mercoledì 19 novembre 2014

LA PIRAMIDE di Fabio Calabrese




Ci eravamo fatti strada nella giungla a colpi di machete fino a scorgere al disopra della vegetazione la vetta della piramide. Non lo sapevamo, ma eravamo stati fortunati ad arrivare fin lì in pieno giorno. Se fossimo arrivati lì di notte, o verso sera e avessimo deciso di accamparci, avremmo avuto buone probabilità di fare la stessa fine della spedizione Alvarez, con cui si erano persi i contatti e che eravamo stati mandati a soccorrere.
Trovammo le tende, gli zaini e altro materiale abbandonato, che doveva essere quello della spedizione Alvarez, poi ci dirigemmo verso la piramide e il suo ingresso, un'apertura fra i grandi gradoni che si apriva come una bocca buia e spalancata.
Trovammo la spedizione Alvarez o ciò che ne rimaneva. I corpi erano sparsi in giro, apparivano incartapecoriti, come disseccati. Li contammo, ne mancava uno, quello di Garcia. Lo trovammo un quarto d'ora più tardi accucciato contro una parete: era vivo e non presentava ferite o lesioni evidenti, ma non fu in grado di dirci quel che era successo, era in stato di shock e delirava. Lo abbiamo riportato indietro, è l'unico membro della spedizione che abbiamo potuto salvare, ma i medici non sono in grado di dirci se e quando potrà recuperare la normalità.
Non abbiamo recuperato i cadaveri, li abbiamo sepolti appena fuori dalla piramide facendo quanto occorreva, quanto sapevamo dovesse essere fatto perché la minaccia che gravava sui villaggi degli indios della zona circostante non si ripresentasse in forma più grave. Prima di seppellirli, abbiamo scattato le foto dei corpi che trovate allegate al nostro rapporto.
Poi ci siamo messi a cercare lui, l'essere responsabile dello scempio che avevamo visto e a cui volevamo porre termine per sempre. Sapevamo che cosa dovevamo fare.
Per fortuna, l'abbiamo trovato che giaceva su di una lastra di pietra nella cella più interna della piramide, e mancavano ancora diverse ore al tramonto.
Abbiamo fatto quel che andava fatto, e adesso quell'essere non sarà più un pericolo per nessuno.
Devo essere sincero: per un lungo momento abbiamo esitato. Quella creatura distesa sulla lastra di marmo di un antico altare non aveva lineamenti da indio, sembrava piuttosto uno spagnolo. Le labbra e il mento erano ornati da lunghi baffi e da un pizzetto sottile. Gli stracci che indossava erano laceri e impolverati, ma facevano ancora pensare alla foggia degli abiti dei tempi dei conquistadores. Non ci stupimmo del fatto che quell'antica maledizione fosse arrivata fin lì dall'Europa.
Quello che ci bloccò per un momento fu questo: potevamo distruggere un testimone unico dell'epoca della conquista, qualcuno che aveva visto con i suoi occhi quel mondo precolombiano di cui sappiamo così poco? Ma poi saremmo riusciti a ottenere informazioni da quella creatura? E in ogni caso, lasciarlo in vita era troppo pericoloso.
Ci era chiaro anche perché Garcia è stato risparmiato o forse semplicemente lasciato per ultimo. Garcia è di madre brasiliana, praticamente è un mulatto. Da un mezzo sangue il vampiro non avrebbe potuto ricavare molto. 

4 commenti:

  1. Avvincente, avventuroso, misterioso. Racconto sui vampiri originale. Come al solito, piacevolissimo lo stile narrativo di Fabio.

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  2. Un horror molto bello.
    G.S.

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  3. Distaccato e sanguigno come scriverebbe Poe. Molto bella l'esitazione nell'uccidere il diverso e la storia.

    peppemurro

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  4. Suggestivo. E' un racconto riuscitissimo, perché spinge il lettore a evocare le atmosfere e l'ambientazione con grande facilità.

    Giuseppe Novellino

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