Il sergente maggiore Eric Dona stringeva nel pugno il
calcio della pistola. Era pronto a sparare all’alieno che, a piccoli passi,
avanzava verso di lui per divorarlo.
Molti suoi commilitoni erano stati orribilmente
sbranati e mangiati da simili mostri.
Quale ne fosse il vero aspetto, il sergente maggiore
non lo sapeva, poiché lo cambiavano continuamente a seconda delle circostanze.
La loro capacità di trasformarsi era sorprendente,
come pure quella di penetrare, per via telepatica, nella mente di chiunque, e
carpirne pensieri, ricordi, immagini.
L’alieno – che ora avanzava verso di lui – aveva assunto l’aspetto di Muryel, la giovane
moglie che Eric aveva lasciato su Terra, distante da Holigon, il pianeta sul
quale era di stanza, centinaia d’anni luce.
Il sergente maggiore non si sarebbe fatto ingannare,
ricordando chi avesse dinanzi e come affrontarlo.
Tuttavia esitava a sparare.
Ma proprio quando stava per premere il grilletto, si
bloccò.
L’holigoniano aveva iniziato a parlare: la sua voce
era identica a quella di Muryel.
«Sono tanto felice, amore, di essere qui. Ormai
disperavo di rivederti, dopo tutti quest’anni di lontananza.»
«Chi… chi sei?» balbettò, incredulo, il sergente
maggiore.
«Ma sono tua moglie! Non mi riconosci? Vieni tra le
mie braccia, tesoro! Non puoi immaginare quant’abbia sofferto per la tua
mancanza. Oh, ti desidero tanto!… Metti via quell’orribile arma. Mi fai paura.
Che cos’hai da temere?»
Eric Dona indietreggiò di qualche passo, la pistola sempre
nel pugno e puntata contro l’alieno.
Ripeté, debolmente:
«Chi sei?»
«Sono io, Muryel: la tua dolce, piccola Muryel!...
Quanti anni sono passati da quando partisti? Tre, quasi quattro!... Avvicinati
dunque. Perché indugi? Mi sei tanto mancato, tesoro! Mi mancano molto i tuoi
baci, le tue carezze, le tue parole affettuose. Oh, sapessi!... Un tempo mi
amavi immensamente, con tutto te stesso. Non vorrei che fosse scemato il tuo
amore per me. No, non credo! Sono sicura che ancora mi ami, come io amo te… Su,
avanti, che aspetti? Abbracciami, baciami, stringimi.»
Innamorato più che mai, il sergente maggiore abbassò
la sua arma e corse dalla sua dolce, piccola Muryel. Ma nell’istante in cui
questa stava per cingerlo con le sue braccia, egli alzò di nuovo la pistola e
fece fuoco: una, due, tre volte…
Con un grido straziante l’alieno cadde pesantemente a
terra e, dopo un sussulto, rimase immobile.
Il sergente maggiore attese che le fattezze di Muryel
svanissero, per lasciare il posto a quelle reali dell’holigoniano, ma ciò non
avvenne.
Allora sgranò gli occhi e sentì il respiro mancargli
all’improvviso, mentre un freddo sudore gli imperlava la fronte, gli scorreva
lungo la schiena.
«Ma… che succede?» balbettò. «Ora che è morto, la sua
mente non può controllare la forma del suo corpo.»
Si guardò per un attimo intorno, come a cercare
qualcuno cui domandare spiegazioni.
Poi tornò a fissare, ai suoi piedi, il corpo esanime
di… Muryel.
Per poco non impazzì quando, più tardi, egli apprese
che il Distretto Spaziale di Holigon aveva segretamente invitato sul pianeta,
per un breve periodo di soggiorno, un famigliare di ogni soldato.
Doveva essere, per ciascuno di loro, una piacevole sorpresa.
Un bel racconto con un finale triste e straziante. Bravo, Paolo!
RispondiEliminaUn finale davvero terribile; è una delle situazioni peggiori in cui possa trovarsi un essere umano. Ho pensato fino alle ultime righe che lui non fosse cascato nel trucco dell'alieno, ma Paolo come al solito...
RispondiEliminaAnche se il finale è un po' prevedibile, il racconto ci propone un messaggio davvero doloroso, che arriva, alla fine, con tutta intatta la sua drammaticità. Scritto molto bene, mantiene tesa l'attenzione fino all'ultima riga.
RispondiEliminaDimenticata la firma. L'anonimo è Giuseppe Novellino
RispondiEliminaOttimo racconto.
RispondiEliminaBravissimo Paolo.