Alison giocherellò con le dita mentre, guardando
fuori dal finestrino del taxi, si rese conto che la casa di sua cugina ormai
distava solo una manciata di minuti.
Lei e Cora non si erano mai sopportate.
Dall’adolescenza in poi avevano sempre cercato di convivere pacificamente, se
non altro per evitare le ramanzine delle rispettive madri che erano sorelle.
Alison però, a volte, rimpiangeva quell’età in cui la ragione non è ancora
giunta, o questo almeno era quello che pensavano gli adulti, così lei poteva
infierire sulla cugina coetanea con graffi, schiaffi e tutto ciò che la sua
perversa mente infantile le suggeriva. Qualche volta ne era uscita vittoriosa,
altre invece aveva avuto la peggio. Ad ogni modo era liberatorio poter sfogare
i sentimenti in maniera così aperta, sospirò lasciandosi andare a un sorrisetto
nostalgico.
La grande casa in stile vittoriano di zia Mary
le si parò davanti, altezzosa e sfacciata esattamente come le due donne che la
abitavano. Fece un lungo sospiro pensando alla lunga giornata che l’attendeva.
Fosse stato per lei avrebbe passato la domenica a casa o in un pub con qualche
amica, ma non poteva proprio evitare di presenziare a quel rituale. Ogni anno,
in occasione del compleanno di zia Mary, la donna organizzava una cena e
invitava tutti gli amici e i parenti e Alison, nonostante avesse cercato di
convincere sua madre a dispensarla da quella incombenza almeno per quella
volta, alla fine era stata costretta a partecipare.
-Si tratta solo di una domenica nell’arco di un
anno – l’aveva rimproverata sua madre quando si erano sentite per telefono
qualche giorno prima.
-Lo so, ma…
-Niente scuse, Alison, per favore. Sai che
voglio bene a mia sorella. Mi rendo conto che a volte ha degli atteggiamenti un
po’ strani, però le voglio bene.
-Capisco – confermò atterrita sapendo che nulla
di ciò che avrebbe detto sarebbe stato sufficiente per far cambiare idea alla
sua mamma. Tra l’altro a tutti i parenti era abbastanza evidente che le due
cugine si sopportavano a stento ma, per il bene della famiglia, Alison avrebbe
partecipato, sorriso, stretto mani, baciato guance, mangiato l’orrenda torta al
limone di zia Mary e poi, verso le undici, sarebbe stata autorizzata a fuggire
per non rimettervi piede fino all’anno successo.
-Facciamoci coraggio – si disse pagando il
tassista e decidendosi a scendere.
Quando Alison entrò vide immediatamente qualcosa
che non andava. Tutti parenti erano seduti in soggiorno, ma nessuno di loro
parlava, né la degnarono di uno sguardo o di un saluto. Erano fermi, immobili,
con lo sguardo vacuo che fissavano lo schermo della Tv con l’espressione da
ebeti.
-Mamma…. Zia Mary… – chiamò vedendo che in
salotto erano le uniche persone che mancavano. Raggiunse la cucina, guardò
fuori dalla finestra e le vide insieme, sedute sul dondolo in giardino. Si
tenevano per mano, ma anche loro, come tutti i parenti che c’erano in soggiorno
erano in silenzio e con lo sguardo spento.
-Ma che diav….
Quando sentì che qualcuno le posava una mano
sulla spalla Alison sobbalzò, si voltò e vide Cora che la guardava con
un’espressione malvagia.
- Era ora che arrivassi. Stavamo giusto
aspettando te per iniziare i festeggiamenti.
- Che cosa è capitato agli ospiti? – domandò
sentendo che il battiti stavano accelerando.
- Perché? Stanno benissimo, non trovi? Tu sei
l’unica che hai bisogno di rallentare i ritmi e rilassarsi. Vuoi qualcosa da
bere?
Alison la osservò con sospetto. Per esperienza sapeva che non c’era
nulla di cui stare tranquille quando Cora usava quel tono mellifluo e quel
sorriso palesemente fasullo.
- No, grazie, sto bene così.
- Ho fatto delle modifiche nella mia stanza. Ti
va’ di venire di sopra con me, così potrai vedere con i tuoi occhi che bel
lavoro ha fatto l’architetto che ha chiamato mamma.
- Io… a dire la verità… preferirei andare ad
assicurarmi che mia madre stia bene.
- Non te la starai facendo sotto dalla paura? –
le domandò Cora con aria volutamente sprezzante.
Alison si rese conto che la cugina la stava
provocando, ma non le avrebbe dato soddisfazione.
- Ovviamente no – le rispose guardandosi attorno
con circospezione. C’era qualcosa di molto strano e Alison doveva trovare
qualcosa con cui, all’occorrenza, difendersi alla cugina così, non appena Cora
le voltò le spalle per precederla al piano di sopra, Alison afferrò velocemente
le uniche due cose che forse le sarebbero potute tornare utili: l’accendigas a
fiamma e un coltello sporco che era stato dimenticato sul piano della cucina.
Alison seguì in silenzio Cora e quando la
ragazza aprì la porta della sua stanza non vide nulla di terrificante, così
fece un lungo sospiro e si rilassò dandosi della sciocca. Forse si era
preoccupata per nulla, pensò voltandosi e solo allora il suo sguardo si
paralizzò. In un angolo della camera c’era uno spazio adibito a una specie di
grosso manichino dall’espressione inquietante.
- E quella? – domandò indicando con l’indice
l’angolo della camera.
- Non ti ricordi di lei? È Amina, la mia
bambola.
- Non dire stupidaggini. La tua bambola era
circa trenta centimetri di plastica, quella è alta quasi quanto me.
- Perché è cresciuta. Le ho dato tutto il mio
amore, le mie attenzioni e adesso è diventata grande e per questo ha bisogno di
nutrirsi di più – rispose e con un rapido movimento chiuse a chiave la porta della
camera, mentre sulle labbra le si dipingeva un sorriso diabolico. – Lo sai qual
è il suo piatto preferito? Il cervello.
- Cora piantala! – le intimò Alison cercando di
mostrarsi calma anche se dentro sentiva il cuore che le batteva come un
tamburo. – Se è uno scherzo non mi fa ridere.
- Non sto scherzando. Tu sei una ragazza
intelligente, lo sei sempre stata e così ho deciso che oggi la mia piccolina
meritava un regalo speciale. Avanti Amina, va a prendere il tuo premio – disse
con voce dolce sorridendo al quella specie di
mostro.
La bambola cominciò a muovere le gambe e le
braccia e dopo essersi sgranchita si incamminò verso la sua preda.
Alison si guardò attorno disperata. Erano al
primo piano. Forse saltando dalla finestra avrebbe potuto salvarsi. Certo si
sarebbe rotta una gamba, un braccio, ma sempre meglio che offrire il suo
cervello come dessert a quella specie di bambola demonica. Si frugò in tasca e
si punse con la punta del coltello. Si mise a riflettere e si rese conto che
quel manichino aveva una consistenza troppo dura per poter essere trafitto.
- So a cosa stai pensando, Alison – le disse la
cugina con un sorriso. –Se vuoi scappare fallo pure, comunque devi sapere che
ti faresti molto male precipitando nel cortile. Inoltre, tutti i parenti che ci
sono al piano di sotto sono stati drogati e così, se non ti offrirai come pasto
per la mia Amina, sarò costretta a farle mangiare il cranio di tua madre e poi
anche quello di tutti gli altri invitati.
Alison iniziò a muoversi all’indietro fino a quando
raggiunse la finestra.
- Pensa bene a quello che ti ho detto – le
ricordò Cora scuotendo il capo. –Non costringermi a fare del male a tua madre.
- Sei una psicopatica!
- No, sono solo una madre apprensiva. Tu non sai
cosa vuol dire voler bene al prossimo, non l’hai mai saputo perché sei sempre
stata un’egoista.
Mentre Cora parlava la bambola le era sempre più
vicina. Quando allungò una delle sue fredde mani di plastica e le afferrò una
ciocca di capelli Alison sentì che quello era il momento: prese dalla tasca
l’accendigas, lo accese e iniziò a far ondeggiare la fiammella davanti agli
occhi inanimati della bambola.
- Che cosa le vuoi fare? – gridò Cora
terrorizzata al pensiero che qualcuno potesse fare del male ad Amina.
Alison non la degnò di risposta, piuttosto si
concentrò sulla bambola.
- Mi senti? – le domandò e Amina iniziò a
muovere il capo in segno d’assenso. –Bene. Hai
paura del fuoco? Lo sai che è pericoloso? - La bambola annuì di nuovo.
-Allora se non vuoi che ti faccia del male, d’ora in poi dovrai ubbidire a me,
siamo d’accordo? – altro cenno d’assenso. – Vuoi bene alla tua mamma? – sì. –La
vuoi avere sempre con te? – annuì. –Allora mangiala. Mangia il suo cervello,
così potrete stare sempre insieme.
Sul volto di Cora si dipinse il terrore, mentre
Amina le si avvicinava e con una rapida mossa l’afferrava per la nuca e si
avventava su di lei.
Alison rimase immobile, terrorizzata,
disgustata, mentre davanti ai suoi occhi si consumava quella scena
raccapricciante.
Ora Cora era distesa sul pavimento priva di
vita, ma con una strana espressione di felicità. Alison scosse il capo, mentre
sentiva che il suo stomaco faceva le capriole, poi quando vide che tutto era
finito si avvicinò alla bambola e le incendiò i capelli. La vide agitarsi e
dibattersi mentre il fuoco la avvolgeva completamente e quando sul pavimento
non rimase che una grossa macchia di plastica fusa, ricominciò a
respirare.
Aveva sempre odiato le bambole, pensò
lasciandosi cadere stremata sul pavimento.
Molto bello, avvincente il racconto fantasy di Annalisa, che dopo un po' di tempo è ancora, piacevolmente, sulle pagine di Pegasus.
RispondiEliminaInteressante e terrificante il racconto di Annalisa
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