Quella del 10 agosto 1890 era
stata, per il dottor Robinson, una giornata da dimenticare.
Da un po’ si era fatto buio. Stava sulla
veranda e si lasciava dondolare nella sedia, guardando le stelle in un cielo terso,
insondabile. Ogni tanto trangugiava un sorso di whisky da una bottiglia quasi
vuota. I grilli frinivano fra la sterpaglia che si estendeva oltre le ultime
case di Silverthorne.
Aveva dovuto prestare le sue cure a una
decina di persone seriamente ammalate. Poi c’era stato l’intervento per
estrarre una pallottola dalla pancia di Hans Lettermann, il quale aveva avuto
un diverbio con un balordo di passaggio, dileguatosi subito dopo nella polvere
della strada per Denver. E come ciliegina sulla torta, gli avevano inviato un
messaggio telegrafico per annunciargli la morte di sua sorella Susan, stroncata
da un male incurabile.
Già aveva avvistato due stelle cadenti. Ma
ciò che vide, dopo aver tracannato l’ultimo goccio di liquore, fu davvero
straordinario. Una luminosissima scia, dopo aver percorso il firmamento, si
spense dietro le colline del Blue River. Il suo punto di osservazione era molto
favorevole, dal momento che l’abitazione si trovava sull’estremo limite nord
della cittadina. Ma sicuramente, pensò il dottore, molte altre persone rimaste
ancora sveglie dovevano avere visto il fenomeno. Si era trattato di una stella
cadente fuori dall’ordinario, se non altro per quella intensa luminosità
azzurrognola che per un momento aveva inviato i suoi riflessi da oltre la
cresta dei rilievi.
Fu assalito dal torpore. La fatica di
essere medico in una cittadina sperduta del Colorado non era cosa da poco. Si
sentiva oppresso dalla solitudine, dalla malinconia per la perdita della
sorella lontana; ma era anche logorato dal ricordo ossessivo di essersi
stupidamente giocato, a suo tempo, la carriera in un posto più civile come St.
Louis.
Scaraventò la bottiglia vuota oltre la
ringhiera della veranda e chiuse gli occhi.
Solo l’alcool e qualche volta il riposo
riuscivano a lenire la sua pena esistenziale.
Quando si svegliò, sentì uno strano freddo
nelle ossa. Doveva essere l’umidità notturna.
Trasse l’orologio dal taschino, ne
illuminò il quadrante con un fiammifero. Era quasi mezzanotte. Doveva aver
dormito una buona oretta sulla sedia a dondolo. Poi sentì una voce che sembrava
dentro la sua testa:
- Ti do l’ordine di soccorrere il qui
presente cadetto di seconda classe Matwrhian. La prestazione a te richiesta è
urgente. L’organismo del soggetto in questione è affetto da una reazione
antagonista causata da eccesso di cripto nell’atmosfera terrestre… - Il resto
venne da una voce metallica dall’estremità buia della veranda. – Sono l’unità
PHZ-778003244559114. La sindrome del soggetto che sto accompagnando richiede la
somministrazione di cloruro di acetile, di cui siamo sprovvisti. Tu sei quello
che chiamano medico e dovresti essere in possesso della sostanza
Così il dottor Robinson vide i due
individui: uno alto non più di un metro, avvolto in quello che sembrava un
lungo mantello leggermente fluorescente; l’altro, che aveva parlato, era una
strana creatura dalle incerte fattezze umane.
Quella fu una notte completamente
dimenticata dal dottor Robinson.
Lo vide, verso le quattro del mattino,
Jack il boscaiolo, che con la sua mula se ne andava nella foresta di conifere
sulle colline a nord di Silverthorne. Il dottore era abbandonato nella sedia a
dondolo, irrigidito per l’umidità e il freddo della notte. Lo rianimò con un sorso
di rum.
Poi il dottore andò a buttarsi sul letto e
dormì altre due ore.
La luce del mattino portò il fastidio di
un’altra giornata di frustrazione. E mentre ingollava un bicchiere di whisky
nel saloon di Scarlett, il dottor Robinson sentì un tale di passaggio che
diceva:
- È davvero curioso quello che ho visto
stamani dietro la collina. La vegetazione era tutta morta nel raggio di cento
metri. Il cerchio era perfetto, come se fosse stato disegnato da un gigante. E
poi, al limite dell’area sconvolta, ho trovato questo. -Mise sul bancone un
tubetto di latta con la scritta: “cloruro di acetile”.
Robinson vuotò il bicchiere e disse: -
Strano, questa mattina sono diventato matto a cercare il cloruro di acetile per
il composto antipiretico da somministrare al figlio della signora Milton.
L’ultimo tubetto che mi era rimasto…proprio uguale a quello.
Scrollò le spalle e si riempì di nuovo il
bicchiere.
Mormorò:
- Ce ne sono di cose misteriose sotto
questo cielo stellato.
Caro Giuseppe, la tua vena western è pressoché inesauribile, oltreché fantasticamente avvincente. Davvero un bel racconto.
RispondiEliminaBelle le descrizioni dei personaggi in questo racconto western fantastico...
RispondiEliminaMolto gradevole e ben descritto. Rende il personaggio e l'ambientazione con credibilità e calore. Davvero riuscito.
RispondiEliminaFabio Lastrucci