Nel 1492, il giorno in cui Piero della
Francesca trapassò in aldilà (lo stesso della scoperta dell’America), Luca
evangelista in pompa magna convocò, in un celebre convegno ultraterreno, i
principali artisti della futura arte pittorica. Tema del convegno era la
dissertazione puntigliosa sull’arte di Piero della Francesca, da imitare sulla
Terra. Nell’aula magna dell’ultratombalità,
il santo evangelista fu assistito da due tecnici, angeli d’indiscussa
professionalità, che ad ogni cenno, proiettavano sullo schermo le immagini
pittoriche del sommo artista toscano, trapassato, guarda caso, lo stesso giorno
della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo. Il titolo del
convegno, illustrato per sommi capi su un dépliant distribuito ai presenti, fu,
com’è noto:
L’ENIGMA DI
PIERO DELLA FRANCESCA.
L’aula a forma di ferro di cavallo era
affollata da artisti per lo più italiani che sarebbero venuti al mondo nei
secoli successivi. Prima della rispettiva nascita sulla Terra, era degno di
nota positiva che ci s’industriasse sull’originale opera pittorica di Piero
della Francesca, da poche ore trapassato in aldilà. Nei primi scanni, avevano
preso forma alcuni sommi artisti addivenienti tali, una volta nati sulla Terra:
il livornese Guido Guidi (1901 – 1998) ed il romano con lo stesso cognome ma
che di nome avrebbe fatto Virgilio (1891 – 1984). Accanto ad essi, c’erano i
futuri Carrà, Donghi, de Chirico, Casorati, Morandi, Fiumi, Campigli (Le cucitrici ed il grande olio La spiaggia del 1937). San Luca comandò
ai due angeli-tecnici-assistenti di proiettare in alula le prime immagini in
riferimento alle opere del trapassato fresco Piero della Francesca. L’evangelista
dunque disse ai presenti in ossequioso ascolto:
“Le madonne con lo sguardo allucinato, il
volto severo, isolate dal conteso della rappresentazione pittorica…mi chiedo e
vi chiedo: l’immagine può funzionare come imitazione dell’apparenza?”
I futuri artisti fecero tutti cenno di un
mezzo sì. San Luca spiegò la gigantesca immagine “La flagellazione di Cristo” proiettata
sullo schermo alle sue spalle:
“Vedete? Il Cristo che sta per essere flagellato,
ma è in una invisibile nicchia spaziale, lontanissima dall’individuo con la
frusta in mano. Pilato, un simulacro afflosciato su se stesso sopra un trono di
pietra. Oltre le colonne di stile corinzio, tre uomini in primo piano con lo
sguardo fisso, come statue viventi. Ogni figura è nettamente isolata
dall’altra. La forma umana è una rappresentazione pittorica compiuta che
esclude ogni altra. C’è solo vicinanza raffigurativa. Icone, sperse nel vuoto. La
rappresentazione religiosa della flagellazione è nello sfondo, al di là dello
spazio-tempo, con le colonne dell’antichità romana e greca a sottolinearne la
lontananza prospettica. In primo piano, il tempo presente con tre personaggi
che sembrano dialogare tra loro, ma serrati nell’ampio silenzio di un eterno
presente, incapsulati in una invisibile e statica geometria.”
Nei loro scranni, i presenti-futuri-artisti
sembravano interessarsi alle immagini che gli angeli tecnici-assistenti
andavano proiettando dietro la grande cattedra, dove signoreggiava, come un
docente universitario di ruolo San Luca evangelista. La spiegazione su Piero
della Francesca si ampliò sull’epoca medioevale: “Le residuali nebbie del
medioevo si stavano diradando, ma resistono davanti alla misteriosa simbologia
di Piero della Francesca. La sua arte figurativa non rappresenta la realtà
cangiante, ma la fissità ieratica di un unico momento che per questo motivo diviene
un simbolo in cui credere, come le tante statue e reliquie sacre nelle chiese
di quel secolo. La pittura come pura immagine, da ammirare e da venerare, ma
impossibile da interpretare e verso cui commuoversi. Assordante silenzio.”
Il silenzio era totale, si può dire mistico,
anche nell’aula magna della perfetta ultratombalità. Che significava questo assordante silenzio? Chi è che taceva?
Dunque, Piero della Francesca voleva evidenziare sia il vuoto esistenziale dei
tempi andati, sia la perdizione umana in epoca medioevale?
Nessuno degli addivenienti artisti presenti in
aula volle obiettare alcunché rispetto alle spiegazioni ed alle domande
esistenziali dell’evangelista. Poteva essere che il santo se ne risentisse, ma
meglio non interromperlo. Egli dunque disse ai muti ascoltatori:
“Dovete
sapere, o futuri artisti, che i dipinti di Piero della Francesca, almeno quelli
di carattere religioso, non indicano l’aldilà come meta della vita umana, ma
sono immagini monumentali come muri impenetrabili, muraglie medioevali erette dal
potere ecclesiastico. Parlo del potere ecclesiastico di quei tempi bui. Lunga muraglia
imperiosa davanti a cui era lecito genuflettersi e pregare. Chi cercava
d’infrangere la muraglia rischiava la pena di morte. Oltre l’invisibile
confine, l’inferno. Al di qua, rimanevano le guerre continue, le epidemie e le
carestie che bisognava comunque accettare. L’unica cosa che restava da fare sarebbe
stato l’atto di genuflessione davanti alle icone religiose, anche se
enigmatiche come sfingi.”
I presenti che ascoltavano ammutoliti, si
scambiavano muti sguardi, non osando contraddire al momento l’oratore, lo
sapevano: le ambiguità erano e sarebbero rimaste nella Chiesa terrena, davanti
a cui la ragione umana deve comunque arrestarsi per un incerto percorso di
fede. Il santo evangelista spiegò:
“Cari beati che qui albergate ben lungi dai
problemi terrestri, aspettando il tempo di nascere in qualità di sommi artisti,
vi dico questo. Vedete i volti che Piero della Francesca ha dipinto nel corso
della vita terrena? Rifletteteci. Non sono facce ch’emozionano per l’estrema
solitudine che li circonda e permea. Intenzionalmente, voi artisti delle future
epoche cercherete di trasmettere allo spettatore questo tipo d’impressione. Però,
cercate di comprendere…Vedete? In Piero della Francesca, le figure umane
respingono oggettivamente qualsiasi sentimento. Si tratta di cariche negative, che
contrastano con la comune commiserazione. Le immagini prodotte da Piero della
Francesca sono atemporali ed anaffettive. Facce realistiche, ricordatelo. Le
stesse facce che avevano i nobili di allora, insensibili alla disperazione dei
popoli a loro sottomessi.”
Giudo Guidi avrebbe voluto esclamare: gente
di merda, ma stette zitto per non urtare l’evangelista che disse ancora:
“Amici artisti, addivenienti tali una volta
nati sulla Terra, vedete? C’è solo l’ammirazione per un’arte unica e la
curiosità per gli enigmi che pone e che resistono a qualsiasi interpretazione
razionale. L’enigma incrementa l’incertezza, l’indeterminazione e l’ambiguità, piena
di mistico silenzio e di raccoglimento. Il fatto è che la simulazione muta che
i personaggi di Piero della Francesca mostrano, non si accosta all’immobilismo
ieratico della statue dell’antichità classica. Si tratta di simulacri allo
stato puro, dove lo spazio ed il tempo si annullano in un problematico
misticismo. Gruppi di figure umane e divine che si fronteggiano in una
misteriosa e profonda simmetria invertita. Figure umane e divine che nella eterna
fissità fanno trapelare l’assenza di un conforto ultraterreno.”
Un futuro artista presente in aula e
precisamente Felice Casorati volle chiedere all’oratore:
“Ma Piero della Francesca che vi apprestate
ad accogliere in paradiso ci credeva o no nei santi ed in tutti voi altri beati
evangelisti?”
San Luca evangelista non fu sorpreso
dell’obiezione del futuro Casorati, artista anche lui problematico una volta incarnatosi
sulla Terra. L’evangelista disse:
“E
questo il punto. Piero della Francesca non è stato un vero santo. Egli ha
cercato di comprendere l’aldilà con l’arte, ma l’arte non dà risposte certe.
Solo la fede va oltre. Comunque, Piero della Francesca va premiato perché il
problema metafisico se lo poneva sinceramente ed era ossequioso della parola
evangelica. E’ stato un vero cristiano, oltre che sommo artista. La sua arte
pone dei problemi, questo è vero, come tanti artisti. Però Piero della
Francesca illustra alla gente la via mistica da seguire per raggiungere il
paradiso. Lui offre alla gente una soluzione mistica”
Un altro futuro artista, questa volta de
Chirico che una volta nato in al di qua e dopo essere stato regolarmente
battezzato si sarebbe chiamato Giorgio, disse:
“Evangelista,
scusa, ma le opere di questo sommo e problematico artista saranno preservate
nel tempo, o resteranno sulla terra solo infruttuose imitazioni?”
Il santo evangelista che nel periodo in cui
visse sulla Terra come tanti altri, si chiamò Luca fece una breve disquisizione
sulle eterotopie del tempo e la tendenza del tutto umana a preservare le opere
d’arte nei musei, disse:
“Nella società umana, c’è la tendenza a
preservare dal flusso del Tempo alcuni luoghi, illudendosi che tutto resti
fissato in un eterno presente. Sono queste le eterotopie del Tempo di cui Michel Foucault, un altro che
vivrà nel futuro remoto, parlerà in un suo saggio pubblicato nella seconda metà
del XX secolo. Le eterotopie del Tempo
si accumulano all’infinito in alcuni edifici come i musei, le biblioteche. Le eterotopie del Tempo si trovano in un
più ampio raggio, in alcune zone geografiche ed addirittura in alcune grandi
chiese. Le opere di Piero della Francesca parlo della gran parte, saranno
preservate dalla distruzione che i secoli futuri apporteranno ovunque. Parte
delle sue opere sopravvivrà perché conservate in appositi musei. Il futuro de
Chirico chiese:
“Ma,
evangelista, ci spieghi cos’altro indica la pittura di Piero della Francesca
che può esserci utile una volta operativi sulla Terra?”
“La
pittura di Piero della Francesca esprime la tendenza all’isolamento dal
contesto spazio-temporale del mondo circostante. Nel pittore aretino, c’è il
desiderio di voler accumulare tutto in un dipinto, di fermare in qualche modo
il tempo, o di farlo depositare all’infinito in uno spazio privilegiato,
rinchiudere in una rappresentazione pittorica ogni immagine, ogni forma per
ogni epoca, una specie di eterotopia del
Tempo. In Piero della Francesca, ascoltatemi o futuri artisti, c’è
l’illusione che nulla fluisca al di fuori dell’immagine pittorica, essendo
questa la somma eterotopia del Tempo. Si tratta d’immagini che
neutralizzano e contraddicono tutte le altre rappresentazioni, perché in esse,
la differenza col mondo reale è assoluta. Piero della Francesca è stato un
artista pienamente intercalato nel suo tempo, quando il potere costituito, più
che l’essere umano, si è cominciato a porsi al centro della realtà economica e
sociale umana. Intorno al potere costituito, essendo propinquo alla divinità,
ruotava tutto il mondo medioevale, mentre intorno all’altro, il nostro, quello
dello spirito, ruotavano i sette cieli. Nel medioevo dunque, si pensava che oltre
c’era il Cielo del Paradiso, governato dai Cherubini e che allogava le stelle
fisse. Ogni cosa, compreso gli esseri umani, aveva la perfetta ed
imperturbabile collocazione. Sulla Terra, regnava il potere politico e
religioso, splendente in un’unica sfera come il sole, con un proprio
invalicabile firmamento. La fisica moderna avrebbe capovolto drasticamente le antiche
teorie del tardo medioevo. Ad avere importanza cruciale sarebbero state le
interrelazioni e le connessioni, dirette od indirette tra gli esseri umani e
l’ambiente circostante.”
Alzandosi dallo scranno, Casorati obiettò:
“Maestro,
allora nel prossimo futuro, la gente cercherà le interazioni sociali e non
andrà più in chiesa a pregare…è vero questo?”
“Per alcuni, soprattutto i giovani che nel XXI
secolo dialogheranno con gli I-phone questo è vero. Per molti altri, la fede si
rinsalderà e andranno in chiesa, anche nel XXI secolo.”
De
Chirico chiese:
“Maestro
evangelico, il potere politico, quando saremo viventi veri, come si evolverà?”
“Ai tempi di Piero della Francesca, c’è stato
il potere politico e quello economico che però rappresentavano la sottile rete
che sorreggeva le umane vicende. La statica visione del mondo coi suoi sette
cieli, più l’ottavo, propria del tardo medioevo sarà annullata in modo radicale
dalla scienza moderna, quella più o meno che sarà a voi contemporanea.”
Massimo Campigli che stando a quanto
stabilito dalla divine sfere, sarebbe nato il 4 luglio del 1845, si interessò
della nuova scienza e chiese:
“Maestro,
ci dica. E’ vero che la relatività generale di cui qui se ne sente il clamore,
sconvolgerà la visione del mondo?”
“La
relatività generale smentisce l’immagine intuitiva dello spazio-tempo come un
contenitore in cui si trovano oggetti vari. Lo spazio-tempo non può sostenere
alcuna struttura localizzata. Non osserviamo le cose in posizioni assolute,
isolate da un contesto. L’ubicazione di un oggetto nello spazio-tempo avviene
in base alla disposizione con cui si collega ad altre strutture materiali. Ad
essere oggettive, sono le reciproche posizioni. Ripeto, sono concezioni
scientifiche che si diffonderanno nel XX secolo. Nel medioevo di Piero della
Francesca tutto ciò era ignoto. Nel XX secolo, si capirà che sono le relazioni,
i rapporti tra persone, oggetti e cose i veri punti di riferimento e sono essi
a determinare gli eventi del mondo esterno. La fisica del futuro mondo dimostrerà
alla gente che ogni oggetto materiale non è distinto dagli altri, ma legato in
maniera inseparabile all’ambiente e le sue proprietà possono essere comprese
solo nei termini delle sue interazioni col resto del mondo. Secondo il
principio di Mach, un altro scienziato del prossimo futuro che alcuni di voi
conosceranno, questa interazione si estende all’universo in generale, perfino
alle stelle ed alle lontane galassie. Sarà chiaro che l’unità fondamentale del
cosmo è presente, non solo nel mondo dell’infinitamente piccolo, ma anche a
livello macroscopico. Tutto ciò sarà sempre più evidenziato dall’astrofisica e
dalla cosmologia del futuro in cui la maggior parte di voi, ripeto, vivrà.
Concezioni nuove che in seguito saranno a loro volta confutate.”
Massimo
Campigli disse: “Allora, maestro, Piero della Francesca non aveva capito niente.
Noi Non siamo statue con una vita del tutto scollegata da quella degli altri.
Non siamo come i personaggi ritratti da Piero della Francesca.”
“E
così e non è così. Per esempio lei, Campigli, quando vivrà sulla Terra cercherà
d’imitare Piero della Francesca pur sapendo fin da adesso che non aveva capito
niente. Cercherà d’imitarlo perché nonostante le cose girino in modo diverso,
parlo del prossimo futuro. Lei capirà che c’è qualcosa che di Piero della
Francesca sfugge comunque. C’è un qualcosa d’indeterminato, ma che è pieno di allusione
mistica.”
Morandi ne voleva sapere di più: “Maestro ci
dica qualcosa in più del prossimo futuro in cui noi siamo destinati a vivere.”
“Nel
prossimo futuro, perfino a livello inconscio e nei sogni, sarete interconnessi
gli uni con gli altri. Invece, la fissità e la solitudine degli esseri umani,
dipinti da Piero della Francesca, esistono come icone solo all’interno della
sua arte. Plotino aveva scritto che non c’è un punto dov’è possibile fissare i
propri limiti in modo da affermare: fino a qui, sono io…Mi capite? Contro
questo pericolo del non limite, il potere costituito del medioevo aveva posto
ferree barriere nella sfera politica e religiosa. L’Uomo doveva restare come lo
aveva definito Aristotele: un animale vivente ed inoltre capace di una esistenza
politica. L’invalicabilità dei limiti imposti dall’alto è affermata da molti
artisti tra cui Piero della Francesca. Mi Capite? E adesso, non chiedetemi
perché nel futuro in cui siete destinati ad esistere ci saranno guerre mondiali
con milioni di morti. Non chiedetemi a che serve l’Arte di fronte a simili
catastrofi. Vi dico solo che l’Arte agisce meglio per lunghi periodi. L’Arte fa
in modo che la pianta millenaria dell’umanità, nonostante gli attacchi del
Male, cresca armoniosa e bella.”
Sul grande schermo dell’aula magna
ultraterrena, apparve la proiezione di un’opera pittorica che Felice Casorati
avrebbe prodotto di lì ad alcuni secoli, quando una volta nato con tutti i
crismi, avrebbe raggiunto la piena padronanza dei mezzi pittorici. La pittura
del Casorati avrebbe fatto riemergere, a livello inconscio, quella di Piero
della Francesca.
I presenti, futuri artisti terreni, fecero
un breve applauso al relatore e si apprestarono a lasciare l’aula.