
Oltre i
mari e le terre, sopra tutto il creato, ci sono distese di nubi di piombo
grondanti di pioggia, in mezzo a ululati di venti taglienti sulla pelle.
L’oscurità è illuminata solo a momenti dalle corse di fulmini senza pace.
Lassù,
un volto di rughe profonde come le ere stringe gli occhi tra una barba
arruffata ed i lunghi capelli:
“Ma me
bono, guarda qua!”
Non ha
corpo, o forse ce l’ha ma non si vede. Non si distingue nulla lassù, la realtà
non è reale, o forse è quella la realtà, non si capisce.
“Capo,
scusa, ma lo sai com’è...”
“Non
rispondere!” Dieci tuoni accompagnano la frase. “Lo sai, mi devo sfogare.”
“Certo,
capo.”
L’ufficio
adesso è reale. Il volto ha un corpo, ora, e parla al piccolo essere in tunica
bianca:
“Guarda
queste carte: il mondo va a rotoli! Il totale mondiale di preghiere è in
flessione del sette per cento, anche quest’anno. La frequenza media di messa
pro-capite: c’è più gente in gelateria a Natale. Santo me, guarda!” Dio
sventola i fogli sotto il naso del suo angelo, gli occhi taglienti. Quello
china di più il capo biondo, mani in grembo. “E’ tutta colpa sua! Una volta,
mille anni fa, prima che fosse grande; quelli erano tempi. La gente mi temeva,
mi capisci? Diluvi, piaghe. Così si fa! Mi dovevano rispetto, onorarmi, o giù
botte, chiaro? Schiena dritta o mi faccio vivo, chiaro? E invece quello là...
Avrei dovuto usare il mio sistema, tirarlo su con mani di ferro. Invece,
Maria...” Si passa la mano sul volto: “Le voglio bene, ma lei ha il cuore
troppo tenero. Troppe concessioni, troppi vizi. Così più moscio di Budda mi è
venuto su! Già da ragazzo: prima quei capelli lunghi, ma tagliali! Poi sempre
vestito tutto stracciato, camicioni, fiori e pantaloni larghi: è la moda, mi
fa; l’ho inventata io, tu manco sai cos’è! Ma smettila! Ma poi arrivava sua
madre e... E sempre a bighellonare, a suonare la chitarra e girare nei prati, a
non far niente e guardare lontano e pensare. E sorrisoni e vogliamoci bene.
Avrei dovuto metterlo a lavorare sodo, altro che studiare.
E quando
è stato grande? E dai, e passagli l’attività di famiglia, e dagli una
possibilità. E poi lasciagli fare a modo suo. Così gli ho lasciato in mano un
mondo modello, capisci? Il mio popolo mi rispettava, sapeva che non c’era da
scherzare. Ero il primo dei suoi pensieri, sapeva quanto fossi severo. Amatemi
o sono dolori! E tutti sempre attenti, messa, preghiere, buone azioni. O giù
calamità. Invece...
Mi
ricordo quando mi fa: papo, me ne vado
sulla terra. Bello, mi dico. Che ti vuoi presentare tipo mega idolo d’oro e
piazzare qualche monito qua e là, gli chiedo. Sai che mi disse, eh? Ma no papo, devo camminare tra il mio gregge,
vivere come loro, vedere nuovi mondi, nuovi luoghi, trovare la mia via. E poi
farmi uomo di carne, essere debole e sofferente, come e più di loro. Dare
l’esempio di massima umiltà, di estremo sacrificio, immolarmi. Così sarò il
modello perfetto di amore cosmico, con la A maiuscola; e loro mi seguiranno.
Vivranno nell’abbraccio eterno dell’amore, in un idillio di felicità.
Ecco, in
quel momento ho pensato dovesse essere drogato, anche se non è possibile. Non
credo di essere riuscito a parlare per un po’. E lui? Sorrise, e mi disse tipo:
non è proprio cosmico? E la V con le dita... la V... Una cosmica idiozia, ecco
cos’era! E lui se l’è presa, pure: ma papo,
tu non capisci... I tuoi modi della scorsa era... I tempi cambiano, ti devi
adeguare...
E così è
andato sulla Terra. Ti giuro su di me, fui curioso di vedere fin dove sarebbe
arrivato. E così, invece che una bella guerra di religione, ad esempio,
condurre il popolo ad ammazzare qualche milione di infedeli, s’è ammazzato lui.
Trent’anni a predicare come un figlio dei fiori e poi... Mah, guarda, non farmi
continuare. E adesso? Che fa adesso?”
Lo
sguardo sull’angelo, che alza la testa:
“È nella
prateria del terzo cerchio, sta... cantando con le anime dei bambini...”
“E te
pareva! E canta, canta pure! Ma adesso basta, nuovo corso! Bisogna tornare alla
severità! Un bel periodo di austerità, rigore, impegno e lavoro. Ma bisogna
cominciare con qualcosa di forte. Gabriele! Dov’è Gabriele? Chiamatemelo!”
Batte le
mani ed il rumore è un tuono. L’ufficio si squaglia in nuvole di pece.
La
figura di Dio si gira e si allontana veloce. Il vortice di nubi e lampi perde
intensità. I tuoni si fanno più lontani. Rimane il piccolo angelo in un cielo
senza confine. Poi accanto a lui arriva da non si sa dove un ragazzo, poca
barba e capelli lunghi, jeans e camiciona mezza fuori, sandali. Guarda l’angelo
e sorride:
“Tranquillo,
poi gli passa al mio vecchio, vedrai.”
“Fosse
umano, direi che non gli fa bene alla salute.”
“Che ci
vuoi fare? Ha una certa età.” Si stringe nelle spalle: “Ti va una canzone?”
(Per gentile concessione dell'Autore)
Un benvenuto a Marco Viggi come autore di Letteratura Fantastica. Molto simpatico e divertente il suo racconto.
RispondiEliminaUn modo simpatico per alludere a temi teologici. Perchè no? Un po' di riflessione anche attraverso lo scherzo, la divertente parodia. Rileggendolo, ho gustato il tono colloquiale. E' scritto molto bene, in modo personale e orignale.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino
Grazie a tutti e due.
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