Mi hanno rinchiuso in
questa struttura fin dal giorno in cui cadde la foglia. Dicono che sono matto,
ma io so di aver ragione. Non so come dimostrarlo, però, quindi sono stato
condannato ed etichettato.
Da quando hanno chiuso i
manicomi, le persone ‘fuori di testa’ vengono internate in posti a metà strada
tra gli ospedali e le case-famiglia. Non si sta troppo male, se si riesce a
fare l’abitudine ai comportamenti allucinati o strambi degli altri ‘ospiti’.
C’è chi urla, chi si
strappa i vestiti di dosso, chi mangia di continuo e chi non sa nemmeno tenere
in mano il cucchiaio. E poi ci sono quelli come me: hanno assistito a un
fenomeno inspiegabile e hanno avuto la malaugurata idea di raccontarlo in giro.
Sono vivo per miracolo,
ma questo particolare non interessa a nessuno, dato che non ho parenti prossimi
o amici intimi. Ero già considerato un tipo strambo, al quale era stata
appiccicata l’etichetta ‘solitario’. Stare bene con se stessi è considerato un
po’ folle, nella nostra frenetica società. Tutti si affannano a riempire il
tempo da trascorrere da soli con telefonate, impegni mondani, secondi lavori o
amori a perdere. Io non l’ho mai fatto.
Lei mi chiede cosa mi ha
portato qui, dottore. La capisco: è ancora giovane e idealista, e probabilmente
sta pensando che riuscirà a guarirmi. Non può, però, perché io non sono affatto
malato. Mi è successo un evento inspiegabile, tutto qui.
Vuole che glielo
racconti? Bene. Si tenga forte, perché stiamo per decollare verso il regno
dell’impossibile.
Qualche mese fa stavo
andando a trovare un mio conoscente, in un paesino di campagna, e percorrevo
una stradina costeggiata da alberi di ogni tipo e dimensione, quando è
accaduto.
Era autunno, e sui rami
protesi verso il cielo terso le foglie avevano dei colori magnifici, che
andavano dal giallo chiaro al marrone intenso. Procedevo quasi a passo d’uomo,
incantato dallo stupendo spettacolo che la natura mi regalava.
All’improvviso una
foglia si è staccata da un ramo altissimo ed è caduta sul cofano della mia
auto.
Capita spesso, dice?
Guardi che non ho ancora terminato.
Man mano che cadeva, la
foglia diventava sempre più grande, come se una forza al suo interno la
spingesse a dilatarsi. Quando ha colpito il cofano era ormai lunga più di un
metro e pesante quanto un piccolo tronco. Appena mi sono reso conto di quello
che stava accadendo, ho sterzato nel tentativo di evitarla, finendo fuori
strada, anche se di poco.
Non l’ho evitata,
comunque. Mi ha ammaccato il cofano, rotto il parabrezza e danneggiato il
motore.
Ho chiamato il carro
attrezzi, e raccontato quello che era successo. Avrei dovuto immaginare che mi
avrebbero tolto dalla circolazione, in tutti i sensi: mi hanno ritirato la
patente, interrogato miriadi di volte, e poi rinchiuso qui. Se fossi stato meno
sincero, sarei ancora lì fuori, nel mondo reale.
E anche se mentissi a
lei, potrei tornare a casa, ammesso che io abbia ancora una casa. Ma non ho
intenzione di mentire: ho visto una foglia ingigantirsi in pochi secondi,
colpire la mia auto e poi tornare pian piano alle sue dimensioni normali.
Uscirò di qui soltanto
quando qualcuno crederà alla storia che le ho appena raccontato, riabilitando
il mio buon nome e garantendo sulla mia salute mentale.
Come dice, dottore? Devo
rassegnarmi…
Sì, lo so: chi non si
conforma è perduto.
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