Il Trattore Temporale apparve nel duemila
cinquantaquattro, per la precisione il dieci febbraio; proprio il giorno del
dodicesimo compleanno di Felice Capatosta. O forse bisognerebbe dire che
esisteva dalla notte dei tempi, portando con sé a prova della questione,
qualche raro Neanderthal e addirittura qualche ancor più raro e antico ominide.
Quando il Trattore apparve, erano le nove e
mezzo del mattino, ora di Caprilangi, Italia. Felice stava felice a osservare
la neve dal vetro appannato. Tanta neve. Miracolo che puntualmente implicava
l’impossibilità di andare a scuola, e proprio il giorno del suo compleanno!
Avveniva spesso, a dire il vero. Felice, in tale situazione, aveva sempre
sguazzato: Puntualmente Jennifer Marrani in Capatosta, altrimenti conosciuta
come la mamma, infornava chili e
chili di FaiDaTé¹, le squisite brioches infornabili con vera farina e deliziosa
marmellata di aromi semi-naturali. Altrettanto puntualmente il suo invito
scolastico saltava, e la mamma doveva ripiegare sulla solita festicciola
domestica. Ovviamente, con le strade in quelle condizioni, ben pochi dei suoi
compagni si facevano vivi durante il pomeriggio, e Felice si ritrovava a fare
una scorpacciata continua di brioches per due giorni di fila. Preferiva quelle
al Cioccorato² ma anche quelle con marmellata di aromi di arancio e limone non
erano male.
Comunque Felice era lì che guardava fuori quando
apparve il Trattore. Apparve proprio così, dal nulla; prima non c’era, poi sì.
Aveva l’aspetto di un antico trattore agricolo, ed era tanto grande che non si
capiva come facesse a non buttare giù le case ai lati della strada. Sulla cima
aveva un enorme megafono. Il Megafono diceva, con una voce energica ma allo
stesso tempo priva di personalità:
A tutta
la popolazione. Si consiglia a tutta la popolazione di afferrare una barra del
rimorchio che seguirà a breve questo trattore temporale. Il trattore temporale
vi trarrà da questo tempo, trascinandovi avanti nel tempo. Quando sarete
attaccati alla barra del rimorchio potete staccarvi quando volete e riposarvi
nel tempo dove vi trovate. Non ci sono fermate fisse del trattore temporale,
avete la libertà di afferrare la barra del rimorchio quando volete e di
lasciarla andare quando volete. Si consiglia a tutta la popolazione che è
meglio andare avanti nel tempo. Per andare avanti nel tempo afferrate una barra
del rimorchio.
A tutta
la…
La cosa andò avanti per mezzora, con
quell’assurdo trattore fermo in mezzo alla strada che allo stesso tempo, non si
capisce come, si muoveva. Poi il Trattore fu passato, e venne il rimorchio.
Questi non era altro che una lunga e pesante barra centrale sorretta da ruote
gigantesche, che portava, fissate perpendicolarmente, una serie infinita di
barre molto più sottili. Le barre erano poste circa all’altezza della vita di
un essere umano medio, anche queste erano immobili, anche queste si muovevano
con quel movimento inconcepibile eppure reale.
Felice restò a fissare la scena con gli occhi
sbarrati dalla meraviglia; era il giorno del suo compleanno, e stavolta non si
era trattato solo della solita nevicata. Sull’altro lato del vetro gli tenevano
compagnia (dal basso) gli occhi sgranati per lo sgomento della mamma, e gli
occhi spalancati per l’incredulità di Altero Capatosta (il papà).
Espressioni come queste, e altre varianti
ancora, apparvero sulla faccia di molte persone di tutto il mondo e di ogni
epoca. Infatti, il Trattore, e poi il Rimorchio, comparvero contemporaneamente
(se così si può dire; il solito paradosso…) in tutta la storia umana, e ogni
centro abitato del globo, per quanto piccolo, aveva la via principale invasa
dal Rimorchio che si perdeva a perdita d’occhio in entrambe le direzioni.
Dopo dieci minuti iniziarono le apparizioni,
dalle barre del rimorchio apparentemente prive di passeggeri, iniziarono a
materializzarsi personaggi vestiti in modo strano. La maggior parte di loro
correva via dal Rimorchio e piazzatosi davanti a un cancello, un’aiuola o un
palo della luce, si sbottonava i pantaloni e… beh, avete capito. Apparivano
anche delle donne, ma quelle preferivano bussare alle case o entrare in un
locale pubblico. La sostanza comunque era sempre quella, si fermavano per i
loro bisogni e, come dicevano loro, ripartivano.
Per come la vedeva Felice, invece, scomparivano
e basta; appena poggiavano le mani sulla barra, non erano più lì.
Il tempo passava e personaggi ancora più strani
venivano partoriti dal Rimorchio. Potete immaginare, con che occhi potesse
vedere un dodicenne del duemila e cinquantaquattro, i rapidi cambi di moda
degli ultimi secoli del passato millennio. Ormai erano passate due ore
dall’inizio delle apparizioni, e arrivava gente fin dal millenovecentotrenta.
Quelli che si fermavano, spesso, oltre che ai bisogni corporali, ora pensavano
anche a cercarsi da mangiare. La gente del tempo di Felice continuava a
osservare con le facce incollate ai vetri delle finestre, a parte qualche
coraggioso, o pazzo, che usciva a controllare di persona.
Felice (tutt’altro che felice) aveva visto
partire i vicini di casa con loro la figlia quindicenne Màlika Mallìca. Così
era svanito nel nulla quello che fin allora, grazie alla finestrella della
mansarda a sei metri dalla camera della ragazza, e due metri più in alto, era
stato il suo primo e unico oggetto di desiderio erotico. E non aveva potuto
farci niente.
Andronico Mallìca, mentre uscivano da casa,
aveva detto a Màlika e alla mamma, Ginevra:
‑ Da come parlava sembrava una cosa seria, e
poi, chi altro potrebbe organizzare una cosa simile oltre il governo? Se ci
hanno detto ti farci portare dal Trattore ci sarà un buon motivo, no? Andiamo.
‑ Hai sentito cos’ha detto Andronico?
Chiese la Mamma.
‑ Ci stavo già pensando, cara. Ma credo sia
meglio prenderci un po’ di tempo per rifletterci. Non mi sembra il caso di farci
portare avanti nel tempo e abbandonare ciò che abbiamo adesso senza averci
pensato bene; non c’è tutta questa fretta.
Felice corse in camera sua e gettò sul letto.
Incomincio a riflettere freneticamente; doveva assolutamente convincere il papà
e la mamma della necessità di partire subito. Dopo aver passato un po’ di tempo
a studiare i dettagli, guardò ancora dalla finestra della camera. Intravvide un
tipo vestito di stracci che sgattaiolava via dal cortile, poi notò la chiazza
marrone e fumante che spiccava sulla neve accanto al castagno. Chissà se papà l’ha vista, pensò. Guardò
fuori dalla finestra e vide che i viaggiatori erano sempre più strani e
sembrava di essere a carnevale (erano rappresentate mode dal 1768 al 2054).
Corse dalla mamma e iniziò a pressarla per
partire immediatamente. Poi dopo aver ritenuto sufficiente lo stress
inflittole, almeno per il momento, Felice andò a ripetere l’azione col papà,
poi tornò da Jennifer, poi ancora da Altero.
Finì che partirono in serata; ciascuno dei tre
con la sua valigetta sottobraccio, si diressero verso il Rimorchio e si
apprestarono ad andarsene. Fu un attimo; vedere la mamma e il papà che
lasciavano cadere la mano a stringere la barra, fermare la propria a mezz’aria,
vedere il papà e la mamma che svanivano nel futuro, o dovunque portasse quella macchina infernale.
Cercando di trattenere l’esultanza e mantenere
un portamento dignitoso, tornò fino alla porta di casa. Quando l’ebbe chiusa
alle sue spalle, si lasciò andare alla gioia; ce l’aveva fatta, ora che si era
liberato di quei due rompiscatole si iniziava a ragionare.
Niente più scuola, niente più compiti, Nessuno
che gli dicesse cosa fare o non fare. Dopo aver preso una bottiglia di birra
dal frigorifero, la stappò e s’impadronì di due pacchetti di patatine nella
dispensa. Si lasciò cadere sul divano e accese il monitor alla ricerca di
qualche programma porno.
Come avrete capito, Felice era un ragazzino
tendenzialmente misantropo. E, per un vero misantropo, le persone più odiose
sono quelle con cui è costretto a stare a continuo contatto. Allo stesso tempo
però, era anche fondamentalmente buono e per quanto possa apparire strano in
quella situazione, si sentiva in pace con la sua coscienza; non aveva fatto
niente di male al papà e alla mamma; li aveva solo lasciati andare un po’
avanti nel tempo. Sempre che funzionasse davvero così…
Il giorno dopo, Felice, che si era svegliato col
mal di testa, si scaldò una tazza di latte e fece un’abbuffata di brioches di
compleanno, poi si avviò verso la casa ormai disabitata dei vicini, tremante
per l’eccitazione. Si sentiva come un esploratore in un pianeta sconosciuto. E
anche se il paesaggio attorno a lui era sempre il solito, essendo cambiata la
situazione, forse lo era davvero.
Appena entrato nella casa dei Mallìca, corse
subito nella camera che era stata di Màlika, dopo aver frugato per un po’ nei
cassetti dell’intimo e negli effetti personali, gli venne un prurito che non
poteva ignorare; corse ad accendere il monitor della ragazza e trovò la
cartella delle foto. Màlika conservava tantissime fotografie e Felice si gettò
a capofitto tra le varie cartelle. E finalmente le trovò; tutte le foto delle
vacanze al mare, dove la sua ex vicina compariva vestita solo di un
ridottissimo due pezzi all’ultima moda, ma trovò anche di meglio, una serie di
dodici scatti in cui la ragazza si liberava scatto dopo scatto di tutti i suoi
vestiti, osservando l’obiettivo con aria lasciva.
Non si staccò dal monitor fino a mezzogiorno,
quando il suo stomaco iniziò a brontolare. Allora andò a vedere cosa offriva la
cucina di casa Mallìca. Quando fu sazio, continuò l’esplorazione. Alla fine
decise di trasferirsi lì; la casa dei vicini era più grande, più bella e più
pulita della sua. Oltre a questo, la casa conteneva anche una splendida biblioteca
(Felice amava leggere, se poi nessuno veniva a chiedergli di spiegare per filo
e per segno quel che aveva letto) e una cantina che sembrava l’ideale per
accumulare provviste. C’erano anche soldi, almeno cento volte quanto aveva
trovato da lui; la mente di Felice divagava spesso per calcolare come li
avrebbe spesi.
Era così preso dalla sua esplorazione, che per
tutto il giorno non aveva neanche pensato ad affacciarsi fuori dalla finestra.
Quando lo fece, poco prima di andare a letto, notò che il traffico, nonostante
l’ora tarda, era intenso come in una mattina di mercato. La gente appariva
accanto al Rimorchio e se ne andava in giro a fare i bisogni nei cortili o
bussava nelle case in cerca di cibo. La maggior parte, dopo aver fatto ciò che
doveva, tornava ad afferrare la barra e svaniva com’era apparsa, altri si
allontanavano e restavano a bighellonare nei dintorni. Notò anche che, nel
corso della giornata, qualcuno aveva costruito dei rozzi ponti di tavole, che,
stese da un terrazzo all’altro, permettevano di scavalcare il Rimorchio. Fece
uno sbadiglio e se ne andò a letto.
Durante i primi sei mesi dall’arrivo del
Trattore temporale, le sue giornate furono piuttosto simili a questa; il suo
unico pensiero era di controllare chi se ne andava per poi prendere possesso
dei beni abbandonati. Dopo questo periodo, però, si accorse che le cose
iniziavano a sfasciarsi; la corrente mancava sempre con maggior frequenza, le
strade venivano pulite sempre più di rado e quando un lampione si guastava,
nessuno veniva a cambiare la lampadina. Se n’era andata già un sacco di gente. Probabilmente, pensò, quando sarebbero andati via tutti, niente
avrebbe più funzionato.
Così nei sei mesi successivi dovette mettersi al
lavoro per assicurarsi la sopravvivenza. Anche questi furono sei mesi piuttosto
divertenti. Appena qualcuno lasciava la sua casa, lui prendeva tutto ciò che
poteva essergli utile. Fu il primo a scoprire che in vecchio signor Scomparti
aveva abbandonato il negozio di alimentari all’angolo, e questo gli permise di
riempire di viveri la sua cantina, ma si procurò anche un sacco di altre cose,
un paio di gruppi elettrogeni, per esempio, per quando la corrente se ne
sarebbe andata del tutto, e un sacco di attrezzi da lavoro, che avrebbero
potuto fargli comodo (da tempo aveva in mente di fare carriera come inventore),
e naturalmente tutti i videogiochi su cui era riuscito a mettere le mani.
Via via che i giorni passavano, cambiava anche
la situazione e con essa le priorità di Felice. Dopo un annetto, una buona metà
della popolazione del suo tempo se n’era andata avanti, le persone che
incontrava per strada erano perlopiù sconosciuti, strani personaggi venuti da
epoche più o meno remote, che avevano in comune solo il fatto di sporcare in
giro e consumare senza produrre niente. A Felice non piacevano le persone in
genere, ma questi viaggiatori temporali davvero non li sopportava. Non erano
altro che un branco di maleducati e irresponsabili. Com’era possibile che non
capissero? Se tutti continuavano in quel modo, tra un po’ non ci sarebbe più
stato da mangiare.
Nonostante li detestasse, Felice non aveva
potuto evitare di parlare con i viaggiatori, c’erano cose che doveva
assolutamente sapere, se voleva capire cosa stava succedendo. Però, a quanto
pareva, nessuno ne aveva la minima idea. Tutti quelli con cui aveva parlato gli
avevano esposto ognuno una teoria diversa, ma secondo Felice, erano tutte
campate per aria. L’unica cosa su cui concordavano le testimonianze, era che
quando si afferrava una barra del carrello, si vedeva il tempo scorrere cento
volte più veloce, eppure si riusciva a capire lo stesso quello che si vedeva.
Felice non riusciva proprio a immaginare una simile sensazione, ma se le
testimonianze concordavano, doveva essere per forza così. Certo, il primo che glielo
aveva detto, quello vestito da centurione, in effetti, non era stato molto
chiaro, ma poi gli altri tre gli avevano detto la stessa cosa.
Ciò che gli diede da riflettere, furono le
parole del quinto che incontrò. Costui, che in seguito si era presentato come
il dottor Prestante Ribaldi, era un ometto vestito di grigio, un abito
dall’aria anonima. Probabilmente di epoca
democristiana, pensò Felice, che con oltre un anno di esperienza iniziava a
farci l’occhio. Era apparso accanto a una barra e si era diretto verso di lui
senza esitare.
‑ Felice! Ti vedo cresciuto.
Felice lo guardò storto e fece un passo
indietro.
‑ Non mi riconosci? Sono il dottor Ribaldi, zio
Prestante.
Felice fece un altro passo indietro.
‑ Ma come, sono passati appena due anni e non mi
riconosci più? Tu e i tuo vi apprestavate a partire… l’avete fatto vedo. Io
invece mi sono fermato un po’ l’anno scorso, ma ora che vi…
Felice fuggì, salendo veloce la breve rampa che
portava alla porta. Aprì la porta e la chiuse alle spalle. Corse alla finestra,
in mano una delle mitragliette trovate alla stazione dei carabinieri
abbandonata, e sparò qualche colpo in aria. Zio Prestante fuggì a gambe levate.
Felice si lasciò crollare nel letto, com’era
possibile che quell’uomo lo avesse conosciuto prima di prendere il Rimorchio,
due anni prima, se due anni prima non c’era nessun rimorchio? Si sentì girare
la testa. È impossibile, decise. Ma non poté fare a meno di continuare a
pensarci.
Allora qualcosa scattò, dentro Felice, fino a
fargli sconvolgere la sua vita. Doveva risolvere quel paradosso, ad ogni costo.
Dal giorno evitò di parlare ancora con i
viaggiatori, lesse tutti i libri dei Mallìca, poi ne trovò altri abbandonati
(chissà come mai quelli che apparivano e scomparivano accanto al Rimorchio non
saccheggiavano mai i libri…). Poi meditò, meditò, meditò. E smise di uscire da
casa se non per lo stretto indispensabile, e dai libri imparò che il cibo non
gli sarebbe bastato per sempre, perciò imparò a coltivare, e imparò anche a
sparare con vasto assortimento di armi.
Rendendo produttivo il tempo libero, soprattutto
se uno ne ha quanto ne aveva Felice, si possono imparare un sacco di cose.
Passarono sei anni. La corrente elettrica se
n’era ormai andata del tutto. La folla che all’inizio era pacifica e
sorridente, era diventata, quattro anni prima, un’orda di folli disperati,
disposti quanto al cannibalismo tanto a qualunque soluzione per sfamarsi. Poi i
viaggiatori erano andati diminuendo di numero, l’inedia brillava in ogni loro
movimento, e i volti erano accesi dalla rassegnazione. Il tempo era stato
vuotato di tutti i generi alimentari dalle orde precedenti, e a loro non
restava che morire di fame.
Felice non aveva problemi di quel genere, i suoi
depositi erano sempre ben pasciuti, anche se nei tempi bui arrivarci non era
stato per nulla agevole. Ora la situazione era molto più tranquilla; che ci
provassero quelle larve umane a toccare uno dei suoi depositi… ma non lo
avrebbero mai fatto; erano troppo deboli anche per provarci. Ai tempi delle
orde, allora sì che aveva dovuto sudarsela. Per difendere l’orto, ne aveva
fatti fuori dodici in una sola volta, ma di regola, almeno due o tre al giorno
ci provavano. Che tempi!
Raccontato alla buona ciò che accadde, torniamo
a Felice, che dopo tutto questo tempo non è ancora riuscito a risolvere il suo
paradosso (a meno che non si voglia chiamare soluzione la scappatoia di
considerare il passato in cui non esisteva il Rimorchio, come un continuum a
sé. Felice la riteneva appunto una scappatoia, e per giunta poco elegante, per
cui fino a quel momento si era rifiutato di accettarla).
Da qualche giorno nessuno arriva più col il
Rimorchio, Felice potrebbe essere l’ultimo custode dei suoi tempi, salvo
qualche altro isolato misantropo come lui.
Non vi stupirà sapere, giacché conduce una vita
tanto ritirata, che Felice ancora non sa niente. Lo scopre in questo momento,
aprendo la finestra per controllare l’orto dal piano superiore. C’è il
Rimorchio che corre immobile al suo solito posto. Tutto il resto è immobile sul
serio. Felice comprende; ecco cos’era la
strana quiete dei giorni scorsi! Poi un altro pensiero casuale gli balena
in mente; e quindi, alla fine, il vecchio
Trattore ha svolto il lavoro; si è portato tutti quanti nel futuro e ha
lasciato il mondo a me. Bene, ora che non c’è nessuno a scocciarmi, potrò
godermelo.
E, però, un altro pensiero s’insinua e Felice va
a sdraiarsi nel lettino del suo studio, poi cambia idea e recupera dalla
credenza una bottiglia di Supertonic³ Cordiale Cordialissimo, già al primo sorso
sente che tutte le attività psicometaboliche vanno in over e si sente come
volare, al secondo in orbita va, al terzo lui solo lo sa!
Poi si sdraia ancora sul lettino e inizia a
pensare…
Ma
com’e possibile che mi sia fissato per tutti questi anni su quello stupido
paradosso, senza chiedermi mai che diavolo sia quel Rimorchio? Bene, ci penserò
adesso…
Ovviamente,
anche se il suo moto apparente è dal passato al futuro, in realtà deve venire
per forza dal futuro… e perché gli uomini del futuro hanno creato un affare
simile? Con quello che gli sarà costato, dev’essere una faccenda importante.
Possibile che sia un modo per reclutare personale? Oppure per schiavizzarlo...
ma figuriamoci se con la tecnologia che hanno quelli, gli frega qualcosa di
usarci come forza lavoro!
Allora
forse stanno cercando di metterci in salvo… questo darebbe un senso anche ai
toni dell’annuncio; toni blandi… nessun genere di allarmismo… sarebbe proprio
il genere di messaggio adatto a un’evacuazione controllata, per non creare il
panico nella popolazione. Ma da cosa ci vogliono salvare con una soluzione del
genere? Che minaccia può essere così letale da annientare il genere umano, non
in un momento preciso, ma lungo tutto il corso della storia?
Nessuna,
in effetti… ma se estendessimo la minaccia a tutto il nostro universo… potrebbe
essere che il nostro continuum stia entrando in collisione con uno negativo e
si annichiliscano a vicenda. Se tale scontro avesse un punto d’origine distante
da noi nella quarta dimensione, calcolando che si tratta di uno scontro tra
universi, i tempi non sarebbero eccessivamente stretti. Probabilmente lo scopo
dei nostri discendenti era di portare tutti nel loro tempo, lì devono per forza
avere i mezzi per trasferirsi in uno spazio-tempo più sicuro. Sembra che quadri
tutto…
Chissà
perché non sono mai partito, all’inizio sono restato solo per godermi la
libertà, e perché avevo il timore, andando avanti, di cadere di nuovo sotto la
giurisdizione dei miei… Ma poi? Un po’ dev’essere che disprezzavo i viaggiatori
e non volevo essere uno di loro… ma forse, sin dall’inizio, stavo aspettando
proprio il momento in cui sarei rimasto solo. Vero è che gli esseri umani sono
solo un branco di stupidi, ma… forse un intero mondo a disposizione è troppo
anche per uno come me…
E se
ora il Rimorchio non porta più nessuno, potrebbe significare che ha esaurito la
sua funzione…
Preso da un presentimento, corre alla finestra
sul retro e lascia correre lo sguardo. All’orizzonte, che appare stranamente
vicino, vede chiaramente il nulla che avanza veloce divorando tutto. Felice si
volta e corre verso una finestra sulla facciata, cerca il Rimorchio con lo
sguardo che, nonostante l’agitazione del momento, è velato da un’ironia
pungente; come immaginava, il Rimorchio se l’è già svignata.
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Un felice ritorno, quello di Sauro, con questo lungo, articolato, avvincente racconto di fantascienza.
RispondiEliminaMentre inviamo un saluto cordiale a Sauro, esprimiamo la speranza di avere ancora suoi racconti da pubblicare sulle pagine di Pegasus.
L'idea alla base di questo interessante racconto è originale e suggestiva. E avrebbe anche potuto svilupparsi in un romanzo...
RispondiEliminaBel racconto, originale e surreale. Mi ricorda la classica fantascienza degli anni d'oro e gli sceneggiati degli anni 70. Vera fantascienza.
RispondiEliminaDanilo Concas