Si chiedeva perché l’avesse chiamato, dopo tanto
silenzio. Si meravigliava, anzi, che lei avesse potuto rintracciarlo… eppure
aveva cambiato varie volte città, girovagando senza alcuna ragione.
Si guardò le mani, magre, macchiate di vecchiaia,
ripiegate con forza da nodi di artrosi. Prese lentamente il bicchiere,
sorseggiò dell’acqua fresca.
“Troppo fredda” pensò
Chissà cosa le avrebbe detto, chissà cosa lei gli
voleva dire…!
Alzò lo sguardo… Quella striscia di terra tra la foce
del fiume e il mare oggi gli appariva troppo stretta, provava un senso di
fastidio, quasi di oppressione. E poi c’era troppo vento, troppo…
15 anni! erano passati 15 anni da quando si erano
visti per l’ultima volta. Lei allora aveva un corpo fiero, lo guardava con un
sguardo tenace e freddo mentre gli diceva: “È
finita.”
Scacciò quel pensiero con fastidio, con un gesto della
mano sul viso come ad allontanare mosche impertinenti: era proprio rimbambito a
gesticolare così, pensò. Chissà per quale motivo lo aveva cercato ! Al telefono
era stata molto parca di parole, la voce gentile ma distaccata: “Ti devo vedere” aveva detto “Va bene domani al solito posto?” Lui era
stato così pieno di meraviglia che era riuscito appena a dire “Va bene, alle 5
del pomeriggio”.
Ora era lì, davanti ad un bicchiere d’acqua troppo
fredda per un giorno d’aprile. Si meravigliò pure che il bar fosse aperto in
quel periodo, ma già, la voglia di fare soldi…!
Si tolse gli occhiali, si asciugò gli occhi troppo
umidi. “Macché occhi di vecchio” si disse “è il vento che mi dà fastidio” quasi
volendosi compiacere d’una baldanza d’età che in fondo non gli apparteneva…
Accavallò le gambe, guardò l’orologio: le 5 e 10.
“Sempre la solita, sempre in ritardo”, si disse con un sorriso malcelato nei
pensieri. Chissà come era diventata ! magari era sempre bella come allora ! e
in quel momento gli prese un brivido di sconforto, pensando che lui, lui sì era
invecchiato, rinsecchito con la testa ficcata nelle spalle ! Si scosse come a
darsi un contegno, allungò la schiena come a dover fare bella figura…
Qualche rumore lontano, dei cani che correvano sulla
sabbia e lì, lontano, l’arco delle nubi sfrangiate che si arrossava del primo
tramonto. “E se non viene ? se non può più ?...Ma che vado pensando, mi ha
chiamato apposta..”.
Non se n’era accorto, ma qualcosa, proprio alle sue
spalle, come il peso di uno sguardo…
Prima che riuscisse a voltarsi per la curiosità, sentì
una mano che si posava sulla sua spalla. “Alberto”,
si sentì chiamare. Non si girò, non poté.
Aveva dimenticato quanto a fondo penetrava quella
voce, aveva cercato di dimenticare, gli sembrava di averlo fatto… “Alberto”, maledetta memoria ! E quel
chiodo bruciante nel petto, fatto di mille pensieri che tumultuavano improvvisi
e non cercati, pensieri di ieri o di oggi, come lampi improvvisi e dolcemente
dolorosi.
S’accorse che il cuore gli batteva più forte mente si
alzava girandosi.
Si impose un contegno, quasi senza accorgersi del
sorriso stordito e banale che gli si stampava sul viso. “Ciao”,disse e le tese
la mano. Lei lo guardò indecisa, poi rispose alla stretta di mano. Con vigore.
Con grazia.
Mentre si dava del cretino per essere agitato come un
ragazzino, le offrì la sedia, ordinò qualcosa.
Lei posò con calma la borsa, guardandolo negli occhi “Alberto, come stai?”
Si scoprì a scrutarla, il fisico sempre asciutto, il
foulard che le copriva il collo quasi a celare un’offesa del tempo, le guance
un po’ più scavate, gli occhi…gli occhi sempre uguali, colmi di uno sguardo
calmo e avvolgente, pieni di luce e di una vivacità non ancora spenta dagli
anni. Appena un filo di ruga le cingeva il bordo degli occhi e sembrava parlare
di tempo, di un tempo passato senza pesare. O forse no, era una sua
impressione, forse quel fondo di smarrimento triste che le velava a tratti lo
sguardo magari diceva che anche lei, come tutti, aveva vissuto, e che il tempo
era andato.
Lo scosse la mano di lei sul ginocchio…”Alberto!” “Scusa…dimmi…sì, sto bene, e tu ?”
Lei sorride..”E’
ancora più bello qui…non hanno ancora rovinato nulla… Sai mi piacerebbe
passeggiare un po’, ti va ?” “Andiamo verso il fiume ?”.
S’accorse di un tremito strano, di un trambusto di
pensieri che si accavallano sulla sua bocca, si fece forza per non parlare.
“Non è passato un solo giorno, è bella, ancora bella” si sorprese a pensare.
Si alzò con un che di pesante, si buttò sulle spalle
quell’impermeabile che lo aveva accompagnato da troppo tempo, vergognandosi un
po’ di fronte alla sua eleganza di donna.
Lei gli camminava accanto, con lo sguardo un po’
basso…talvolta i loro sguardi si incrociavano in un silenzio imbarazzato. “Ti stai chiedendo perché”, fece lei, “e forse non lo so neppure io. Voglio dire, a
questa età e dopo tanto tempo una
dovrebbe sapere i motivi…” e tacque.
Lui la guardò in silenzio,quasi avrebbe voluto dirle
che non gli importavano più le ragioni, che… “E’ tutta colpa tua”, gli
disse di colpo.
Lui la guardò, in silenzio. “Si tratta di mio figlio…”
Suo figlio…quel rumore doloroso nella sua memoria, il
figlio che lui le chiedeva e che lei voleva ad ogni costo per completare la sua
sorte di donna, quel figlio da lei sempre negato perché la loro relazione
abusiva non gli avrebbe dato un padre…quel figlio patito nei loro litigi e
nelle loro passioni. Strano che lei ne parlasse, perché gli aveva sempre negato
ogni notizia “Non è né tuo né suo” e lui aveva sempre temuto di
chiedere, anche se quel silenzio lo torturava, gli rodeva lo stomaco come un
trapano di fuoco. Per quel figlio lei era andata via…”Appartiene solo alla mia vita,
anche se non sarà mai del tutto mio”. Non aveva capito, forse non voleva;
sentiva soltanto che man mano che cresceva, diventava un punto di non ritorno,
un muro che si ergeva tra loro due. Eppure non l’amava di meno, ma era lei che
si allontanava ogni giorno di più. No, non aveva capito il suo percorso di
donna, men che mai accettava questa sua svolta di madre. E l’aveva pagato, dopo
anni di litigi e riprese, l’aveva pagato subendo quel suo addio distaccato,
senza capirne le ragioni, senza accettarne la crudeltà. Almeno così gli
sembrava, mentre con un velo di niente aveva cercato con forza di coprire senso
e motivi di quella storia finita…
“E’ stato
lasciato dalla sua ragazza questo autunno, senza una spiegazione”…
Forse masticò qualcosa come un “Mi dispiace” mentre si
chiedeva che c’entrasse ora l’averlo cercato, il volergli parlare…forse aveva
bisogno di sfogarsi…ma ora ? dopo 15 anni d’assenza ? e poi, cosa avrebbe
potuto fare un vecchio estraneo sbilenco in tutta quella storia ?!...Continuò a
tacere….
“L’ho visto buttato per giorni sul divano, con gli occhi
nel vuoto; l’ho spiato mentre girava per casa o nel giardino con le mani
sprofondate in tasca e il viso basso…credimi, ho pure cercato di entrare nei
suoi silenzi facendomi respingere con rabbia. Mi sentivo morire allo spettacolo
di quella pena, mi son sentita svuotata e inutile…lo vedevo così e non potevo
nulla”.
Lui la guardava, vedeva la sua bocca assumere una
piega amara, la fronte aggrottarsi in solchi marcati…”Ma..”, voleva dire la
solita banalità,” Son cose che capitano, si sta male ma passa…” “E’
stato allora che ho pensato a te”,
fece lei, guardandolo in viso.
Anche lui la guardò, con una domanda improvvisa negli
occhi. “Ho pensato a come ti sei sentito”..
accennò ad un sorriso nervoso mentre abbassava la testa “Che stupida vero?, dopo tanto tempo…” Alzò il bavero
dell’impermeabile, “Tira troppo vento da quelle parti, si sente freddo
dappertutto”; si scosse, batté le scarpe per togliere la sabbia: “Sì”-pensò-
“C’è troppo vento…!”
“Ho pensato a
come ti sei sentito”, ripeté lei.
Come si era sentito? Strano, gli pareva di non
ricordarlo più, ora invece era come se si riaprissero le pagine di un libro
troppe volte letto…ricordava a memoria ogni parola, ogni virgola.
E probabilmente non avrebbe voluto. Non più, almeno… non
così, non ora…
Pensò con una fitta "sei stata la mia illusione
più amara... ho creduto anche alle tue bugie", ma tacque ancora. Si voltò
verso quella linea sottile che segnava mare e cielo, strinse forte gli occhi.
Sentì qualcosa che gli sfiorava la mano, avvertì come
una titubanza leggera…poi d’improvviso sentì le sue mani che si stringevano al
suo braccio.
Si girò…stavolta sì, ebbe il coraggio di guardarla a
fondo negli occhi, ma lei si era appoggiata col viso al suo braccio, lo
stringeva e mentre lui stava decidendo se doveva essere sorpreso o felice,
avvertì i suoi singhiozzi leggeri, calmi, quasi il pianto avesse timore di
farsi vedere.
Una volta si sarebbe sentito ferito dal suo dolore,
avrebbe cercato di capirlo e consolarla…altre volte lo avrebbe voluto, ma
perché ora non ne era felice, perché ora non si godeva quel dolore che lei per
anni gli aveva regalato, perché non sapeva ringraziare la vita di questo
massacrante risarcimento ? perché ?… perché anche adesso si sentiva smuovere il
cuore e bruciare gli occhi ?
Si sorprese a carezzarle con goffaggine i capelli,
mentre pensava che da vecchi ogni dolore avrebbe dovuto essere risolto, ogni
pianto proibito.
Si fermò, la prese per le spalle “Guardami”, e le
sollevò il viso, “Non fare così…”
Buffo mestiere quello del consolatore, che lui
peraltro non aveva mai saputo fare. “Sta’ calma, dimmi…e poi non è bello
piangere alla nostra età” – le disse volendo atteggiarsi ad una spiritosaggine
che non gli è mai riuscita bene. Come ora, perché lei intanto si abbandonava al
pianto, appoggiandosi con una struggente spossatezza al suo petto. E lui girava
a vuoto le mani, temeva quasi di toccarla.. le fece volare sulle sue spalle,
quasi con paura di stringerla…
E poi sentì che qualcosa lo stava toccando dentro,
qualcosa di rovente che da anni era silenzioso…sentì come un vecchio fiume che
d’improvviso, senza avvertire, rompe gli argini spandendosi nel suo petto.
La strinse, desiderava stringerla, mentre un nodo
dolce e da tempo rifiutato gli si serrava alla gola…”Zolletta…” si sorprese a
dirle, “Zolletta…” con un filo roco di voce. E si dava del cretino mentre
l’amaro gli gonfiava la gola, si sentì ridicolo a rispolverare quel nomignolo
d’amore dopo tutti gli anni passati. Ma non gli importava; mentre passava le
sue carezze di vecchio sulle spalle di lei, sentì che non gli importa granché
di come si stava giudicando.
E poi vento, forza di vento a buttargli i suoi capelli
sul viso, a fargli inumidire gli occhi, mentre sentiva sul petto i colpi dei
singhiozzi di quella donna tornata dal nulla, che ora con tanta violenza
rimescolava i suoi pensieri…
Passava le mani sulle sue spalle, piano, con tenerezza
e trepidazione, muto. Cosa dire d’altronde davanti al dolore esibito così,
senza vergogna, in maniera così indifesa ?
Poi lei si ricompose, “Scusa” –disse, e cercò nella borsa un fazzoletto.
Che buffa, ora con gli occhi arrossati e macchie di
rimmel che asciugavano a caso sul suo viso. E quella piega, amara, che le
solcava il bordo delle labbra. Quanto le aveva amate, cercate, desiderate, col
loro volume carnoso che risentiva ancora sulla pelle, con quella tumida
freschezza che si sorprendeva a risentire ancora come la stesse vivendo lì, in
quel momento…”E’ che sono una stupida a
farmi prendere così dalla commozione…”,
lo guardò in viso, “O dal rimorso..”,
disse quasi parlando a se stessa. Abbassò il viso e si mosse.
Lui le andava accanto, quasi si sorprese nel non
sentire più rumori: il cielo era di un rosso violento, traversato da strisce
basse di indaco e violetto, e le prime luci, lontane, lungo la costa. Una
coppia di ragazzini veniva verso di loro tenendosi per mano, senza vederli,
forse senza vedere nient’altro che il loro calore umorale che traspariva –lui
lo capiva- da ogni dondolio delle braccia, da ogni risata sommessa.
“Alberto..”, lo scosse la sua voce, “Forse ho sbagliato a volerti rivedere…”
Lui la guardò, con una domanda inespressa sugli
occhi…”Volevo solo dirti che mi dispiace…
“-la lasciò continuare- “Se quello che ho
visto in mio figlio è stato il tuo dolore, beh, mi dispiace non averlo capito,
non averlo voluto considerare…”
“E
allora? –pensò quasi con fastidio- “tutto qui ? fare la fatica di cercarmi,
venire da chissà dove per dirmi che le dispiace un addio di 15 anni fa..?! Una
sofferenza che mi ha inflitto forse in un’altra vita…”
Non sapeva cosa pensare, se tutto gli sembrasse più
ridicolo o più infantile. Qualcosa ballava nel suo petto senza volersi fermare.
La guardò…”E’ passato” –riuscì scioccamente a dire- “è
tutto passato, non dartene pena” e si sentì proprio stupido a voler sembrare
così lontano e superiore, come se niente fosse tornato a galla a scorticarlo
per un’altra volta, con quella forza brutale che solo i vecchi si sanno
regalare per punirsi, o per sembrare ancora vivi.
Le prese la mano, la guardò “Sei proprio buffa col
trucco sfatto” –le disse e sorrisero insieme come ragazzini. “Torniamo ?”- le
propose.
Lei lo seguì, docile, in silenzio, col viso basso come
a guardarsi le scarpe. Un sorriso leggero le sostava lungamente sul viso.
Non si dissero più nulla, il vento s’era calmato.
Sulla battuta di legno si scossero le scarpe con un’insolita allegria.
Lui fece per sedersi..”Devo andare” –gli disse- “una
macchina mi aspetta” La guardò sorpreso, forse avrebbe voluto chiederle di
dare senso a questo incontro, ma non gli venne suono sulle labbra, capì che non
era tempo di fare domande, non più.
Traversarono il bar, le aprì la porta.
Sullo spiazzo si accesero i fari di un’auto, lei si
girò verso di lui, gli tese la mano “Forse
ti dovevo dire di mio figlio, forse avrei dovuto parlarti di noi”.
La guardò con l’espressione di chi non capisce, ma
rispose alla stretta di mano. Sentì che stringeva con forza, si guardarono. Lei
si voltò di scatto, andò verso l’auto che ronfava col motore acceso: quando
aprì la porta, nella luce dell’abitacolo si accorse, quasi senza nessuna
sorpresa, che al posto di guida c’era il marito.
Non fece in tempo neppure a formulare tra sé un gesto
o un pensiero che l’auto era scomparsa veloce. Restò lì, a guardare il piazzale
illuminato…alzò lo sguardo.. altre luci occhieggiavano lontano, fredde.
Si scosse, rimettendosi a posto il bavero
dell’impermeabile. “Un caffè e un bicchier d’acqua”, disse traversando il bar
per tornare sulla veranda. Sapeva che il caffè non era un toccasana per il suo
cuore malandato, ma, pensò, “Neanche questo pomeriggio ci è andato leggero…”
Quasi sorrise a questa sua sarcastica noncuranza per la salute, eppure
dopo l’infarto si è in genere più prudenti. Ma stasera non gli andava di essere
prudente, troppe cose erano accadute e su troppe doveva fare chiarezza.
Gli sembrava pressoché assurdo che dopo tanti anni un
vecchio amore tornasse a manifestargli dispiacere, gli girava come una trottola
indecifrabile nella mente la sua ultima frase sul figlio, gli sembrava feroce
che lei avesse risvegliato un dolore dall’ombra in cui gli anni lo avevano
relegato: non la perdonava per questo, non poteva perdonarla di averlo costretto
a tornare a vivere e provare di nuovo dolore.
Con quale
diritto era tornata a sconvolgere la sua quiete, che cosa pensava le avesse
concesso il diritto di usarlo di nuovo come un cestino, tutto questo non
riusciva a sopportarlo. Si era sfogata, tranquilla, e di nuovo via.
O magari no, gli voleva dire qualcosa che non era
riuscita a tirar fuori, che cosa la macerava dentro ? e che c’entrava il figlio
? figlio di chi ?.
No, non si sarebbe fatto irretire da tutte quelle
domande, non poteva, non voleva…il tempo passato e il suo cuore non lo
permettevano.
Il caffè era tiepido, ed anche amaro: lo bevve di
colpo per non sentire sapore.
Si guardò intorno. Buio, qualche rumore strano, e
lontano le luci della costa.
Strano e crudele quel giorno, indecifrabile. Ma gli
aveva di nuovo portato il suo amore, lei aveva detto di nuovo il suo nome,
aveva pianto e sorriso con lui. Forse era vero, non si erano mai lasciati, non
si erano mai fatti del male.
Prese con calma il bicchiere d’acqua, l’appoggiò alle
labbra…
”Troppo fredda" –pensò- "quest’acqua è troppo fredda per un
giorno d’aprile”… e sorrise tra sé a dolcezze che nessuno poteva scoprire.