Io, protofotografo,
astrologo, pseudomatematico, incisore di sogni, architetto,
lettore d’equinozi,
filosofo minore, manovale di labirinti, elementatore di parole,
io col mio specchio
–ritratto – a frantumi e la mia insonnia, le sbornie mancate e gli amici
smarriti,
io che scrivo che parlo che
urlo il grido inumano e selvaggio del silenzio in un mondo che non sa più
ascoltare,
io che mi specchio di spalle
per non vedermi svanire,
io che colgo stupidamente
la rosa dalla parte delle spine,
io che mi celebro e mi
ammiro e talvolta recito la mia pietà per il pubblico che dentro mi ascolta senza applauso,
io che riesco a sorridere
di fronte alle maschere che danzano per strada,
io che allegri si muore…
io che fingo aspre
profondità incatenate al niente,
io che finisco e la cosa mi
pare troppo lenta,
io che batto alla tastiera
le mie aspre confusioni,
io che rido di me, perché
si dovrebbe usare un po’ più di cinismo, o avere grandi ali
io che leggo di come
Merlino uccise Sigfrido con una freccia nel calcagno e di come Andromeda
avvelenò Perseo per vendicare Medusa l’innocente
e forse mi confondo e son davvero ubriaco e la tristezza
mi fa girare a rovescio ogni pensiero…
e la notte è ancora alta e
la W di Cassiopea ancora non stride coi suoi bagliori d’acciaio fra cielo e
montagne
e questa valle è troppo
stretta
e la mia gente ha perso i
nomi ed io sono proprio un esiliato malato di nostalgia e disamore…
io che mi lamento, che
striscio –strido- che mi accoro,
io che il niente passa, io che mi confesso il vuoto, io che non ho più
sogni e garbatamente muoio
io che il primo pensiero al
mattino e l’ultimo alla sera portano sempre lo stesso nome con più estese
malinconie e minore dolcezza
io che sto al centro del
mondo o dell’abisso e non c’è più nessuno
io che sogno e talvolta ho
solo incubi
io che sradico miele dai
miei occhi
io che sorrido che amo che
mi tradisco ogni giorno coi miei pensieri d’assassino,
io… con la mia maschera
ridicola di clown
io che il giorno e la notte
è sempre neve…
così vicina, così lontana…
e questi assurdi rottami
d’agosto…
Parbleu, mon ami!
Tu in agosto sei tutto questo, fai tutto questo, ti capita tutto
questo?...
Per Giove! (E anche perbacco!)
Ti consiglierei come evitare questo mese per te pieno di insidie, di
stranezze, di nostalgie, di lacrime non
versate, di assurdi mutamenti atmosferici, di sorrisi e innamoramenti
pericolosi, di lamenti inconsolati, di gridi assordanti eppur silenziosi
(mentre per gli altri è un piacevole mese di ferie, di vacanze: e da un pezzo è
così... sin dai tempi del buon Augusto), ma non so cosa fare, che cosa
suggerirti.
E allora?
Ti dico soltanto: fatti coraggio!
Se chiudi un attimo gli occhi… siamo già a settembre.
Ciao, Peppe. Con simpatia.
RispondiEliminaA ogni modo, bellissima poesia, la tua!
Sorprendenti pensieri di un sopravvissuto al caldo estivo
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