Narrano i
miti storie impossibili e orrende che covano nel fondo dell’animo umano e, come
tutti i miti, celano in equilibrio il caos primordiale della menzogna e della
verità. Questa è una di quelle.
«Cosa c’è, figlio mio?» domandò Egina al giovane Eaco.
«È un po’ di tempo che ti vedo triste, immusonito. Non mi sembra tu viva
momenti felici nemmeno con Ersippo, l’amico-automa che tuo padre Zeus ti ha
fatto appositamente costruire da Efesto nella sua grande fucina… Insomma, vuoi
dirmi che cosa ti addolora?»
Il ragazzo fissò lo sguardo negli occhi azzurri e sereni
di sua madre, quasi a coglierne tutta la dolcezza.
«Mi addolora,» rispose, «non avere intorno – a parte
te, naturalmente – esseri in carne e ossa, con cui stabilire rapporti di vera
amicizia, di amore… Sulla nostra isola, purtroppo, non c’è che il vuoto:
paesaggi brulli, solitari, popolati soltanto da formiche… Formiche
dappertutto!... Le odio, madre, le odio immensamente!... Invidio Ersippo che non
prova per esse alcun sentimento. D’altronde come potrebbe? È un essere fatto di
bronzo e vari ingranaggi che ne permettono i movimenti. Mio padre…»
«Tuo padre ti ama, figliolo,» lo prevenne Egina,
temendo che Eaco dicesse qualcosa di spiacevole contro il re degli dei.
«Mi ama? Se davvero fosse così mi darebbe sollievo e
compagnia… Sono un uomo, madre, che regna su delle formiche; non è nell’ordine
delle cose. Solo un dio maldestro o sarcastico troverebbe normale una simile
realtà. O un dio che odiasse l’uomo…»
La madre lo guardò e in cuor suo pregò quel dio antico
amante come non aveva mai fatto.
Negli anfratti ovattati dell’Olimpo, il re degli dei
sentì quello strazio di madre, ne fu colpito e decise di fare qualcosa.
Si parò davanti a Eaco… «Ti darò la compagnia degli
uomini che chiedi,» gli disse, «e però, per non aver capito il dono che ti
avevo fatto, i tuoi Mirmidoni conserveranno la loro insensibilità di automi e
porteranno nel mondo il terrore e la morte che si celano nella tua
disperazione.»
Ma il mito
nasconde anche una verità dimenticata, come l’abisso dell’orrore che accompagna
la vita quotidiana.
Da qualche
altra parte si racconta, infatti, che il dio guardò il cuore di quel re
desolato e, col sorriso lieve e bonario di ogni dio, trasformò Eaco in una
formica.
Benché io sia coautore del racconto, devo dire che l’esperimento letterario è risultato soddisfacente. Ne è scaturito uno scritto per nulla disprezzabile, anzi...
RispondiEliminaRingrazio l’amico Peppe della collaborazione, e di aver accettato la mia bonaria imposizione del tema e dei personaggi.
A racconti futuri!
Divertente e spiazzante questo raccontino fantamitologico. Mi piace il significato di carattere esistenziale che sottointende, cioè la fredda spietatezza che possono avere spesso gli esseri umani, i quali distruggono con la furia di ciechi automi.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino
Sintetico (quindi piacevole da leggersi) e molto riflessivo.
RispondiEliminaG.S.
Breve come piace a me, allegro e al tempo stesso con un pizzico di malinconia finale.
RispondiEliminaQuoto Paolo nell'affermare che l'esperimento è riuscito.
Complimenti a entrambi gli autori.