
Ci trovavamo ogni sera attorno al
tavolo illuminato, al centro, dalla luce lattea della lampada. Essi entravano
quasi senza salutarmi, né rivolgermi frasi cortesi. Effettivamente non ce n'era
bisogno.
Ci vedevamo soltanto per giocare a
poker ogni notte, fino all'alba.
Non ho mai
saputo i nomi dei miei compagni, tranne i piccoli nomignoli che nascono intorno
ai tavoli da gioco: Mano d'oro, Cip, Piatto Doppio.
Se devo dire il vero non conoscevo
nemmeno bene le loro fisionomie perché, quando entravano, la stanza era già
nella penombra con l'unica macchia abbacinante al centro, diretta sul tavolo
verde, e quando sedevano la banda d'ombra del paralume nascondeva i loro volti
sino al mento.
Era consuetudine di mesi, ormai.
Essi giungevano, picchiavano con
moderazione alla porta ed entravano in silenzio in fila indiana: prima Piatto
Doppio, grosso e tarchiato, poi lo scheletrico Cip e quindi il gobbetto Mano
d'Oro.
L'unico a dire qualcosa, e ciò non
accadeva mai tanto spesso, era Piatto Doppio che brontolava:
– Sera! – e si metteva a sedere al
suo solito posto.
Gli altri lo imitavano e solo una
volta Cip disse:
– Giochiamo anche la notte di
Natale. Bella roba!
Mano d'Oro sogghignò.
Poi si cominciava a distribuire le
carte e il gioco prendeva man mano il suo ritmo e la sua tensione.
Era ormai tanto tempo che
giocavamo insieme che si può dire nessuno vincesse né perdesse. Le forze erano
equilibrate; ognuno sfoggiava il suo carattere di giuoco.
II fumo delle sigarette, perchè
tutti fumavamo molto, si addensava sotto il paralume e, dopo pochi minuti, ci
vedevamo attraverso una nebbia azzurrina come se fossimo immersi in un
acquario.
Poi all'alba Mano D'Oro diceva:
– Giro fisso.
Facevamo le ultime puntate
rischiose, quindi i conti; ognuno pagava e i tre, in fila indiana, così come
erano entrati, se ne andavano.
Piatto Doppio, dalla soglia,
brontolava, senza voltarsi:
– Giorno!
La porta si chiudeva con garbo
alle loro spalle.
Ma una sera non vennero. Il fatto
che ciò fosse accaduto dopo tanto tempo mi mise in subbuglio. Sapevo che erano
di una puntualità cronometrica e già un ritardo di dieci minuti mi doveva convincere che non sarebbero più
venuti. Invece attesi tutta la notte.
Prima camminai avanti e indietro
nervosamente. Poi sedetti al tavolo iniziando un interminabile solitario.
Ogni tanto tendevo l'orecchio a
spiare i rumori per le scale. Il fruscio di un gatto o il picchiare lieve del
vento contro le imposte mi faceva sobbalzare e spingere, ancora con maggiore
tensione, i miei nervi fuori della stanza.
II vento fresco dell'alba, che
agitava le tende della finestra, mi spinse verso la camera da letto. Mi gettai
così vestito, abbattuto da un'amarezza senza confini, sul materasso e dormii.
Solo più tardi compresi perché
essi non erano venuti.
Il giorno prima un Pastore
Battista aveva preso in affitto l’appartamento sotto al mio e, prima di entrare
in casa, aveva asperso davanti al portoncino, con una breve preghiera,
dell’acqua benedetta.
Essi non sarebbero più venuti.
I loro spiriti maledetti avrebbero
vagato in altri luoghi, meno santi, alla ricerca di un tavolo da poker dove ci
fosse solamente il quarto.
(Per gentile concessione dello scrittore Sergio
Bissoli)
Bellissimo, grazie per aver trasmesso questo racconto alle generazioni future
RispondiEliminaVeramente un bel racconto. Storia interessante, stile perfetto
RispondiEliminaAnime maledette tornano al gioco, ma poi non vengono più perchè sono state esorcizzate. Bel racconto sul gioco che in poche righe propone una profonda riflessione sul senso della perdizione e nello stesso tempo intrattiene con l'argomento fantastico dei fantasmi. Mi sono piaciuti l'atmosfera e il simbolismo.
RispondiEliminaDecisamente piacevole da leggere anche perchè scritto con uno stile impeccabile.
Giuseppe Novellino