il peggiore.
Un Satana carnificato che dominava sul proprio Regno Infernale.
Cobrax digrnignò i denti e strinse la cloche del mezzo, immaginando
che fosse un tubo d'acciaio con cui rompere il muso al Direttore 08.
Era anche per questo motivo che aveva elaborato il suo piano di fuga,
per tornare a uccidere Lockhart.
Cobrax non fu il
primo a entrare nell'unica fascia che circondava Pronixx 12, fu
testimone dei primi schianti. Quei miseri ammassi di lamiera, si
spiaccicavano sui macigni come moscerini sul parabrezza. Tutto
accadeva in frazioni di secondo. Forse quei poveri diavoli non se ne
accorgevano nemmeno. Però ne vide alcuni resistere dentro quel
movimento vorticoso, intenso e continuo, in quella bufera di sassi
ghiacciati.
Dallo spazio, il
Grande Anello che circondava Pronixx 12, si presentava come un
cerchio con tinte tra il grigio, il bianco e sfumature di marrone
chiaro a causa di altri materiali frammisti al ghiaccio.
‒ Credo
si arrivato il mio turno ‒ disse Cobrax ‒ coraggio, Yul.
Accellerò portando
l'endorazzo nel mezzo della mischia. Chissà dov'erano i suoi amici
in questo momento. Erano ancora vivi?
Il primo ammasso
congelato gli passò a pochi centimetri dalla fiancata destra, Cobrax
non ebbe nemmeno il tempo di virare, se lo ritrovò lì. Un altro
paio di rocce gli fecero un'improvvisata, una passò sotto, l'altra
ancora rasentando la fiancata destra. Cobrax ringraziò la buona
sorte.
Un endorazzo dalla
forma bizzarra, lo sorpassò. Sparì dietro un nugolo di rocce nivee,
quasi trasparenti. Vide solo il bagliore dell'esplosione.
Davanti a sè,
quantità incalcolabili di ammassi ghiacciati gli venivano addosso
come astrotir in contromano, ne schivò quattro a distanza
ravvicinata, era chiaro che lo schianto sarebbe stato questione di
minuti. Il led giallo del Localizzatore, lampeggiava veloce.
‒ Forza
Herschel, forza! ‒ La paura lo attanagliava.
Un masso gli passò
sulla capote, provocando uno squarcio. L'endorazzo traballò, un
secondo blocco lo prese di striscio sulla parte posteriore destra,
mandando il mezzo a compiere una giravolta su se stesso. Cobrax mise
in funzione i freni aerodinamici e cercò di riprendere il controllo
del mezzo. Riuscì a compiere un miracoloso zig-zag in mezzo a una
coppia di mostruosi iceberg cosmici. Non c'era tregua.
Molti endorazzi
venivano falciati dai macigni impietosi del Grande Bianco, altri
piloti, meno intrepidi, uscivano dall'anello affrontando i micidiali
dispositivi anti-efflusso che non concedevano scampo. Molti carcerati
venivano disintegrati dagli anti-efflusso anche dentro la fascia
stessa. Lockhart giocava sporco e si giustificava con i giornalisti,
dicendo che i dispositivi anti-efflusso avevano delle imperfezioni e
che dovevano essere perfezionati.
Cobrax stava
perdendo la speranza, dov'era il Vulnus? E se fosse stato distrutto
in uno scontro con qualche incrociatore Kupleriano? O se i suoi lo
avessero abbandonato? Yul era così tanto assorto pensando a tutte le
più nefaste soluzioni, che non si avvide del possente ammasso
ghiacciato che stava entrando in collisione con lui. Era troppo tardi
per fare qualcosa.
D'improvviso,
qualcosa lo colpì in maniera violenta contro la fiancata sinistra,
sentì un forte rumore di lamiere. Venne spinto di lato, appena fuori
dalla portata del macigno che passò rasente la struttura laterale
dell'endorazzo.
Cobrax era ancora
frastornato da quello che era appena successo. Era stato miracolato.
Si girò sulla sinistra e vide il vecchio Sid Hinrik poco prima che
venisse investito da un secondo macigno. Il vecchio Sid si era
sacrificato per lui.
‒
Hinrik!
‒ urlò, tenendo un occhio alla guida, l'altro alla spia del
rilevatore e la mente al vecchio amico che si era immolato per lui.
Il
suo stato d'animo era un riflesso di pena e profonda malinconia, e
allo stesso tempo schiacciato dall'impellente necessità di salvarsi.
Ma non c'era tempo per soffrire, non ora.
Il Vulnus ci stava
mettendo troppo tempo per localizzarlo.
‒ Ma
che diavolo stanno aspettando? ‒ disse stizzito.
Il led giallo del
Localizzatore Bet rallentò le pulsazioni luminose, sembrava un cuore
che si stava spegnendo. Cobrax esultò, perché significava che dal
Vulnus lo avevano infine localizzato. Si trattava di resistere un
minuto ancora, forse meno.
L'endorazzo di
Cobrax si trovava al limite della fascia esterna dell'anello. Un
Dispositivo Anti-efflusso lo intercettò e liberò dalle sue
canaline, una serie di lampi verdastri. Una folgore centrò la parte
posteriore, disintegrandola. L'endorazzo, o quello che ne rimaneva,
iniziò a roteare su se stesso. Cobrax era in balia di una tremenda
forza centrifuga che lo sballottava dentro l'abitacolo. Con un
impiego di energie superiore al consueto, stava aggrappato al sedile,
evitando di essere risucchiato nello spazio.
L'Anti-efflusso
rigurgitò un'altra quantità di raggi disintegratori, mentre un paio
di ammassi gelati erano nella traettoria dell'endorazzo impazzito. I
lampi furono più veloci e disintergrarono l'endorazzo. I due massi
dovettero accontentarsi di travolgere la polvere metallica.
A bordo del Vulnus
qualcosa si stava materializzando nella sala teletrasporto.
Cobrax comparve
nella sua tuta spaziale bianca, accasciato a terra. Si rialzò
intorpidito dal viaggio nell'onda dello spazio-tempo.
Si mise a sedere e
si tolse il casco, gettandolo ai suoi piedi. Si scompigliò i capelli
e poi volse lo sguardo verso la consolle di comando. Sorrise e fece
un cenno di saluto con la mano.
Dietro il pannello
di controllo, stava Hanckok.
‒ Hank,
vecchio mio...
Dietro Hanckok, una
porta scorrevole si aprì con un sibilo ovattato.
Hanckok abbassò lo
sguardo sui comandi e chiuse gli occhi.
Entrò
Remo Drabek, sorridente, dentro sua la divisa color fango in
dotazione alla Polizia Segreta. Era un androide-talpa del tipo D
che veniva impiegato come infiltrato tra i detenuti. Erano ottimi per
carpire tutte le informazioni che giravano tra i carcerati, ignari di
avere tra i piedi dei robot.
Se ne stava
impettito, mostrando le sue mostrine da capitano. Lo seguì una
figura avvolta in un impermeabile scuro, come il cappello a tesa
larga in stile cow-boy. Le sottili labbra accennavano un sorriso
silenzioso e misurato, mentre con due dita si lisciava un baffo
brizzolato e ingiallito da anni di fumo. L'uomo si tolse gli occhiali
a specchio e con i suoi piccoli occhi da Mamba, fissava quelli di
Cobrax, mentre la sua mano destra si appoggiava complice sulla spalla
di Drabek.
‒ Cosa...
significa? ‒ chiese Yul, che iniziava a inquadrare il complotto.
‒
Salve
Cobrax ‒ disse Lockhart ‒ ti sono mancato?
Fantascienza avventurosa, d'azione, quella di Antonio. Molto avvincente il suo racconto.
RispondiEliminaPIacevole lettura. Una storia movimentata, in linea con la più tipica fantascienza avventurosa.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino
Grazie Paolo e Giuseppe per i vostri graditissimi commenti.
RispondiEliminaAntonio Ognibene
Grazie a te, Antonio; grazie della tua collaborazione. E' sempre un piacere ospitare sulle pagine di Pegasus Sf i tuoi racconti, veramente avvincenti e, oserei dire, "cinematografici".
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