mercoledì 16 settembre 2015

SMARTPHONE di Giuseppe Novellino

     L’avrebbero crocifisso allo spuntare del nuovo giorno. Questo era riuscito a capire, durante quella specie di seduta giudiziaria. L’uomo, avvolto in una toga dai colori spenti, doveva essere una specie di governatore; aveva emesso la sentenza, agitando il pollice all’ingiù, senza la minima esitazione.
     Non lo avevano incatenato ma non poteva in alcun modo fuggire. Due soldati di guardia se ne stavano seduti oltre la grata brunita e giocavano a dadi.
     Nella cella c’erano altri tre disgraziati che attendevano il supplizio. Aveva provato a comunicare con loro, ma senza risultato. Uno di essi si trovava in carcere da qualche tempo.
     Ciò che gli stava capitando era incredibile, ma vero, come vero era quel suo corpo sul cui petto ora passava la mano sudaticcia.
     Aveva parcheggiato la macchina nello spiazzo sterrato ed era sceso lungo la scarpata fiorita di ginestre. L’idea era quella di fotografare l’antica colonna ionica, ultimo resto di un tempietto solitario. Durante quella vacanza dai toni culturali, non si era lasciato sfuggire nulla: fino a quel momento aveva esaminato e fotografato ogni piccolo reperto.
     Ad un tratto era scivolato, ruzzolando tra i cespugli. E quando si era rialzato, la colonna non appariva più solitaria, ma affiancata da altre simili, intorno a una specie di cortiletto lastricato. Poi gli si erano avvicinati i due individui, ansanti, sudati e sporchi. Uno dei due impugnava una spada corta. Nello stesso tempo, accompagnati da un clangore e da un nugolo di polvere, erano comparsi i militi appiedati, simili a quelli che era abituato a vedere nei film in technicolor. Solo che non si comportavano secondo un copione cinematografico, non erano comparse che si muovevano davanti alla macchina da presa; i loro modi brutali erano del tutto spontanei.
      Li avevano circondati. Il tizio con lo spadino aveva tentato di resistere, ma era stato ferito all’avambraccio da un colpo di lancia. E mentre li legavano, lui aveva cercato di protestare, dicendo che era un semplice turista italiano in cerca di reperti antichi e che doveva rientrare in albergo per l’ora di cena. Si era beccato solo delle percosse.
     Gli venne in mente lo smartphone.
     Ma a che poteva servirgli?
     Se proprio doveva essere caduto in una falla dimensionale, oppure era andato indietro nel tempo (assurdo, decisamente assurdo, ma certo come la morte) a che cosa poteva servirgli il cellulare?
     Lo sfilò dal taschino laterale dei pantaloncini corti e se lo rigirò tra le mani.
     Un rumore venne dal vano adiacente, oltre la pesante grata di ferro. Uno dei soldati si levò in piedi, stiracchiandosi. Disse qualcosa in direzione della porta di legno massiccio che si aprì cigolando. Comparve un individuo che indossava una corta tunica di ruvido panno. Scambiò alcune parole con la guardia, che poi lo seguì oltre la soglia.
     Accese lo smartphone, entrò nella rubrica e selezionò meccanicamente il numero di Sonia.
     - Dove cazzo ti sei cacciato? – disse la voce familiare della moglie.
     Per poco l’apparecchio non gli sfuggì di mano. - Sei tu…
     - Chi vuoi che sia, Monica Bellucci? Ti devi accontentare della tua mogliettina, cocco!
     Uno dei tre prigionieri, accovacciato sopra un mucchietto di paglia umida, cominciava a lamentarsi. Era quello ferito all’avambraccio e se lo teneva stretto contro il ventre.
     - Non sai in che cazzo di pasticcio mi sono messo. – Poi ebbe una specie di lampo: - Forse sono capitato sul set di un film in costume, cara, non lo so. – Indossava solo un paio di sandali da frate e calzoncini corti. Quindi, così a torso nudo, appariva un po’ simile ai tre tizi che condividevano adesso lo stato di prigionieri, anch’essi scoperti fino alla cintola, con sandali, quelli sì d’epoca. Ma la mancanza di macchinari da ripresa mise in fuga quella sua debole speranza.
     - Tu giochi al cinema, mentre io sono qui ad aspettarti per scendere a cena. Lo sai che in questo ambiente ci sono gli squali, che se vedono una donna sola…
     - Se potessi, verrei subito.
     - Come sarebbe a dire “se potessi”?
     - Sono in una specie di carcere.
     - Se è solo una specie, vieni fuori di lì e precipitati in albergo.
     - Fosse facile!
     - Vuoi che venga io a prenderti?
     - Domani mattina  mi crocifiggono.
     - Ti crocifiggo io, Tony, se non mi raggiungi immediatamente. – Poi interruppe la comunicazione.
     Uno dei prigionieri si era assopito. Quello ferito, invece, pensava al suo male. Il terzo guardò Tony con aria interrogativa, gettando occhiate di meraviglia allo smartphone.
     - No – disse Tony, - mi sa proprio che questo oggetto sia del tutto al di là delle tue capacità di comprensione.
     Una delle sentinelle intimò il silenzio. Poi rientrò il collega con un secchio di legno,  pieno di una specie di brodaglia. Era probabilmente tutto ciò che spettava ai prigionieri, prima dell’esecuzione.
     Dovevano essere già calate le tenebre. Il caldo e l’umidità ostacolavano la respirazione. E mentre trascorreva il tempo, la mente di Tony si mise a lavorare.
     Che cosa gli era successo in realtà? Tutto sembrava, tranne uno scherzo. Doveva dunque ammettere di essere piombato in un passato assai remoto, in quello stesso luogo situato sulle coste meridionali della Turchia, dove si era recato in vacanza con la moglie? Ma si rese conto che era inutile arrovellarsi. Le cose erano andate così, punto e a capo. L’unica domanda che poteva porsi era sul perché il telefonino lo manteneva in contatto con la moglie.
     Riprese in mano l’apparecchio e selezionò ancora il numero della moglie. Niente, questa volta. Nessun suono, solo una specie di ronzio, come quello che si sente mettendo una conchiglia all’orecchio.
         L’uomo gli si avvicinò carponi. Aveva una faccia intelligente, era magro e puzzava. Borbottò qualcosa del tutto incomprensibile.
     Tony si accorse che era attirato dallo smartphone. Cercò un’immagine (era una foto con Sonia in costume da bagno) e glielo mise davanti agli occhi. Quello fece un balzo all’indietro.
     Ecco cosa doveva fare: usare il suo cellulare dell’ultima generazione per salvarsi la vita. Se impressionava il compagno prigioniero, avrebbe colpito anche le guardia e le autorità che lo avevano condannato a morte. Forse l’avrebbero preso per una dio… o semplicemente per uno stregone. Tanto valeva tentare.
     Si avvicinò alla grata e chiamò una delle sentinelle. L’altra si era addormentata.
     - Guarda qui – disse. – Che ne dici?
     Il display luccicava e la “Piccola musica notturna” di Mozart si diffuse in quell’antro oscuro e umido.
     Il milite indietreggiò, sgranando tanto d’occhi.
     - Funziona! – gridò Tony con esultanza. Poi, rivolto al soldato: - Vedi quali poteri mi ritrovo, citrullo? Su, apri questa dannata grata e lasciami andare. Altrimenti…
     Le parole gli morirono in gola. L’altro si era destato di soprassalto e si era precipitato alla grata, colpendola ripetutamente con una specie di manganello e intimando il silenzio.
     - Okay, okay – fece Tony, un passo indietro.
      Doveva essere l’alba. Un tenue chiarore filtrava da un pertugio nel soffitto, sopra la testa delle sentinelle.
     Era passato del tempo, durante il quale si era un po’ assopito.
     Adesso ricordava che era riuscito a comunicare con il prigioniero che gli aveva dedicato una certa curiosità. Quello gli era stato vicino e aveva perfino toccato lo smartphone, con mano tremante. Gli altri due erano rimasti del tutto indifferenti: il ferito abbandonato al suo dolore, l’altro (il veterano del carcere) chiuso in se stesso come un’ostrica. Probabilmente, aveva pensato Tony, era del tutto assorto nella contemplazione di ciò che gli sarebbe toccato di lì a poche ore. Solo lui, Tony, e il terzo individuo riuscivano a distrarsi, quest’ultimo vinto dalla curiosità. Tony non dava del tutto scontata la sua fine, per il semplice motivo che se era vissuto nel XXI secolo, non poteva finire crocifisso duemila anni prima. Qualcosa gli diceva che la situazione era del tutto improbabile. Inoltre aveva per le mani un gioiello della più recente tecnologia, al quale continuava ad attribuire poteri taumaturgici.
     Poi vennero a prenderli.
     Li trascinarono in un cortile. Il ferito e il prigioniero veterano erano docili e apparivano rassegnati. L’altro si divincolava e gridava qualcosa, indicando Tony.
     Tony cercò di estrarre lo smartphone, ma non fece in tempo. Due carnefici lo avevano preso per le braccia e ora gliele stavano legando a un palo, posato orizzontalmente sopra le sue spalle.
     - Ehi… no, lasciatemi… Guardate cosa ho in tasca! – Poi si accorse che il telefonino gli era scivolato a terra e ora giaceva nella polvere, calpestato dagli aguzzini. Si lasciò cadere sulle ginocchia, indicando con lo sguardo l’apparecchio. A suon di frustate fu costretto a rialzarsi.
     - Lo smartphone…  lo smartphone… - continuava a ripetere, mentre lo conducevano sul luogo dell’esecuzione. Il sudore gli colava negli occhi e glieli faceva bruciare. Quella specie di traversina gravava sulle spalle, producendogli improvvise fitte alla cervicale.
     Cercò di attirare l’attenzione dei passanti che si fermavano a guardare i quattro disgraziati condotti al supplizio, poi provò ad avvicinarsi al cavallo del centurione. Ma si prese una staffilata che lo fece cadere.
     In lontananza vide ergersi i lugubri pali contro l’orizzonte marino.
     E pensò a voce alta:
     - Chissà cosa dirà mia moglie, fra duemila anni, non trovandomi in albergo, nel letto, al suo fianco…

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