
Il mare era piatto e calmo come uno
stagno. Un esile spicchio di luna tremolava in un cielo velato, povero di
stelle. L’aria era ferma, umida e calda.
Una bella notte per attraversare quello
scampolo di Mediterraneo. Ma anche una notte pericolosa, perché le motovedette
stavano in agguato. Loro sapevano che con un tempo così i clandestini avrebbero
facilmente tentato il tutto per tutto.
- Perché ci siamo fermati? – chiese un
ventenne di nome Adam, rannicchiato all’estremità della prua.
Da qualche minuto il battello aveva spento
il motore. Era un natante decrepito, arrugginito, di quelli che all’inizio del
2000 navigavano tra Levanto e Portovenere per consentire ai turisti di ammirare
il paesaggio delle Cinque Terre. Quindi aveva almeno ottant’anni sul groppone.
- Probabilmente ci sono noie al motore.
La risposta era venuta da un altro
giovanotto, rapato a zero, con un indefinito accento straniero.
Intanto un bimbo si era messo a strillare.
Stava aggrappato al seno di sua madre, una donna esile, dal viso olivastro,
quasi una ragazzina.
- Cristo! – imprecò una specie di Maciste
a torso nudo con la barba incolta. – Proprio adesso che siamo a non più di
venti chilometri dalla costa!
- Già, qui facciamo la fine del topo in
trappola – commentò uno smilzo dall’aria malaticcia che stava rattrappito contro la sponda.
Apparve, in direzione sud ovest, una
debole luce.
- Eccoli! – gridò qualcuno. Poi si scatenò
un brusio di voci allarmate.
- State calmi – ordinò uno dei due piloti
dell’imbarcazione. Non si vedeva, parlava dall’interno della cabina, con un
megafono.
- Io conosco queste acque – dichiarò il
Maciste seminudo. – Sono insidiose, ma possono giocare brutti scherzi anche a
quelli che danno la caccia a barconi come il nostro.
- Come fai a dirlo? – fece Adam,
stringendosi nelle spalle.
- Ma non sei di queste parti, tu? – disse
il forzuto.
- Mio nonno… lo era.
Il bimbo aumentò l’intensità del suo pianto.
- Povera donna! È scarsa di latte. – La voce proveniva dal groviglio di corpi
ammassati a prua.
- E anche l’acqua ci manca – disse
un’altra voce femminile.
- Maledetti negrieri!– imprecò lo smilzo
con il volto malaticcio. – Ci hanno fottuto l’ultimo Euro e ci lasciano morire
di sete.
Fu in quel momento che una sottile
nebbiolina cominciò ad avvolgere l’imbarcazione.
- Che vi dicevo? – fece il Maciste.
- La nebbia – constatò Adam. – Mio nonno
me lo diceva. In questo grande golfo, nelle ore più piccole di una notte
estiva, può capitare…
- Il Golfo della Sirte. Dio lo benedica! –
disse il Maciste. – Siamo ormai a venti chilometri dalla costa libica. Con un
po’ di fortuna…
E la fortuna li assistette. La luce, a
poco a poco, sembrò allontanarsi verso sud est. E ben presto fu una certezza.
Se si fosse trattato di una motovedetta, non avrebbe individuato la sua preda.
- Libia, terra promessa! – salmodiò una
voce dal gruppo.
- Papà, quando arriveremo in Libia? – domandò
un bambino biondo. – Com’è la Libia?
- Un sogno – disse Adam. – La terra dei
miei avi, la terra a cui faccio ritorno.
- Ci sarà possibilità di lavoro? – domandò
un giovane dal forte accento tedesco.
- Di dove sei? – chiese Adam.
- Di
Zurigo…un inferno – rispose lo svizzero
- Vedrai, la terra dei miei avi ti porterà
fortuna.
- Lo spero con tutto il cuore.
Tossicchiando, il motore fece di nuovo
sentire il suo rauco canto.
L’umidità si faceva più densa, la foschia
più fitta.
L’imbarcazione riprese la sua navigazione.
Ben presto i clandestini avrebbero
raggiunto il loro agognato paradiso.
(Per gentile concessione dell'Autore)
Molto bello e significativo. Chissà mai che in un prossimo futuro si ribalti davvero una certa situazione.
RispondiEliminala terra promessa ridimensionata nella sua location, quasi in un contrappasso o in una possibilità di speranza. Piaciuto molto. Grazie, dmk
RispondiEliminaGrazie a voi. Lieto che vi sia piaciuto.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino