
«La
guerra è davvero uno schifo» mormorò tra sé e sé il sergente.
Qualche
giorno prima il Ministero della guerra aveva disposto con un
telegramma il suo trasferimento dalla caserma Mameli a Milano alla
caserma Ruffo a Roma.
Era
la prassi seguita normalmente quando affidavano una missione al
Sergente Gaetano. Solitamente si trattava di portare ordini e
disposizioni del ministero ai comandanti militari che guidavano le
truppe sui diversi fronti di guerra.
Così,
almeno una volta al mese, il sergente veniva catapultato in prima
linea.
Africa,
Grecia, Spagna, ce n’era per tutti i gusti.
Gli
venivano affidate alcune veline con i comandi del ministero e lui
doveva consegnarli direttamente al fronte a chi di dovere.
La
sua missione terminava con la consegna degli ordini, ma tornare
indietro non era sempre così facile e scevro di pericoli.
Quella
volta era stato inviato in Eritrea, o, come veniva chiamata a quel
tempo, nell’Africa Orientale Italiana.
Nella
zona di Cheren la battaglia contro le forze britanniche infuriava da
giorni.
Gli
eserciti italiani difendevano come meglio potevano le posizioni, ma
la superiorità e la determinazione dei britannici lasciavano poche
speranze.
L’artiglieria
continuava a martellare il fronte italiano giorno e notte, privando i
soldati del sonno e costringendoli a uno stato di costante tensione.
Il
sergente, subito dopo il suo arrivo, era stato a rapporto
direttamente dal generale Lorenzini, al quale aveva consegnato gli
ordini di Roma.
Il
generale aveva letto le veline e aveva scosso la testa, probabilmente
contrariato per quanto gli era stato ordinato.
Dopo
qualche minuto di attesa, aveva congedato il sergente.
«Grazie
sergente. Il capitano Lanzi la aiuterà a sistemarsi. Appena
possibile la faremo rientrare.»
«Comandi»
aveva detto il sergente scattando sull’attenti.
Aveva
cenato con un pezzo di pane e uno di formaggio. Al fronte non si
poteva avere di più.
Si
era sistemato come meglio poteva per superare la notte.
Sperava
di poter prendere la via del ritorno il mattino successivo.
Gli
era già successo di dover rimanere al fronte per diversi giorni,
prendendo parte alle azioni di attacco o di difesa con i battaglioni
in prima linea. Non era un eroe e soprattutto non era fiero di quello
che era stato costretto a vedere in combattimento.
I
nemici erano uomini come lui e non ci si può mai vantare di aver
ucciso un tuo simile, anche se di lingua e nazionalità diversa dalla
tua.
Nell’esercito
era approdato fuggendo dal seminario nel quale l’aveva mandato sua
madre. Era il secondogenito e per lui era stata scelta la carriera
clericale.
Il
suo spirito libero e ribelle, però, l’aveva messo in grande
difficoltà negli anni di seminario, al punto di decidere di mollare
tutto.
L’unica
possibilità che gli avevano offerto era stata quella di arruolarsi
come volontario, cosa che aveva fatto senza pensarci molto.
Era
entrato nei bersaglieri e aveva frequentato il corso sottufficiali.
Poi
era scoppiata la guerra e sentiva di essere caduto dalla padella alla
brace.
E
ora si trovava per l’ennesima volta in prima linea.
Quando
il primo colpo di artiglieria era esploso non molto lontano dal
campo, era saltato in piedi con il cuore in gola. Si era guardato
intorno e aveva visto gli altri ragazzi della IV° divisione
Coloniali che lo fissavano quasi stupiti della sua reazione.
Non
c’era ironia nei loro sguardi, solo muta rassegnazione. Erano ormai
abituati a convivere con quei tuoni che scuotevano la notte e a
vivere minuto per minuto con l’idea che prima o poi il nemico
avrebbe fatto centro.
La
notte passò lentamente. Con gli occhi sgranati il sergente aveva
visto gli altri addormentarsi, ed era rimasto solo a contare i colpi
che ritmicamente rompevano il silenzio.
Con
i nervi a pezzi, salutò il sole che si affacciava lentamente.
«La
guerra è davvero uno schifo» mormorò tra sé mentre il campo
riprendeva vita.
Voleva
andar via il prima possibile.
Si
avvicinò alla tenda degli ufficiali per parlare con il capitano
Lanzi.
Mentre
era in attesa, vide arrivare di corsa un caporale.
Si
stupì un po' quando lo vide fermarsi accanto a lui. Pensava che
dovesse conferire con qualche ufficiale e invece sembrava essere
arrivato proprio per lui.
«Sergente,
deve venire immediatamente con me» disse affannato per la corsa che
aveva fatto.
«Che
succede?» chiese lui di rimando.
«Venga
con me, presto!» disse l’altro.
Anche
se era un po' perplesso, decise di seguirlo. Forse c’era qualcosa
per lui.
«Dove
andiamo, caporale…»
«Caporale
Lazzari, sergente. Mi segua.»
Si
allontanarono di corsa dalla tenda ufficiali, superarono una piccola
collina lì accanto e si fermarono.
Non
fece in tempo a dire nulla, perché un enorme boato lo colse del
tutto di sorpresa.
La
collina l’aveva riparato dallo spostamento d’aria e forse anche
dalle schegge che erano volate in tutte le direzioni.
Si
spostò di qualche metro per vedere il punto in cui c’era stata
l’esplosione e vide la tenda ufficiali completamente distrutta. Una
carica di artiglieria aveva centrato il campo, nel punto esatto
dov’era stato lui fino a qualche istante prima.
Quel
caporale gli aveva salvato la vita.
Si
girò verso di lui per ringraziarlo e per chiedergli come aveva
potuto immaginare quello che sarebbe successo, ma non vide nessuno.
Cercò
lì intorno dove fosse finito, ma di lui non vide traccia.
Tornò
al campo e aiutò gli altri a soccorrere i feriti.
Dopo
qualche ora, chiese di conferire con il capitano Lanzi.
Il
capitano dispose per il suo rientro immediato in Italia.
«Capitano,
vorrei ringraziare il caporale Lazzari prima di lasciare il campo»
disse il sergente prima di congedarsi.
«Non
abbiamo nessun Lazzari qui» rispose laconicamente il capitano.
Il
sergente Gaetano rientrò in Italia dopo qualche giorno.
Conservò
il ricordo di quel caporale per il resto della sua vita.
Non
tentò mai di dare una spiegazione razionale a quello che era
successo.
Ma
ogni volta che raccontava ai suoi figli quella storia, un velo di
commossa gratitudine traspariva nell’espressione del suo viso.
Che sfilza di ghost-storie! |2)
RispondiEliminaRacconto che come quello di Giuliana, tratta di un salvataggio misterioso; il genere di fatto inesplicabile che quasi tutti hanno sperimentato direttamente o sentito da qualche conoscente . Tipica storia da raccontare in una sera invernale accanto al fuoco. Ben scritto e ben strutturato.
Sauro Nieddu