Rannicchiati sull'orlo di un cespuglio, tre gatti
lasciano l'intruso, hanno battuto in ritirata dopo che ha colpito il battente
destro del cancello che cigola orribilmente. L'orecchio alzato, il pelo
arruffato, seguono con lo sguardo cupo l'avanzata del nemico che s'inoltra nel
viale di lastre sconnesse. Il giardino era ridotto a una distesa di erbe matte
dove svolazzavano vecchi giornali o giacevano carcasse metalliche: rottami di
motori o bidoni sventrati.
Arrivato alla porta della villetta, l'intruso si
ferma, alza gli occhi sulla facciata fatiscente. La data della costruzione è
incisa su una pietra sopra l'entrata: 1880. A ciascun lato della porta, una
statua di donna formosa occupa una nicchia sovrastata da una conchiglia i cui
rilievi si sbriciolano. Due finestre senza imposte dai vetri opachi non
lasciano intravedere niente dell'interno.
L'uomo preme il bottone del campanello: era
prevedibile, non funziona più. Batte tre colpi che fanno sollevare una piccola
nuvola di polvere o di gesso. Una sottile pellicola si deposita sulle spalle
del visitatore che indietreggia e si scuote lentamente i vestiti.
Un passo strascicato dietro la porta, il rumore di un
saliscendi. Una testa rosa dal cranio calvo coronato di capelli bianchi appare
nel vano.
“Ispettore Benoit”, dice l'uomo, “Mi scusi se la
disturbo, professor Blaise, ma vorrei parlare con lei”.
“Entri allora, ispettore. Aspettavo la sua visita”.
“Davvero?”
“Si. Un dettaglio che non avrà mancato di attirare la
sua attenzione. Io ricevo da qualche tempo molti messaggi postali ed
elettronici”.
“Che genere di messaggi?”
“Zeppi di errori d'ortografia”.
“Bene, ma qual è il loro contenuto?”
“Insulti e minacce. Per curiosità, ho letto i primi.
Gli altri li ho buttati nell'immondizia senza aprirli.
“Ha conservato i primi?”
“Purtroppo, no”.
“Peccato!”
“Oh, ce ne saranno certamente in qualche memoria del
computer. So che oggi non ci sono più segreti”.
“Sbagliato, ce ne sono sempre, ma non durano”.
“Credo di capire che la sua visita è motivata da un
supplemento d'indagine. Presumo che il commissariato abbia ricevuto altre
denunce dello stesso tipo, se non dello stesso stampo”.
“Hum !”
Il professore invita il poliziotto a sedersi
sull'unica poltrona del suo studio, davanti al tavolo dove Benoit distingue a
fatica il computer tra le carte, le stoviglie e strumenti di vario genere.
“Tocca a lei farmi le domande”, dice Blaise
sorridendo.
“Professore, lei ci può aiutare”.
“La ascolto”.
L'ispettore consulta il suo taccuino.
“Dal tredici marzo dell'anno scorso, lei ha ricevuto a
varie riprese la visita di un giovane di nome Remy Bertrand”.
“In effetti, un giovane piacente, piccolo, biondo con
gli occhi azzurri”.
“Senza dubbio non ignora che da sei settimane Remy
Bertrand è scomparso senza lasciare traccia”.
“Lo so”.
“Dal 25 giugno dell'anno scorso, lei ha ricevuto più
volte per settimana un altro giovane, André Dubois”.
“Un tipo alto, bruno, una taglia da atleta”.
“È scomparso anche lui”.
Il professore getta uno sguardo al disotto dei suoi
occhiali.
“Vedo, ispettore, che la sua lista è molto lunga”.
“Comprende dodici nomi, dodici giovani tra i 19 e i 23
anni che sono scomparsi dopo aver visitato regolarmente la sua casa”.
“E le voci più folli girano per la città. Se capisco
bene, signor Benoit, non c'è che un indizio, lo stesso nei dodici casi, le
relazioni che io intrattenevo con gli scomparsi”.
“Qual era la natura di queste relazioni?”
“Il fatto è che i dodici giovani hanno tutti
manifestato il più vivo interesse per i miei lavori”.
“Posso sapere a quale attività si riferisce?”
“Andiamo, ispettore. Mi segua, se vuole”.
Il professore porta il poliziotto in un corridoio
attiguo allo studio. Apre la prima porta di un lungo armadio e rivela un
guardaroba.
“Prego, ispettore, conti le grucce”.
“Ce ne sono dodici”.
“Esatto!”
Benoit passa le mani tra i vestiti: giacche,
giubbotti, blue jeans.
Il professore incrocia le braccia.
“Vede, i suoi scomparsi hanno lasciato molto
saggiamente gli abiti nel guardaroba”.
“Ma...”
“Lei è un segugio troppo abile per trarre delle
conclusioni affrettate come quelle dei suoi informatori. Io non dubito che in
città mi abbiano già classificato come il vecchio scienziato pazzo, una specie
di orco o di serial killer che divora giovani per l'appagamento dei suoi vizi. Un
po' convenzionale, senza dubbio, ma la vita, caro signore, non è convenzionale?
Mi crede o glielo devo dimostrare? Non si dia la pena di perquisire la casa,
sfondare la cartina e scavare il giardino. Non troverà altre tracce che questi
vestiti e qualche oggetto appartenente ai miei giovani amici. Me li hanno
voluti dare prima di cimentarsi nella grande avventura che proponevo loro”.
“Allora, mi dirà...”.
“Si volti, ispettore, e guardi il muro dalla parte
opposta al guardaroba. Cosa nota?”
“Un pannello di cartone”.
“Si avvicini, prego. Cosa legge sul pannello?”
“Una scritta a mano: AL TEMPO DELL'ONORE”.
“E sotto una lista di dodici nomi, dodici, ispettore!”
“Remy Bertrand, nato nel 1995, scomparso nel...Mi devo
essere sbagliato”.
“No, ispettore, ha letto bene, nel 1610, l'anno della
morte di re Enrico IV. Lei pensa che questo non ha senso, che i suoi
informatori hanno visto giusto. Decisamente il professor Blaise è impazzito. Guardi, ancora degli abiti:
broccati e fustagno, redingote e tenute da caccia. Qui, signor Benoit, lei vede
la coulisse. Noi siamo in una specie di teatro. Le piace il teatro, ispettore?”
“E' il mio mondo”.
“Si, la commedia umana, lei la vede ogni giorno, ma
che cos'è il teatro? Un viaggio, si cambia di luogo e d'epoca. Bisogna che le parli
della mia scoperta, coronamento di trent'anni di ricerche”.
“Signor Benoit, io ho infine risolto il problema del
viaggio nel tempo. Lei sa di che si tratta?”
“Si vedono storie di questo genere... alla
televisione”.
“Oh si, gli autori immaginano tutta una serie di
marchingegni uno più stravagante dell'altro, io ho messo a punto una tecnica di
una semplicità sconcertante. Ho dunque scelto i dodici giovani – maggiorenni,
noti – come collaboratori. C'è bisogno di precisare che si sono offerti
volontari?”
“Lei ha delle prove di quanto afferma?”
“In queste lettere, di cui i vostri esperti
stabiliranno l'autenticità, i miei giovani amici confermano di aver intrapreso
il viaggio di loro piena volontà. Ecco, trasmetterà i messaggi alle famiglie”.
“Perché i suoi collaboratori
non hanno ancora dato loro stessi loro notizie?”
“Desideravano che un certo tempo intercorra tra la
loro partenza e la trasmissione delle lettere, nel caso fossero rientrati
prematuramente. In questo caso, non ci sarebbe stato motivo di inquietare i
familiari. Beninteso, i messaggi non sono precisi sulla meta del viaggio. Non
si può scrivere di punto in bianco: “Parto per il 1610, arrivederci!”.
“È un punto di vista”.
“Ai miei dodici volontari ho lasciato la scelta della
direzione, passato o futuro. Tutte le epoche coesistono. Se il tempo è la
morte, io ho riportato una vittoria sulla morte, non una vittoria individuale,
perché il mio corpo morirà, ma una vittoria collettiva. Io resuscito e
anticipo. Un sigaro?”
“Grazie, mai in servizio”.
“Noterà tuttavia che sul cartello la colonna di destra
è rimasta vuota. Deve permettere, eventualmente, di inserire una terza data,
quella del ritorno”:
“Eventualmente, dice?”
“Non ho ancora risolto del tutto il problema del
ritorno al presente”.
“Lei ha spedito i suoi collaboratori senza essere in
grado di recuperarli!”
“La difficoltà non è di ordine tecnico, ma pensi che
per vivere nell'anno 1610 un nostro contemporaneo deve adattarsi, evitare di
tradirsi. Lo si prenderebbe per un pazzo se dicesse di botto: “Vengo dall'anno
di grazia 2014”. La sua preparazione storica e psicologica richiede mesi di
studi. Ecco il perché della frequenza delle visite di cui ha preso nota. Ma
ecco, il viaggiatore si adatta troppo bene, dimentica la sua origine. Il punto
debole, caro signore, è la memoria. Così dei ragazzi nati nell'anno 1994
spariscono all'epoca del buon re Enrico”.
“Ha almeno la prova che sono arrivati a destinazione?”
“Tengo i contatti con loro per mezzo di un processo di
registrazione cronopatico di cui sono del pari l'inventore. Permette di
registrare le nostre conversazioni. Mi segua nel mio laboratorio. Per di qua!”
Su un tavolino era collocata una mezza dozzina di
apparecchi.
“Signor Benoit, adesso sentirà la voce di Remy
Bertrand”.
“Buon giorno, professore, sono arrivato all'albergo e
le parlo dalla mia camera, proprio una residenza da scapoli con le travi a
vista. Tranne il comfort. Come previsto, ho un po' di difficoltà a comprendere
i nostri antenati, hanno un modo curioso di esprimersi, un accento che mi
fuorvia. A loro volta, non capiscono sempre quel che voglio dire. Allora mi
faccio passare per uno straniero. Ho già speso i venti scudi che lei mi ha
dato, e devo lavorare. Per fortuna conosco i cavalli, mi impiegherò come
garzone di scuderia”.
Il professore interrompe la lettura della
registrazione per precisare:
“Si, Remy Bertrand, fantino di professione, ha già una
buona esperienza, non sarà troppo spaesato... Se lo desidera, posso farle
sentire le altre undici voci”.
L'ispettore corruga la fronte.
“No, questo basta, ma mi dica, tutte queste
registrazioni sono vecchie”.
“La più recente risale a sei settimane fa. Bisogna
dedurne che le vite dei nostri amici sono in pericolo? Io sarei più preoccupato
se restassi senza notizie di due viaggiatori su dodici. Mi direi 'A questi due
è successo qualcosa', ma mi hanno dimenticato tutti. Io perdo i contatti con
loro perché perdono la memoria. I nostri viaggiatori, presi in un'altra epoca,
sono presto condizionati, assorbiti da essa. Il mio errore è stato senza dubbio
quello di aver inviato nel passato dei giovani che hanno una capacità di
adattamento, una plasticità troppo grande, e che si adattano troppo facilmente
a quest'epoca. Bisognerebbe scegliere dei soggetti più maturi, più resistenti,
degli uomini come lei, signor Benoit. A dire il vero, dovrei andare io stesso,
ma se io parto, chi manterrà i contatti qui? Invece di preparare unicamente dei
viaggiatori, io avrei dovuto formare degli assistenti”.
“E succede lo stesso per quelli che scelgono il
futuro?”
“Come André Dubois? Il caso è differente”.
“A causa del progresso non vogliono più tornare?”,
azzarda l'ispettore.
“Oh, il progresso, non esageriamo, esercita meno
fascino sui giovani che su di noi”.
“E in che consistono allora le difficoltà?”
“Gli abitanti del futuro ritengono i nostri inviati
loro servitori o soggetti da esperimento. Li studiano come noi studiamo le
sopravvivenze e i fossili. Noi siamo i varani dell'anno 3000, i nostri
contemporanei non possono passare inosservati tra i nostri discendenti. Per
loro, il viaggio nel tempo non pone certamente più alcun problema”.
“E quello del ritorno, professore?”
“Lo vedremo fra poco, ma bisogna lasciare al
viaggiatore il suo libero arbitrio. Ha il diritto di restare nell'anno 1610 se
gli aggrada. Scegliere la propria epoca è una nuova forma di libertà. Venga, le
mostro la mia “base di lancio”.
Raggiungono uno studio vetrato.
“Ecco il blocco di transito temporale. Questo
compartimento di materia plastica opera come un setaccio. Per la sua tenuta,
permette il passaggio tra due epoche. In questo blocco io inietto un gas di mia
invenzione che possiede una grande inerzia temporale, poi uso il selettore che
vede a destra. Una manopola che si dispone su un quadrante le cui cifre sono
date. Io decomprimo il soggetto che sparisce come un disco volante che cambia
epoca. Le faccio vedere la procedura. Entri!”
“Io? Nel setaccio?”
“Si, deve condurre la sua inchiesta fino al termine.
Rischi? Ne corre ogni giorno di più grandi. Un viaggetto di qualche ora. Non
avrà il tempo di perdere la memoria. Ebbene, signor Benoit, scelga la sua
epoca. Che ne pensa di visitare i suoi figli nel 2030? Un'inezia, inutile
cambiarsi d'abito”.
“Ho paura di restare in una quarantena che nuocerà
alla mia promozione”.
“Scelga il passato, correrà ancora meno rischi. Se
risaliamo al giorno della sua nascita. Che data?”
“Il 25 luglio 1967”.
“A che ora?”
“Alle undici di sera”.
“Arriverà in tempo per sentire i suoi primi vagiti e
prendersi sulle ginocchia. Ecco, entri. Attenzione”.
Una luminosità blu.
“Professore, mi sente professore?”
“Mi scusi”.
“Lei è perso nel suo sogno. Il piano era ben pensato,
ma io non ho preso posto nel setaccio”.
“Una possibilità, ispettore, era una possibilità,
c'era una probabilità su due che accettasse di compiere il viaggio”.
“Lei anticipa i tempi, è normale. Professor Blaise,
quando ha parlato dell'anno 3000, ho creduto che avesse scoperto l'inganno”.
“Cosa vuol dire?”
“Blaise, le porto i saluti delle generazioni future.
Il mio nome è Boromar e vengo dall'anno 3500.
I due uomini si abbracciano.
“Caro collega”, riprende il visitatore, “Le porto i
più calorosi saluti di André Dubois, di Jacques Bernardin e di Michel Renaud”.
“Come si trovano?”
“A meraviglia. Li ho lasciati qualche ora fa. Lungi
dal dimenticarla, questi giovani provano per lei una viva ammirazione, quanto
giustificata! Ci hanno informati delle sue ricerche. Ne sapevano abbastanza per
indirizzarci. Lo sappia, ho viaggiato con il suo metodo”.
“Grazie!”
“Se ho commesso un piccolo errore quando ho calcolato
il mio angolo di discesa, non me la devo prendere che con me stesso. Sono
entrato nel vostro secolo al centro della capitale a una ventina di chilometri
da qui. Non me ne dispiace d'altronde, la passeggiata è stata molto istruttiva,
ma per strada ho avuto l'impressione che mi osservassero. Temevo di essermi
tradito per un dettaglio dell'abbigliamento, per la pettinatura”.
“No, lei è perfetto, Boromar, lo stesso ispettore
Benoit s'ingannerebbe. E' il suo primo soggiorno in questa prima parte del
ventunesimo secolo?”
“Si, caro amico, mi trovavo nella sua stessa
situazione, mandavo gli altri, io restavo. Poi è venuto il mio turno, come ora
è venuto il suo. Noi abbiamo bisogno del suo apporto. In cambio, possiamo fornirle utili informazioni
sulla preparazione psicologica dei viaggiatori a cui dedichiamo grande cura”.
“Con un successo di cui lei è la prova”.
“Accetti il nostro invito, Blaise. Io prenderò il suo
posto. Saprò far funzionare i suoi apparecchi. Ecco, caro confratello, il
coronamento delle sue ricerche”.
“Amico mio, lei mi sostituirà vantaggiosamente, non ne
dubito, ma non posso lasciarla così, abbiamo tante cose da dirci”.
“Io sono molto sensibile a questo genere d'interessi
ma, mi creda, troverà nell'anno 3050 degli interlocutori molto più competenti
di me, e per uno specialista del suo calibro niente può sostituire il contatto
diretto con l'epoca di sua scelta”.
“Prima di partire vorrei perfezionare le tecniche di
cronopatia che mi permetteranno di stimolare a distanza la memoria dei miei
corrispondenti”.
“Ecco precisamente il campo in cui saremo meglio in
grado di aiutarla. Nella nostra epoca disporrete di tutto l'equipaggiamento
necessario, e noi vi spiegheremo come lottare contro i pericoli di discronia,
disturbo che colpisce la coscienza del tempo dei viaggiatori”.
“Ah, voi studiate il problema!”
“Tra gli altri. Blaise, prenda questa carta, è una
presentazione del C.U.V.I.T. (Centro Universitario dei Viaggi Intertemporali).
André Dubois la attende e le ha preparato un'accoglienza degna del suo genio.
Venti società scientifiche l'hanno già eletta membro onorario. L'Università
delle otto dimensioni la invita a tenere una serie di conferenze. E soprattutto
noi contiamo su di lei per mettere a punto l'INTERCENT che permetterà di
comunicare da un secolo all'altro e nei due sensi (empatico). La navetta corre sulla trama del tempo. Ieri
è domani, domani è oggi. Vittoria, Blaise, la vittoria non è mai stata così
vicina”.
Poi, cambiando tono:
“La carta le aprirà tutte le porte, e non ha bisogno
di altro bagaglio”.
“Mi lasci raccogliere le mie carte”.
“Approfitti del mio passaggio. Partendo, lei sfugge a
tutte le preoccupazioni burocratiche che rischiano di compromettere il suo
lavoro”.
“Se lei mi sostituisce, si esporrà lei stesso
all'incomprensione e a quelle preoccupazioni di cui parla”.
“Ho un piano”.
“Lei non mi potrà seguire, perché non ci sarà nessuno
ad azionare la macchina”.
“Presto ci ritroveremo”.
“Bussano alla porta!”
“E' il vero ispettore Benoit che viene per
interrogarla sulle sparizioni. Questo bravo funzionario è puntuale. Sapevo che
stava per arrivare e sono riuscito a precederlo di 45 minuti, non senza
difficoltà. Mi scusi, ma i vostri mezzi di trasporto pubblici sono molto
rudimentali”.
“Se io parto, lo riceverà lei. Cosa gli dirà?”
“Lo metterò davanti all'evidenza della sua scomparsa e
mi divertirò un po' alle sue perplessità. Ma il tempo stringe. Entri nel
setaccio.
“Le lettere, caro collega, non dimentichi le lettere!”
“Attento, Blaise, non tiri fuori la testa!”
“E i gatti? Chi darà da mangiare ai gatti?”
“Ci penserò io”.
“Preferiscono il fegato, ma mangiano anche il
rognone”.
“Rimetta la testa dentro!”
“Se i viaggiatori del passato richiamano, vuole
servire da intermediario? Dimenticavo. Un nuovo candidato deve presentarsi
stasera. Lo preghi di scusarmi. Meglio ancora, se ne occupi lei”.
“Si, Blaise”.
“Si chiama Gauthier ed è del tutto esordiente, e non
sono sicuro che lei abbia il tempo di provvedere alla sua formazione, forse
sarà meglio rimandare a più tardi”.
“Rimanderemo, ma per favore si sbrighi”.
“Segua attentamente le istruzioni. Un errore, e io
sono condannato a oscillare tra le epoche senza arrivare da nessuna parte”.
“E' già successo?”
“No, quando posso stabilire il contatto, io recupero
sempre i miei viaggiatori, ma bisogna averci fatto la mano. Se la manopola si
blocca, tiri verso di lei, avrebbe bisogno di un po' d'olio. A presto, Boromar,
sono pronto”.
Un bagliore blu.
Un secondo colpo batte alla porta.
Il viaggiatore dell'anno 3050 si dirige lentamente
verso il corridoio, si ferma davanti al pannello di cartone. AL TEMPO
DELL'ONORE. Boromar scuote la testa. Poi scrive in fondo alla lista il nome del
professor Blaise. Stringe un po' la scrittura per lasciare uno spazio libero,
poi sorride e si sporge dalla finestra.
“Entri, dunque, ispettore!”
(Traduzione dal
francese di Fabio Calabrese)
Molto bello, articolato, questo racconto di Pierre Jean, cui rivolgiamo un saluto cordiale.
RispondiEliminaUn viaggio nel tempo cosi semplice Che sembra teatrale, Il diálogo é stupendo. Bravo Brouillard!
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