Una notte sono entrata nel quadro dei miei incubi.
Appariva terrificante con la sua chiesa sulla collina sotto un cielo
burrascoso. Le finestre mi osservavano dall'abisso della loro oscurità. Mentre
salivo le scale del Museo, la visione mi confondeva. Sto guardandola da fuori o
da dentro?
Van Gogh si girerà, ridendo, nella sua tomba, se mi
vedrà dubbiosa, senza fare un ulteriore passo verso il paesaggio allucinante.
Sono la donna che avanza lungo il sentiero giallo o sono la Morte?
Oggi non riesco a sopportare tanta emozione e tanta
inquietudine. Quindi, per fermare il panico che m'attanaglia le viscere,
sollevo la falce e distruggo, alla fine, il mio incubo.
Stracci,
pezzi di tela e di carne, e sangue e pensieri… la falce che ruota e tutto…
tutto…
Restano solo
i corvi e un prato, immenso e giallo, di girasoli.
La parte in corsivo, di Peppe Murro, conclude poeticamente, quasi alla maniera pascoliana (con lievi e coinvolgenti cromatismi), lo scritto un po’ visionario, fantastico, intenso di emozioni della sempre brava Adriana.
RispondiEliminaUn po' gotico, un po' metafisico. Suggestivo questo raccontino in centoquaranta parole. Risce a suscitare un brivido.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino
Ringrazio le tue parole, se il racconto emoziona ha raggiunto il suo scopo.
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