lunedì 15 dicembre 2014

LABORATORIO di Adriana Alarco



Santiago vive in un laboratorio. È nato lì, ha imparato di tutto, conosce l'istituto e ha trascorso la sua vita sempre nello stesso posto. Essi l'hanno trattato bene, non può lamentarsi, ma non sa cosa c'è sull'altro lato delle pareti o delle poche finestre che guardano verso altri padiglioni. Molte volte ha il desiderio di vedere cosa sta succedendo fuori. Da sempre ha sentito curiosità, ma adesso che ha raggiunto l'età di sette anni, come gli hanno detto, è il momento di lasciarsi alle spalle quelle mura. Sta valutando un piano per fuggire e osserva sempre, seppure dalla porta, che il posto è identico a qualunque altro lato dell'edificio dove vive. È tutto uguale, con migliaia di corridoi e porte quasi sempre chiuse con lucchetti. Lui li ha visti quando lo trasportavano in barella da un reparto all'altro, da una camera a un'altra, da un letto al successivo, in mezzo a operazioni di riabilitazione.
Di notte sente sussurri e grida, ma non sa da dove provengono. Una volta vide un animale scappare da una gabbia e lo avvicinò fuori la stanza in cui abitava a quel tempo. Egli lo osservò solo attraverso il vetro della porta perché era braccato e mezzo morto di spavento. Sembrava un topo, ma era più grande. Santiago aveva visto alcuni animali sullo schermo, quando l'avevano lasciato guardare, perché di solito, non era consentito. Strumenti e dispositivi del laboratorio sono riservati ai medici ricercatori e non destinati ai campioni di laboratorio, gli hanno detto.
Lui conosce quasi tutti i medici, le donne che spazzano la mattina e gli uomini che puliscono i vetri delle porte e le lampade. Quando sono nuovi, alcuni vengono una sola volta e non tornano più a lavorare lì. Probabilmente sono spaventati dalla responsabilità, ma il fatto è che non li vede più. A volte, alcune di quelle donne gli offrono giocattoli in regalo. Meno male che ha una propria stanza dove può giocare col camion di legno, alla palla o fingere una guerra con i suoi soldati di plastica. La stanza non è grande e non ha finestre, ma almeno è un posto tutto per sé. Non conosce altre persone come lui, forse perché non ha visitato le altre camere. Parla con difficoltà, quando gli chiedono qualcosa, e solo ai medici che lo curano.
Non lo lasciano uscire dall'istituto perché non dovrebbe ricevere i raggi del sole sul suo corpo. Inoltre, è di salute molto delicata, anche se ora si sente bene.
Un tempo doveva rimanere a letto e alimentarsi attraverso tubi e aghi che affondavano nella pelle. Poi arrivarono altri medici, alcuni da luoghi lontani, per esaminarlo, per studiarlo, per analizzare il suo sangue. Infine lo misero su una barella sotto molte luci e lo guardarono per ore contemplando come scorreva il sangue nelle vene e come si muoveva il cuore dietro la sua pelle trasparente. Sì, perché la sua pelle è trasparente e si può vedere all'interno.
Fortunatamente lui ha un nome. Si chiama Santiago. Se non l'avesse, potrebbe pensare anche di non esistere, ma così sa di essere qualcuno. Già, perché essere trasparente dà la sensazione di potersi sciogliere in qualsiasi momento nell'acqua in cui si fa il bagno o a causa della forte luce artificiale sotto cui lo mettono per esaminarlo.
Vorrebbe uscire dal laboratorio e vedere cosa succede fuori. Dopo potrebbe ritornare per l'operazione, in quanto dovrà passare molto tempo a letto. Presto gli cambieranno il midollo spinale per vedere come il suo corpo si comporta. Così ha sentito dire quando i medici parlano fra loro. Non hanno bisogno di occhiali, raggi x o microscopi per guardare dentro di lui, basta vederlo spoglio. Si vedono muovere le ossa, il sangue nelle vene e il cibo quando raggiunge lo stomaco e poi gli intestini.
Ha imparato anche lui a guardarsi quando non c'è nessuno, perché non gli è consentito di rimanere a lungo senza vestiti che sono lavati e disinfettati ogni giorno.
Lo trattano anche bene. Il semolino ha sempre lo stesso sapore, ma a volte cambia di colore e non se ne può lamentare.
Oggi attenderà l'ora in cui si ritira la maggior parte dei medici per cercare di arrivare alla porta del palazzo e vedere cosa c'è fuori, dato che non esistono finestre. Ha pensato, con astuzia, di mettere un soldatino per assicurarsi che la porta non si chiuda completamente ed essere in grado di aprirla dall'interno.
Ascolta se sono andati via gli aiutanti e le unità ausiliarie, così come i medici, i ricercatori, i chimici, i farmacisti e gli altri che lo circondano di giorno; spera di poter dire addio a quella vita. Rimuove il soldatino dalla porta ed esce in punta di piedi.
In fondo a un lungo corridoio, vede una scala a spirale e va giù mettendo un piede davanti all'altro, tenendosi alla ringhiera. Non ha mai né salito né disceso una scala. Era ora! Perché non l'ha fatto prima? Forse perché era sempre mezzo addormentato o sarà che ora è più sveglio?
Passo dopo passo raggiunge il fondo della scala che assomiglia a una lumaca. C'è un riflesso sul muro. È spaventoso perché sembra un teschio in piedi. Avvicina la mano e pure il riflesso muove una mano. S'incontrano e l'altro è freddo. Alza le braccia e anche il riflesso solleva le braccia. Orrore! Quel cranio che cammina è lui? Un essere tanto cristallino che gli si vede attraverso, con una pelle delicata che lo copre? Vede il suo cuore battere tanto da sfuggirgli dal petto.
Terrorizzato, corre alla porta. Non è bloccata. Sente qualcuno che lo chiama per nome da lontano. Non si ferma. Apre e si trova finalmente all'aria aperta, in uno spazio esterno, fuori dal laboratorio che è la sua casa. Da quella prigione dove ha trascorso la sua vita da quando è nato. Gli ultimi raggi del sole, dietro il padiglione opposto, lo bagnano di luce fiocca. Sente bruciare la sua pelle, arde e si sente incenerire, il corpo fuma poco a poco. E si dissolve, si scioglie, scomparendo fino a quando non rimane che un cumulo di vestiti, lavati, disinfettati e stirati, sul terreno.
Questo è tutto ciò che fu ritrovato di Santiago, sulla soglia della clinica, il giorno che ebbe il coraggio di avventurarsi fuori dal laboratorio dove aveva vissuto tutta la sua breve vita.

5 commenti:

  1. Bel racconto, questo di Adriana. Finale terribile, amaro.

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  2. Bonjour, Paolo,
    Je ne sais pas si mon commento va "passer". En tout cas, je le répète ici. Le récit d'Adriana est effectivement
    Terribile, molto impressionante. Je vais le lui écrire.
    Cari saluti
    PJ

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  3. Ottimo Racconto, Adriana. Toccante e che evoca la realtà, purtroppo, di tanti bambini costretti ad avere un ospedale come seconda casa.
    Il tema del "freak" che desta la curiosità degli scienziati è sempre un buon argomento che rende il racconto SF intrigante.

    Danilo Concas

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  4. Grazie a tutti per i vostri gentili commenti e vi auguro buoni e felici giorni di festa.

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