Spinta da
onda anomala, la zattera di Ulisse schizzò in cielo, navigando nell’infinità
dell’etere sidereo. L’eroe era abituato alle lunghe traversie, causategli
dall’ira di Nettuno. Adesso, era diverso perché era stato catapultato
addirittura negl’infiniti spazi interstellari. In cuor suo, l’eroe sapeva che
gli dei amici prima o poi, ne avrebbero consentito il ritorno in patria. Dopo
un poco, la navigazione divenne placida come sul mare piatto. Si trovava a
veleggiare nello spazio uniforme, buio e solitario. Per quanto allungasse lo
sguardo non scorgeva promontori, isole, scogli, o amene spiagge. In lontananza,
il luccichio di remote stelle. Non c’erano venti avversi, o Arpie selvagge, o
il canto traditore delle sirene. Navigava senza limiti di riferimento in un
indefinito oceano nero. Spariti per incanto il sole e la luna. Pensò di essere
nel regno di Ade. Aveva cibo, acqua e vino donatigli in abbondanza dalla maga
Circe.
Gli venne incontro un grosso meteorite,
rischiarato appena da un lontano astro. Ivi attraccò senza indugiare.
Confidando negli dei amici, scese dalla zattera e scrutò verso l’alto dov’era
un cocuzzolo arrotondato e calvo con sopra una dimora sontuosa, rivestita di
marmo bianco. Sembrava il tempio di un dio sconosciuto. Restava da capire se il
dio gli fosse amico. Se ci abitava Nettuno era fottuto. Da quando aveva seguito
gli Atridi nell’avventura contro Troia, Odisseo aveva sfidato la morte. Non
temeva più la sorte. Salì con circospezione per l’ampia scalinata, stringendo
la spada rinfoderata al fianco. Il titubante piede calpestò i lucidi marmi
dell’atrio di un palazzo antico, o di un sontuoso tempio, sormontato da
altissime colonne la cui fine non si vedeva. Tutto sembrava strano. Non si
vedeva nessuno nei paraggi. Gli apparve un’aurea e massiccia porta, immensa che
si aprì all’istante. Curioso penetrò nell’ampia sala interna, illuminata da
lumi luminescenti, ma senza vampa. Ogni angolazione dell’edificio splendente di
marmi, ogni altissima colonna dorata, ogni apertura laterale piena di luce,
aveva un’anima misteriosa, un vero enigma che accompagnava ogni cosa, come
in una nuova esistenza. Quel grandioso
palazzo, pieno di luminescenza, poteva essere già esistito, ma quando? ma dove?
Gli venne in mente la reggia di Priamo che i Greci avevano distrutto. Suadente
voce gli disse: “Vieni avanti e non temere.”
Dal lato opposto, ad una certa distanza,
apparve una figura smilza come anoressica, barbuta con incolta chioma grigia.
Indossava una lunga tunica sacerdotale, grigiastra. Quando gli fu di fronte, il
tunicato scompigliato nei capelli, disse:
“Tu sei Ulisse, il re della
selvaggia Itaca. Non dire no che non ci credo.”
Ulisse ne fu certo: era un
dio. Chi se no? Solo un dio poteva conoscere all’istante uno sconosciuto. Disse
riverente e sorridente: “A quale dio che in casa sua mi accoglie, rendo onore?”
“Ti dirò tutto tosto. Ho piacere che qualcuno
di tanto in tanto passi per di qua. Adesso, però togliti quel brutto tanfo di
sudore e cambiati. In quella stanza, c’è il bagno con la vasca e l’acqua calda,
resinosa. Lavati bene, asciugati ed indossa la tunica che troverai appesa al
muro. Torna qui e parleremo con calma, seduti intorno a questo fuoco.”
Alle spalle del dio c’era un caminetto con
una vampa, alimentata da tizzoni ardenti e di lato due lettighe riposanti. Più
che il tempio di un dio, sembrava la sala di un re. Ulisse si lavò ed uscì dal
bagno ben temprato, tunicato e profumato. Accanto al fuoco bevvero del nettare
ed il dio infine così parlò: “O tu che vieni da remote sponde, ascolta le mie
parole pronte. Sono relegato qui perché la gente questo vuole e solo questo
accetta. Per la cronaca, siamo nell’anno 2013, cioè trenta secoli dopo le tue
peripezie…più o meno trenta secoli dopo.”
Ulisse non conosceva le leggi della
relatività quantistica, pensò: “Com’è che sono ancora vivo?”
Non profferì parola da uomo furbo e attento.
Il dio a Ulisse disse:
“Una volta, mi chiamarono Zeus e come tale
anche tu mi conosci.”
L’eroe d’Itaca tirò un sospiro di sollievo.
Non era un camuffamento di Nettuno, o di un mago avverso. Era Zeus che in fondo
in fondo gli era amico. Zeus disse:
“Abitavo il celeste Olimpo,
circondato dalle eccelse dee e dei. Ah, quanti banchetti ed orge e feste a più
non posso! E quanti figli avevo legittimi e illegittimi. Mi scopavo anche le
più belle donne della terra che a me si davano, senza esitazione. I miei figli
erano dei, semidei ed eroi. Questa era la religione di quel tempo, la tua
religione in fondo. Poi, le cose a poco a poco permutarono. Arrivò il
Cristianesimo monoteista e la maggioranza dei popoli scelse questa religione,
adesso maggioritaria. Per questo, come vedi, sono solo. Non mi chiamo più Zeus,
ma Dio.”
Ulisse ascoltò e gli saltò impellente una
domanda che estrinsecò: “Che differenza c’è?”
“Te l’ho detto. Secondo la religione
corrente esiste un unico dio. Ed io sono unico e solo. Altre figure sono state
assimilate agli dei di una volta. Che so: santi, eroine, martiri beati di vario
genere. Ma sono incorporee e caste. Non amano e non odiano come gli dei di una
volta. Dopo morti passano sotto spirito, persi in etere sidereo, oranti e
sempre preoccupati per le umane sorti.”
“In poche parole una rivoluzione. E’
cambiato l’ordinamento celeste.”
“Macché. E’ cambiato in apparenza. I
risultati sono sempre gli stessi: guerre, omicidi, odi etnici, tentativi di
distruzione di massa…e, spesso questo avviene con il paravento della religione.
Chi ci è andato di mezzo sono io, costretto a cambiare identità e tenore di
esistenza. Come Zeus, me la passavo bene, amando ed odiando a volontà. Per
Zeus, non c’erano restrizioni. Adesso Onnipotente, posso solamente amare
castamente e l’odio è da me avulso. Anche gli uomini per meritarsi la vita
ultraterrena in questo etere sidereo, devono solo amare. Bello eh? Invece,
presso l’umanità terrena, i sentimenti d’odio sono prevalenti. Hai capito?”
Assaporando dal kylix il dolce nettare
Ulisse chiese: “Che è giusto fare?”
Rispose orbene Zeus: “Cosa è giusto fare?
Niente. Ah, il libero arbitrio! Prima intervenivo fulminando i miei nemici.
Adesso, non posso farci niente. Posso solo agire bene ed indirettamente. Ai
sacerdoti di religione cattolica è devoluta la benevolenza minuta. Intercedo
presso i santi per migliorare situazioni familiari compromesse, alcuni tipi di
devianze, certe avversità, ma devo rispettare il libero arbitrio. Questo
stabilisce la nuova religione. Una volta su di me agiva solo l’oscura volontà
del Fato. Adesso, devo rispettare la volontà dei popoli monoteisti. Per questo,
muto nome: da Zeus a Dios. Hai capito?”
“Secondo me, era meglio prima. Nonostante le
avversità di Poseidone, il mio potere era sancito dagli dei la cui benevolenza
mi assicuravo con celesti voti ed are sacrificali.”
Sospirando il tunicato ad
Ulisse disse:
“Adesso, invece sarebbe importante il
sentimento di profondo amore: o c’è o non c’è. Se c’è, l’uomo può chiedere
l’eternità dopo morto. Se non c’è, muore dannato. Tutto qui.”
“Capiranno che è una fregatura e torneranno
a desiderare i vecchi dei.”
“Il pericolo è un altro. Eh, caro mio.
L’uomo è imprevedibile e tendenzialmente stronzo. Homo sapiens sapiens è una brutta bestia. E’
terribile dentro. Può stabilire per esempio che Dio è morto.”
“Come?”
“Eh sì caro mio. Lo ha affermato uno molto
tempo fa. Tempo fa rispetto a questo presente e non al tuo che chissà qual è.
Un filosofo di nome Nietzsche, uno mezzo pazzo, lo ha detto esplicitamente: Dio è morto. Se prende piede l’ateismo,
io sono fottuto. Fottuto sono io se piede prende l’ateismo. Dovrò sparire
insieme con le folle dei santi impetranti, delle anime oranti e sacerdotale
gerarchia. Tutti via, oplà.”
Zeus fece uno schiocco secco tra indice e
pollice. Uno schiocco secco egli fece ad indicare l’inevitabilità dell’evento.
Ulisse incredulo esclamò:
“Allora è tutto relativo. Non solo il tempo
a quanto pare, ma anche religioni ed istituzioni. Non esistono certezze.
Immensa onda può sommergere o cambiare tutto improvvisamente.”
Lo aveva detto Eraclito che all’inizio
era il Chaos. Odisseo ora sa: tutto tornerà nel Chaos, la grande voragine. Solo
il Chaos è eterno, immutabile, indistruttibile.
Zeus disse ad Ulisse ancora solo queste
cose:
“Da uomo intelligente lo hai capito.
Ricorda: è la scoperta più importante nei tuoi anni di peripezie, ma non voglio
tenerti a lungo qui. So che vuoi tornartene alla tua isola. Vuoi rivedere la
tua reggia ed i tuoi dei. Ti guiderò nella strada del ritorno e non temere
l’ira di Poseidone che placherò. Io come Zeus, placherò gli dei avversi…gli dei
avversi dell’epoca in cui vivi.”
Ulisse salpò con la zattera, diretto verso
la Terra, ammarando nello Ionio. Nel breve viaggio tra le pieghe dello
Spazio-Tempo, aveva compreso l’infinita vastità del futuro remoto, dove gli dei
e la storia umana si allungano senza confini netti. Ammarò nello Ionio felice e
dopo poche ore di mare calmo approdò nella sua isola. Ringraziò Zeus ed in cuore si rasserenò.
Sempre interessanti e originali i racconti di Giuseppe.
RispondiEliminaPovero Ulisse e povero Zeus! Mi danno l'impressione di quelle rockstar decadute. Una volta erano sulla cresta dell'onda, rappresentavano la leggenda, oggi vivono all'ombra sbiadita di se stessi.
RispondiEliminaHo apprezzato molto questo racconto di fantamitoteologia, davvero scritto bene e intrigante. Personalmente consolerei il povero Zeus, dicendogli questo: non è vero che il origine c'era il Logos il quale tutto ha ordinato e tutto ordina come un architetto ragioniere, come non è vero che c'era solo il Caos ed esiste solo il Caos. Sesi guarda bene, la realtà è un'altra... e più complessa. Esistono da sempre Caos e Logos. Il secondo patisce l'esistenza del Caos e influisce su di esso attuando una creazione che è sempre in corso, fino a una meta che solo il Logos conosce. Lavori in corso, dunque!
Giuseppe Novellino
Un bel racconto. :)
RispondiEliminaG.S.