lunedì 10 marzo 2014

IL PIANETA INVIVIBILE di Pierre Jean Brouillaud



Smrtch si ritemprò con una sorsata di anidride solforosa. Gli ricordava il suo paese. E lo riscaldava. Su questo maledetto pianeta faceva un freddo cosmico. Quaranta gradi, secondo la loro curiosa scala termometrica. Un pianeta gemello – come dicevano su Zkrd, il suo mondo. Ma come potevano essere così dissimili due gemelli? Non avevano in comune che lo stesso sole.
Ancora uno sbuffo di SO2! Ah! Questo profumo. Con un niente di H2SO4. Meglio non abusarne. Rischiava di rompersi… Perché questa espressione cruda? Nel suo caso, non voleva dire un gran che. Ma gli capitava di parlare terrestre quando era solo. E anche di pensare, sognare in terrestre.
Ciò che rischiava era di disaggregarsi… Rompersi, un’espressione volgare come tutto il parlato terrestre, creato per proferire cose volgari. La lingua di Zkrd, era nata per tradurre le sottili sfumature degli stati gassosi, il movimento, la fluidità, la metamorfosi. Qui, ogni cosa era diversa da ciò che sembrava. Si trasformava poco e con un certo disappunto.
Questo cratere, per esempio, che stava aspettando a emettere il suo flusso di lava?
Quando la temperatura si abbassava – e stava sopraggiungendo la sera – gli elementi di Smrtch avevano tendenza a solidificarsi. Viveva tra due pericoli: la disintegrazione per abuso di SO2 e, per colpa del raffreddamento, il passaggio allo stato di rigidità.
Invivibile, totalmente invivibile, questo pianeta Terra! Il solo cambiamento, era l’alternanza senza fine dei giorni e delle notti. Appena il tempo di abituarsi alla notte, che si levava il giorno. E questo sole che vi accecava, che faceva serpeggiare ovunque le sue ombre. Smrtch aveva quasi paura di questa forma che lo seguiva, anche se essa avrebbe dovuto, grazie alla sua immaterialità, sembrargli familiare, dare del visitatore un immagine più fedele, infine meno estranea. Al suo arrivo, il viaggiatore non lasciava alcuna ombra, cosa che lo preoccupava. Aveva paura che lo scoprissero per questa mancanza. Ma gli uomini erano troppo indaffarati, troppo preoccupati di se stessi. Non guardavano i loro simili, e le loro ombre ancor meno. Un giorno, però, una donna, vedendo Smrtch, aveva levato gli occhi al sole poi li aveva abbassati sul visitatore, come per stupirsi di quell’assenza.
In sovrappiù, Smrtch doveva liberare un odore che lo tradiva. Annusavano là dove era passato. Perché no? Le percepiva molto bene, lui, le emanazioni scialbe e asprigne degli umani. Un odore di carne.
Come loro, trascinava il suo corpo. Pesante. Incerto. Solo un lungo allenamento gli permise di servirsene senza attirare troppo l’attenzione. Sulla sua scheda – 1,82 m – capelli castani – i terrestri avrebbero aggiunto: segni particolari, nessuno. Un uomo, con tutti i suoi organi, secrezioni, deiezioni. Morte e putrefazione. Per niente allettante, il loro pianeta.
Degli organi inutili! Degli occhi che non gli servivano a nulla, perché lui vedeva con tutte le cellule del corpo. Mentre gli umani, con tutti i loro occhi e le loro telecamere, non vedevano niente! La prova: su Zkrd non saprebbero distinguere una forma di vita superiore! Perché la vita di Zkrd non somigliava affatto alla loro. E non erano capaci di immaginare ciò che non era percepito dai loro sensi o dai loro strumenti. Di raffigurarsi quello che da loro non esisteva: un abitante di Zkrd per esempio.
Un getto di aria bruciante gli solleticò piacevolmente il polpaccio.
Quando gli mancava l’animo, ossessionato dalla visione della ribollente Zkrd, tornava su quella solfatara per riprendere le forze, grazie a una razione di SO2, e ricompromettersi.
Il terreno scricchiolava, sprizzava fumarole. Tutt’intorno, un suolo giallo disseminato da una vegetazione arbustiva bruciacchiata dai vapori di zolfo.
Smrtch stava per ridiscendere verso il mare.
Sul sentiero sassoso stazionava una vettura blu cielo. Non lontano di là, una Terrestre, munita di tutta un’apparecchiatura, si dava a delle misure. Una bella donna, almeno per i suoi simili. Bruna, pelle chiara, seno appuntito sotto un corsetto rosso, ventre piatto, cosce lunghe modellate dai jeans, scarpe da ginnastica.
Smrtch avrebbe preferito evitarla. Ma lei l’aveva intravisto e gli lanciò un:
«Che caldo!»
Si avvicinò. Sotto il suo passo, la crosta pustolosa scricchiolava, si fondeva, liberava getti di vapore e di lava.
Sorridente, la ragazza sudava.
«Attenzione!» gridò lui. «Non si muova! Il suolo sta per cedere sotto di lei. Non conosce questo terreno. Sta per abbrustolirsi i piedi!»
L’ha presa per la mano:
«Mi segua!»
Lei lo giudica con un occhiata. Bell’uomo. Ma di una bellezza troppo normale. Tutta la personalità nella curva del naso.
Lui la guida, tra i getti sulfurei, fino a un’anfrattuosità della roccia che forma un riparo. Col respiro corto, la donna si appoggia alla parete. Il sudore discende sul suo collo.
«Si riposi,» le dice lui.
Lei riprende il suo respiro normale:
«Questi luoghi – sembrano – esserle familiari. Eppure, qualcosa – mi fa credere – che lei non sia di queste parti.»
«Si vede? Da cosa?»
«Dalla sua ombra.»
«Cos’ha di particolare?»
«È così pallida, capricciosa. Di colpo, pare abbandonarla.»
«La sua è netta, ben ritagliata. Si potrebbe quasi afferrarla.»
Fu più forte di lui. Un riflesso terrestre. Smrtch non poté impedirsi di passare una mano sul viso di lei, che si chiamava Prisca.
«Un bel nome, ma poco comune.»
«Si trova nel calendario. E lai?»
« Euh! Daniel.»
«Non le sta bene.»
«Che nome mi darebbe?»
«Più esotico.»
Non aggiunse altro e prese la mano di Smrtch nelle sue.
Distrattamente, si accarezzarono.
Lei appoggio le sue labbra su quelle del visitatore.
Non avrebbe dovuto. In fondo, la cosa non gli diceva nulla. Ma non gli era stato chiesto il suo parere. Era là per il sesso. E i terrestri non pensavano ad altro. Una genia lubrica, si diceva su Zkrd.
Smrtch iniziò i check-up e il cronometraggio delle fasi.
Si recitò la scaletta delle operazioni in bell’ordine. Lasciarsi guidare dalla natura, questo non poteva permetterlo.
La sua partner lo richiamo alla realtà del presente:
«Ho sempre sognato di fare l’amore con un E.T.»
«Ne resterà delusa.»
«Non vi sottostimate. La maggior parte degli uomini, voglio dire dei Terrestri, hanno una reputazione esagerata.»
«Ma non le da fastidio?»
«Cosa?»
«Tutta questa carne…»
Lei fa una smorfia. Lui riprende:
«Mi scusi. Non volevo infastidirla. Mi manca l’abitudine. Qualche volta, faccio delle topiche.»
«Viene da lontano? Mi dica del suo pianeta.»
«Si chiama Zkrd.»
«Non lo conosco. I mondi sono infiniti.»
Le indicazioni erano giuste: era venuto il momento dell’orgasmo.
In fondo alla vagina, le contrazioni si calmavano.
Prisca aveva l’aria soddisfatta. Lui non sentiva niente. Mai. Era programmato per dare piacere, non per provarne. In fondo, questa ginnastica lo riscaldava.
«Proprio come un Terrestre,» fa lei.
«Sei delusa.»
«Ma no! Fai l’amore come il più dotato dei Terrestri. Dico io! Sul tuo pianeta le donne provano piacere?»
«Noi non procediamo in questo modo.»
«Racconta!»
«Da voi, è una questione di ghiandole, di nervi e, come dite? di neuroni.»
«E da te?»
«Accade a livello molecolare. Tutto sta nell’armonia delle combinazioni.»
Prisca fa una smorfia:
«L’amore disincarnato, in qualche modo… È molto tempo che sei qui?»
«Sedici dei vostri mesi. È un bel po’.»
«Che vuoi dire con questo?»
Sorpreso, la squadra in viso:
«Voglio dire che un periodo troppo lungo.»
«E quando riparti?»
«In questo istante stesso.»
Si alza:
«Ho già completato la mia missione. Con qualche minuto di ritardo, e noi ci saremmo mancati, Prisca.»
«E ora?»
«Torno a casa mia.»
«Felice di ritornare nel tuo mondo, eh?»
«Prima di tutto devo togliermi questa mimetizzazione.»
Esce dal suo corpo come un insetto dalla sua crisalide. Ma l’insetto sarebbe visibile. La pelle flaccida ricade a terra.
La ragazza ha un soprassalto.
«Desolato,» dice una voce così chiara che Prisca riconosce appena quella di Smrtch. «Ma avevo pensato che ti sarebbe piaciuto tenerla per ricordo. Ti varrà un certo successo come curiosità.»
La spoglia non misurava ora più di un metro e cinquanta. E stava tendendo al grigio.
Superando la sua ripugnanza, Prisca ficcò la pelle nel cofano della vettura. Poi mise in moto. Sarebbe andata fino al primo villaggio per acquistare una pala. Poi avrebbe dato alla spoglia una sepoltura decente, secondo il rito terrestre. Il viaggiatore avrebbe lasciato una traccia del suo passaggio.
Lui, anche se invisibile, non si decideva a lasciarla.
Seguiva la vettura blu cielo. Ma, per la velocità e a causa della spogliazione, aveva ancora più freddo. Smrtch rischiava problemi molecolari. Doveva ritornare al suo mondo originario.
«Il tuo pianeta, a quanti anni luce sta?»
«Molto vicino.»
«Dove?»
«Guarda!»
Nel crepuscolo che saliva, Venere si alzava sull’orizzonte.
«Più di 400 gradi,» dice Prisca. «Nuvole di acido solforico. Invivibile, quel pianeta.»
Smrtch non risponde. È già così lontano.
Presa da un dubbio, Prisca ferma l’auto, discende, apre il baule.
La spoglia era scomparsa.
Mormora:
«Questi Venusiani, non fanno niente come gli altri. L’armonia delle combinazioni! Mi ha preso per un idiota. Ora, rientro per rinfrescarmi un po’. Direzione Marte!»
E scompare, in una nuvola di polvere.
 Il baule rimase aperto.

(Traduzione dal francese di Giorgio Sangiorgi)

4 commenti:

  1. Altro bel racconto di Pierre Jean, la cui presenza su Pegasus è sempre motivo di grande gioia.

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  2. Un racconto interessante: straniante, divergente...

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  3. Un bel racconto, divertente e piacevole.

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  4. Molto bravo. Racconto piacevolissimo.

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