martedì 6 maggio 2014

TRAPIANTO di Jean-Pierre Planque



“Il tempo passa”, dice Konrad. “Non parlavamo ieri di vivere un amore immortale?”
Karina programma lo spostamento della sua alcova antigravità e tira la sua gonna. Konrad ammirava da anni le sue gambe.
“Caro”, risponde, “stai tranquillo, ho tutto il tempo per riflettere su questo, non sento ancora i vermi divorarmi la carne”.
Lei aveva sempre avuto un dono per le circonlocuzioni, per usare queste formule ermetiche che spingevano a domandarsi, scavare, interrogarsi.
“Non è quel che voglio dire”, insiste Konrad. “Semplicemente, il tempo passa. Ieri io e te eravamo innamorati al punto da rischiare tutto, e oggi...”.
“E allora? Vuoi sapere quello che penso? Il tempo non è che un'invenzione della società umana”.
Konrad si sentì colto in fallo: aveva centodieci anni e Karina soltanto sessanta. Il suo sguardo abbraccia uno per uno i locali della villa venusiana che la Confederazione aveva fatto costruire per loro. Lui aveva beneficiato di eso-trapianti standardizzati: (cuore, reni, polmoni, una parte dello scheletro e anche del cervelletto) e cominciava a porsi domande angosciose. Il tempo? Si, il tempo. Cos'era dunque il tempo? Karina sembrava non invecchiare, la sua pelle era dolce come il primo giorno delle loro carezze. Lei rideva meravigliandosi senza posa, restava bella, sempre giovane. Lui sentiva il suo corpo declinare.
“Il tempo non esiste”, ricomincia Karina, “mettiti questa idea in testa”.
“Operazione di corteccia cerebrale?”
“Si, mio caro, MediaMax te lo farà a buon mercato. Ho letto un articolo su un omeo-giornale. Cancellano i pensieri ricorrenti. Dovresti prendere appuntamento domani”.
Konrad si sentì in trappola. Cos'era dunque MediaMax, un metodo alla moda il cui scopo era di succhiare il vostro denaro o una sorta di istituto molto economico che poteva rifare una salute? Qualcuno dei suoi amici aveva corso il rischio di farsi rimodellare, come dicevano. I risultati non l'avevano entusiasmato. Konrad aveva concluso che non ci sarebbe mai cascato. Ma ora gliene parlava Karina, il suo amore, la donna della sua vita.
“Al diavolo”, dice, “a letto sono ancora buono o no? Ti do ancora piacere”.
La domanda era diretta e non tollerava risposte vaghe.
Karina tira ancora di più la sua gonna, da credere che volesse nascondergli per sempre le sue adorabili ginocchia, l'abbozzo delle sue cosce e l'ombra del solco dove si era tante volte perduto e ritrovato.
“Tu non sei affatto male, caro, ma non vedo dove vuoi arrivare”.
“Affatto male”, sospira Konrad. “Ecco un'espressione che né tu né io avremmo usato solo due anni fa”.
“Beh, mio caro”, dice Karina girandosi verso di lui, “dopo il tuo ultimo trapianto, direi che te la cavi molto bene”.
“Molto bene...” Konrad comprende all'improvviso che se la sua donna era sempre così bella, era perché lui non aveva mai smesso di amarla. Cosa importava dunque l'ultimo sesso che una filiale di MediaMax gli aveva trapiantato? E da dove veniva quel pezzo di carne? Da quale giovane donatore l'avevano prelevato? Era senza importanza.
“Sapevi”, dice, “che la sonda Deborah 4 ha trovato dei resti umani su Giove?”
Karina sorride:
“Oh, lo sai, mio caro”, dice, “sono di sicuro i resti dei donatori d'organi costretti e forzati. Bisogna pur metterli da qualche parte”. 

 (Traduzione dal francese di Fabio Calabrese)

5 commenti:

  1. Interessante racconto di Jean-Pierre. Forse neppure la fantascienza riuscirà a fermare il cammino inesorabile del tempo.

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  2. Terribile racconto... chissá se si arriverá a tanto. Comunque, penso che invecchiare normalmente non dovrebbe spaventare...

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  3. Racconto intenso e suggestivo.
    G.S.

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  4. Inquietante.
    Descrizione decisamente brillante. Un racconto dalla resa ottima.

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  5. Bel racconto con tutti i crismi fantascientifici di sapore classico. L'idea del tempo che passa e del modo di fermarlo e ben trattata, anche in un testo di tale brevità. Il finale poi è agghiacciante... mi rimanda in qualche modo alla famosa "banca dei corpi" de "le scogliere dello spazio".

    Giuseppe Novellino

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