Squilla
il telefono interno.
‒ Signor Malastorta! C’è il rappresentante della
Vegan Imp-export in linea…
‒ Passamelo, Carla.
Paolo
Malastorta preme il tasto del vivavoce. Attende che la voce del fornitore si
faccia sentire.
‒ Buonagiornata, Malastorta. Chiamo per quella
partita di ossidiana aurea cont…
‒ Mi stia bene a sentire, Sherman! L’ossidiana
che mi avete spedito è fuori dai canoni qualitativi pattuiti. Tutto qui.
Avevate garantito dodici tonalità di riflessi differenti. I miei esperti, al
controllo, ne hanno percepito al massimo nove, e nelle lastre migliori. Come la
mettiamo?
Sherman
esita.
‒ Devo dissentire, mi spiace… I nostri esperti
confermano che quella partita era della miglior qualità. Ho davanti le perizie;
dicono che le lastre meno pregiate hanno fino a tredici tonalità…
‒ Certo, capisco… ‒ risponde Paolo
Malastorta, improvvisamente mellifluo ‒ ma ho idea che le
vostre misurazioni siano state effettuate su Vega, sbaglio?
‒ No, è vero…
Ammette
la voce del fornitore.
‒ E può darsi che sotto la luce di Vega, il
materiale appaia piuttosto diverso da come appare invece sotto la luce del
Sole. Mi sbaglio?
‒ No, è possibile…
Ammette
ancora.
‒ Ma quell’ossidiana servirà a decorare le
abitazioni terrestri, non quelle vegane, e il contratto dice chiaramente…
‒ Capisco il suo punto di vista… ‒ lo interrompe Sherman ‒ potremmo venirvi
incontro con uno sconto del dieci per cento.
‒ Sherman, non mi faccia ridere. Per quella
robaccia vi posso dare duecento Universali al metro cubo.
‒ Ma è la metà di quanto pattuito! Non ci paga i
costi!
‒ Allora rimandatela su Vega. Qui sulla Terra,
non vale di più.
‒ Ma rispedirla ci costerebbe…
‒ Sono affari vostri! – ringhia Malastorta – Non
vi ho chiesto io di mandarmi quella robaccia. Allora? Che avete intenzione di
fare?
‒ Forse è meglio che parli con i miei soci.
‒ Non ha capito la situazione, vedo. Tra cinque
minuti ho un appuntamento con i clienti interessati. O accetta quest’offerta, o
sarò costretto a riferire che l’affare è saltato.
‒ Ma…
‒ I clienti sono arrivati, mi scusi. ‒ lo interrompe
freddamente Malastorta ‒ La devo lasciare.
‒ Trecento?
‒ Duecentocinquanta, non un Universale di più.
Dal
microfono, qualche istante di silenzio, poi:
‒ D’accordo.
‒ D’accordo allora, ora devo andare.
Malastorta
si alza e fa un giro dell’ufficio, sfregandosi le mani. Poi torna alla
scrivania e chiama la sua segretaria:
‒ Carla, chiama Kristoff, e digli che purtroppo,
a causa di una confusione nei trasporti, l’ossidiana che avevo ordinato è di
qualità superiore a quella stabilita, sì, ha un minimo di otto tonalità. Quella
che doveva arrivarmi era garantita a un minimo di sette. Chiedigli se è
interessato comunque… ovviamente, ci sarà da pagare qualcosa in più, diciamo un
dieci per cento; cinque e cinquanta al metro cubo.”
Mi
chiamo Paolo Malastorta. Ho quarantatré anni. Mi occupo di importazione e
vendita al dettaglio di materie pregiate da tutto l’universo. Quella che vi ho
mostrato è una registrazione di una mezz’ora qualunque all’interno del mio
ufficio.
Fosse
tutta così la mia vita! Invece, mentre la mia carriera lavorativa ha raggiunto
il vertice, della mia vita privata non si può dire stesso. Due matrimoni
falliti, gli amici che si sono rivelati tutt’altro che tali, pessimi rapporti
di vicinato… insomma, nonostante abbia raggiunto il massimo sul lavoro, o forse
a causa di questo, del resto della mia vita si può dire che è un disastro,
anzi, meglio non dirne niente del tutto.
Però
nel lavoro sono riuscito davvero bene. Sono ricco sfondato. Ricco al punto che
ora posso permettermi di assoldare un correttore di bozze. I soldi possono fare
tutto, anche rimettere in sesto una vita disastrata come la mia.
* * *
Mi
ero appena alzato dal letto, non avevo neanche fatto colazione, quando suonò il
campanello. Andai ad aprire personalmente. Di fronte a me c’era un ragazzone
robusto, dall’aria ruspante. I capelli erano color stoppa, gli occhi verdi e lo
sguardo franco. Indossava la classica tenuta nero-cangiante dei correttori di
bozze. Poggiate sul pavimento accanto a lui c’erano due grosse valigie,
anch’esse nere. Fece un passo in avanti allungandomi la mano.
‒ Lei è il signor Malastorta?
Gliela
strinsi, aveva una presa salda ma delicata, indice di decisione ed equilibrio.
‒ Chiamami Paolo, e tu sei…
‒ Giuseppe Magnusson. Beppe, può bastare.
‒ Entra, Beppe!
Senza
sforzo apparente sollevò le valige ed entrò.
‒ Allora Paolo… ‒ disse guardandosi
attorno ‒ è meglio che mi metta subito al lavoro. Se c’è
una cosa che mi ha insegnato questo lavoro, è che le cose possono andare storte
in qualunque momento. ‒ sorrise. ‒ Prima che inizi, però,
c’è una cosa che devo spiegarti.
‒ Sediamoci ‒ dissi indicando il
divano ‒ non è necessario star scomodi per parlare.
Ci
sedemmo e iniziò a spiegare:
‒ Immagino che non sappia come funziona
precisamente il mio lavoro… ‒ sorrise di nuovo; era
noto a tutti che i correttori di bozze non pubblicizzavano i loro metodi; solo
i risultati ‒ grazie ai visori ultra-dimensionali, posso
vedere con un certo anticipo quando un’azione porterà a risultati scorretti,
appena mi accorgo che l’azione avrà esiti negativi…
‒ Quando sarà appena abbozzata…
‒ Esattamente. E allora, prima che tale
situazione si ancori saldamente al Tessuto, la cancellerò col
deprobabilizzatore, poi la reindirizzerò sul miglior svolgimento possibile col
materializzatore probabilistico.
‒ Questo lo sapevo già.
Gli
feci notare.
‒ Quello che non sai, invece, è che non tutti
reagiscono allo stesso modo; alcuni, dopo la correzione si sentono spaesati,
altri non si accorgono neppure del cambiamento, altri ancora riescono a
ricordare la probabilità precedente. Nei casi peggiori subentra uno stordimento
quasi catatonico. Te lo dico per prepararti. In ogni caso si tratterà di una
sensazione piuttosto strana, cerca di non lasciarti prendere dal panico. Se
dovessi reagire troppo negativamente, considererò nullo il contratto, mi leverò
dai piedi, e tu non dovrai pagare nulla; è tutto.
‒ Bene. Molto chiaro.
Beppe
aprì una delle due valige, prese l’unità energetica e se la caricò sulle
spalle. Aprì l’altra valigia, prese il Deprob e il Mater fissandoli alla
cintura, poi prese i visori e…
‒ Posso provarli?
Rispose
ancora con un sorriso.
‒ Come saprai, l’uso di quest’attrezzatura è un
esclusiva dell’albo dei correttori. Se qualcuno venisse a sapere che ho
prestato i visori, quelli della ditta mi caccerebbero e mi troverei in mezzo a
una strada. E qualcuno se ne accorgerebbe di certo, perché una volta messi, ti
fiuteresti di rendermeli; è così per tutti. Ho dovuto seguire un corso di
quattro anni per riuscire a toglierli senza patemi.
‒ Immaginavo…
Indossò
i visori.
‒ Dovrò essere la tua ombra, ma cercherò di
essere discreto; so che a nessuno piace sentirsi continuamente sorvegliato.
* * *
Paolo
Malastorta parcheggiò la sua aero-limousine davanti alla sede della Malastorta
SPA. Scese, varcò la soglia, e intravvide subito la sagoma di Kristoff che
faceva avanti e indietro nella hall; sapeva che avrebbe abboccato. Attraversò
impazientemente la stanza. Quando passò davanti alla reception, Chiara cercò di
richiamare la sua attenzione. Lui le fece un gesto brusco con la mano per
metterla a tacere. Senza notare l’espressione delusa della ragazza, si diresse,
come uno squalo, dritto sul cliente.
Il
correttore di bozze sollevò il Deprob e spazzò la scena. Con un movimento
fulmineo, prima che potesse rimaterializzarsi spontaneamente, la inondò col
Matter.
Paolo
Malastorta parcheggiò la sua aero-limousine davanti alla sede della Malastorta
SPA. Scese, varcò la soglia, e intravvide subito la sagoma di Kristoff che
faceva avanti e indietro nella hall; sapeva che avrebbe abboccato. Attraversò
impazientemente la stanza. Quando passò davanti alla reception, Chiara cercò di
richiamare la sua attenzione, Paolo la notò, si accostò alla scrivania
circolare in cui era ingabbiata la ragazza.
‒ Signor Malastorta, ha chiamato…
‒ Ciao Chiara. – la interruppe ‒ Oggi è il tuo
compleanno, vero?
‒ Sì, ma…
‒ Passami il microfono.
La
ragazza, esitante, gli passò il microfono.
‒ Dovresti anche accenderlo…
Le
fece notare gentilmente. Poi accostò il microfono alle labbra. La sua voce
irruppe improvvisamente in ogni angolo dell’edificio.
‒ Signori dipendenti, signore dipendenti. Qui
parla il capo; vorrei annunciare che oggi, in onore del ventisettesimo
compleanno della signorina Chiara Scorza, della reception, l’orario di lavoro
sarà ridotto per consentire adeguati festeggiamenti. La serata è libera per
tutti.
Dopodiché
andò a raggiungere Kristoff.
Chiara
avvampò come una torcia, anche se in fondo ai suoi occhi, si vedeva chiaramente
una scintilla di soddisfazione.
Beppe
si affiancò a Paolo.
‒ Com’è stata la prima volta? Sembri ok…
‒ Perfetto, ho perfino un vago ricordo… come se
l’impazienza di parlare con Kristoff mi
avesse indotto a un comportamento antipatico… ma in questa realtà non è mai
accaduto, giusto?
‒ Giusto. Perfetto.
Confermò
Beppe.
* * *
Paolo
Malastorta rientrava a casa dall’ufficio. Era seduto sul sedile posteriore di
un aero-taxi; la sua aero-limousine aveva dato qualche segnale preoccupante, e
lui, per non rischiare danni maggiori, aveva chiamato un aero-meccanico a prelevarla
sul posto di lavoro. Beppe, discreto come sempre, stava seduto di fianco a lui
ma era come se non ci fosse. A un incrocio, vide l’insegna di una pasticceria;
La Pesca e il Cannolo. Era da una vita che non passava di lì; aveva quasi
dimenticato che esistesse. Gli sovvennero ricordi dell’università, quando tra
una pesca, un cannolo e qualche birra, ci si passava la mattinata. Fece al
tassista di fermarsi.
Il
correttore di bozze si mise in azione.
Paolo
Malastorta rientrava a casa dall’ufficio. Era seduto sul sedile posteriore di
un aero-taxi; la sua aero-limousine aveva dato qualche segnale preoccupante, e
lui, per non rischiare danni maggiori, aveva chiamato un aero-meccanico a
prelevarla sul posto di lavoro. Beppe, discreto come sempre, stava sedudo di
fianco a lui ma era come se non ci fosse. A un incrocio, vide l’insegna di una
pasticceria; La Pesca e il Cannolo. Era da una vita che non passava di lì;
aveva quasi dimenticato che esistesse. Gli sovvennero ricordi dell’università,
quando tra una pesca, un cannolo e qualche birra, ci si passava la mattinata.
Guardò l’insegna che si allontanava. Non era più uno studente, e i dolci lo
facevano ingrassare. Con un certo stupore, si rivolse al correttore di bozze.
‒ Questa non l’ho davvero capita!
‒ Se fosse così semplice capire, la gente non
commetterebbe più errori. E io non avrei bisogno di questi visori per fare il
mio lavoro.
Paolo
continuò a fissarlo interrogativamente.
‒ Non dovrei, ma per una volta posso fare un
eccezione; stavi per incontrare un vecchio amico, ti saresti fermato a
scambiare due battute, avresti ripreso a frequentarlo. Ti posso assicurare che
sarebbe andata a finire male.
Paolo
alzò le spalle e non ci pensò più; dopotutto lo pagava per quello.
* * *
Paolo
Malastorta era nel suo ufficio, concentrato nella lettura di un contratto. Si
trattava di un’importante fornitura di xeno-diamanti di Betelgèuse
VIII; i migliori. Carla entrò portando un fascio di scartoffie da firmare.
Negli ultimi giorni la ragazza aveva sempre il muso lungo e un atteggiamento
scostante; un vero peccato. Accentuato dal fatto che quel giorno il suo
abbigliamento fosse ancor più succinto del solito. Indossava dei fuseaux con le
estremità viola opaco, che si faceva trasparente via via che lo sguardo
risaliva fino alle natiche sferiche e sode. Il seno non poteva che essere
artificiale, ma era comunque un belvedere, sostenuto da un corpetto che non
arrivava a coprirne i capezzoli, truccati all’ultima moda.
‒ Carla, si può sapere che ti prende? Hai qualche
problema?
‒ Preferisco non parlarne, mi scusi.
Rispose
brusca.
‒ Ma io preferisco non avere attorno dipendenti
stressati, preferisco licenziarti a questo punto.
‒ Se la mette così… ‒ fece con la voce che si
addolciva ‒ sarò franca; lei ha fatto tutta quella manfrina
per il compleanno di quella troietta della reception. Non lo aveva mai fatto
per nessun altro. Ecco, l’ho detto; sono gelosa.
Terminò
accostando pericolosamente i seni enormi alla faccia di Paolo.
‒ Capisco…
Rispose
Paolo. Anche se pensava che, se mai c’era una troietta alle sue dipendenze, non
era certo Chiara.
Beppe
entrò in azione.
Paolo
Malastorta era nel suo ufficio, concentrato nella lettura di un contratto. Si
trattava di un’importante fornitura di xeno-diamanti di Betelgèuse VIII; i
migliori. Carla entrò portando un fascio di scartoffie da firmare. Negli ultimi
giorni la ragazza aveva sempre il muso lungo e un atteggiamento scostante; un
vero peccato. Accentuato dal fatto che quel giorno il suo abbigliamento fosse
ancor più succinto del solito. Indossava dei fuseaux con le estremità viola
opaco, che si faceva trasparente via via che lo sguardo risaliva fino alle
natiche sferiche e sode. Il seno non poteva che essere artificiale, ma era
comunque un belvedere, sostenuto da un corpetto che non arrivava a coprirne i
capezzoli, truccati all’ultima moda.
Dopo
che ebbe poggiato le carte sulla scrivania, Paolo la guardò uscire scuotendo la
testa. Poi ebbe una specie di sussulto. Bruscamente si guardò attorno e fissò
Beppe con odio:
‒ Si può sapere che cazzo ti è venuto in mente?
Stavo per portarmela a letto!
Beppe
alzò le spalle.
‒ È meglio così, credimi.
Paolo
scattò in piedi, tremante, con le vene del collo che pulsavano, in competizione
con quelle della fronte.
‒ Sei licenziato! Fuori di qui! Dannazione a te a
tutti i truffatori figli di…
Beppe
brandì il Deprob.
Dopo
che ebbe poggiato le carte sulla scrivania, Paolo la guardò uscire scuotendo la
testa. Poi ebbe una specie di sussulto. Bruscamente, si guardò attorno e fissò
Beppe con odio:
‒ Si può sapere che cazzo ti è venuto in mente?
Stavo per portarmela a letto!
Beppe
alzò le spalle.
‒ È meglio così, credimi.
Paolo
fece per alzarsi, poi si lasciò ricadere di peso sulla poltrona.
‒ Non so proprio cosa darei, per provare uno di
quei dannati visori…
* * *
Sul
pianeta Ty-Hokko, davvero molto lontano dalla Terra, il Geniale Ho-Kimì,
l’inventore, e unico titolare, del Sistema Correzione Bozze, allungò il
pensiero destro fino a raggiungere il bottone e spense il comunicatore.
Il
rapporto che gli aveva fatto il rappresentante umano dell’Albo dei Correttori
era totalmente favorevole, come tutti gli altri che gli giungevano da ogni
parte dell’universo; ora la maggior parte dei posti di potere erano in mano ai
suoi.
Distese
il pensiero sinistro per accendere il grande elaboratore, dopo averci immesso
gli ultimi dati, attese. Il quadro resogli dall’elaboratore lo fece espandere
per la soddisfazione; ancora pochi miliardi di vibrazioni
e la prima fase si sarebbe conclusa. Stava per iniziare, finalmente,
l’espansione terminale. L’intero universo sarebbe stato corretto.
Bel racconto quello di Sauro, ben scritto e articolato.
RispondiEliminaDavvero interessante. Per un attimo ho pensato avesse a che fare col racconto di Asimov. Invece, a parte il titolo, possiede un'originalità tutta sua.
RispondiEliminaUn'idea molto interessante per un racconto scritto bene.
RispondiEliminaIl finale ci sta tutto.
Danilo Concas