Queste facce squallide di bambini sono
le squallide facce della mia infanzia. Ed io tra di loro, io tra di loro.
Di Cracovia in quegli anni ricordo il
freddo, la solitudine, l’attesa di un gioco nuovo che ci facesse veramente
divertire.
Doveva essere il ‘54 o il ‘56 credo.
Con le guance arrossate dal gelo, io conversavo
in spagnolo e nessuno sembrava badarci.
Nessuno a Cracovia si era mai accorto
che non fossi davvero lì, dato che
fisicamente mi trovavo a Buenos Aires dove ancora oggi risiedo.
Nei ‘50, là, c’era altro a cui pensare.
Gli alberi erano carichi di neve. Gli
amici continuavano a chiamarmi Witold (io invece mi chiamo Jorge) e
chiacchieravano con me passeggiando sui ciottoli bianchi.
L’inverno ci dava dentro come un
cosacco. Tutti sognavano di avere una macchina e sigarette francesi.
A me bastava solo una finestra e un
posto diverso da guardare.
Nei miei sogni avevo ancora gli occhi
buoni.
Suggestivo e interessante il racconto di Fabio.
RispondiEliminaSognare a occhi aperti. Si può.
RispondiEliminaComplimenti, Fabio.
:-)
Anche nella piccolezza, la saggezza è presente. Ciao
RispondiEliminaRingrazio tutti dei commenti gentili e benevoli :-)
RispondiEliminaFabio