E’ notte fonda ed anche ora, come da tempo, non
ci sono rumori.
Le strade sono illuminate con dei bagliori
lividi d’asfalto: piove da giorni, lentamente, senza interruzioni, una pioggia
nerastra e maleodorante.
Oltre questa finestra, lo so, ci sono case: un
giorno si vedevano bene anche di notte, con le loro luci variopinte, come occhi
di tanti colori.
Già, gli occhi; non so perché mi fanno male e la
testa mi pulsa con violenza: forse ho quel male, forse sono solo stanco.
Sto qui, in una penombra che puzza di petrolio,
dentro questa stanza che è diventata la mia casa, il mio castello, la mia
prigione. E scrivo.
Scrivo per lascito, scrivo per testimoniare la
catastrofe che non ha nome; scrivo per i sopravvissuti col loro cuore di
sciacallo e la loro fame crudele di iena.
Sì, scrivo per la catastrofe: non ho risposte,
ma solo domande sul perché e come, anche se oggi nessuna risposta ha più senso.
Scrivo per scacciare i miei demoni, o per
esserne soffocato; scrivo per questa mania insondabile e la gioia sfrenata che
mi dà, o per sporcare fogli; scrivo come un urlo, anche se nessuna eco risponde.
E’ chiaro, scrivo al vuoto che dilaga, immane.
Scrivo per testimoniare il mistero dell’orrore
in cui resisto, forse scrivo solo per testimoniarmi. E penso che anche questo
sia inutile e insensato.
Il giorno verrà, ne sono certo: qualcuno batterà alla porta ed entrerà nella stanza.
Il giorno verrà, ne sono certo: qualcuno batterà alla porta ed entrerà nella stanza.
Troveranno le mie carte danzare sul tavolo o sul
pavimento al primo soffio di vento, diafani come la bestemmia che li accusa.
Troveranno il mio corpo e la mia maledizione.
Spero solo che conoscano l’abisso e che li
faccia urlare di pena e di terrore.
Tutti
bianchi.