Luna, sesto giorno dell’anno 2046.
Mi chiamo 40-03. Sono nato soltanto da sei giorni e in questo
momento mi trovo nella stanza quattordici. L’ho scoperto poche ore fa, quando
ho iniziato ad avere un minimo di lucidità interiore. So di essere una cavia da esperimento che deve portare
con sé la sua finalità. La prova tangibile che le ricerche sugli sviluppi
evolutivi della psiche sintetizzata possono ancora dare speranza a ciò che
resta della razza umana. Ma la sola cosa che riesco a
ricordare, per ora, è di aver perso conoscenza prima che iniziassero a eseguire
l’ultima serie di esperimenti sul mio organismo. Ora mi trovo qui, in questa
stanza priva di finestre – composta perlopiù da enormi specchi –, a osservare
da non so quanto tempo la mia immagine riflessa senza avere la possibilità di fare
alcunché. Non mi piace stare qui. Ho di nuovo quello strano dolore al petto, quella
flebile e persistente pressione che da giorni non riesco più a sopportare. I
miei genitori hanno detto che la causa di questo dolore è da attribuirsi alla
mia attuale condizione psicosociale e alle prove di contatto umano testate fino
a questo momento.
Aspettate… ho sentito suonare un campanello. Sono entrate due persone, un uomo e una donna. Spero solo che non siano venuti a prendermi per sottopormi a nuovi esperimenti.
Si sono fermati a pochi metri da dove mi trovo io, mettendosi a parlare fra loro e scrutandomi con i loro occhi clinici. Faccio fatica a capire il significato di alcune delle loro parole.
Dicono che mi sto ammalando seriamente, e che se qualcosa d’insolito non accadrà al più presto, il ciclo della mia breve esistenza sarà destinato a fare la stessa fine di quello dei miei fratelli.
Parole inconcludenti e senza alcun senso, ma che, in qualche modo, sono rimaste impresse nella mia mente come una profonda e inesorabile verità. Soprattutto queste: “Ha bisogno di amare”.
Aspettate… ho sentito suonare un campanello. Sono entrate due persone, un uomo e una donna. Spero solo che non siano venuti a prendermi per sottopormi a nuovi esperimenti.
Si sono fermati a pochi metri da dove mi trovo io, mettendosi a parlare fra loro e scrutandomi con i loro occhi clinici. Faccio fatica a capire il significato di alcune delle loro parole.
Dicono che mi sto ammalando seriamente, e che se qualcosa d’insolito non accadrà al più presto, il ciclo della mia breve esistenza sarà destinato a fare la stessa fine di quello dei miei fratelli.
Parole inconcludenti e senza alcun senso, ma che, in qualche modo, sono rimaste impresse nella mia mente come una profonda e inesorabile verità. Soprattutto queste: “Ha bisogno di amare”.
All’improvviso uno specchio si solleva per
scomparire all’interno del soffitto, nella sommità dell’apertura è comparso un
numero, il quindici.
Ho paura! Sento che dovrei alzarmi dal
lettino e dirigermi verso l’oscurità che incombe aldilà dell’apertura, ma poi
una sensazione di diffidenza s’impone al mio io, sussurrandomi di non
abbandonare un luogo sicuro per andare a scoprirne uno nuovo e ignoto.
I battiti del mio cuore stanno
accelerando, le tempie pulsano, ho bisogno di alzarmi e di camminare
urgentemente. Mi alzo concitatamente drogato di curiosità.
Passo dopo passo arrivo verso l’apertura
attraversandola, facendomi avvolgere completamente dall’oscurità. Ma a un
tratto tutto incomincia a illuminarsi fiocamente.
Mi guardo attorno per osservare meglio la
nuova stanza e mi accorgo che è meglio di quanto osassi sperare. Circondato da
vetri trasparenti, potevo ammirare l’immensa bellezza che lo spazio esterno può
regalare in determinati momenti della propria esistenza.
Il protagonista in quell’immenso sfondo
nero era il pianeta di cui avevo sentito molto parlare dal mio creatore durante
i miei pochi giorni di vita. Provavo ammirazione per quel pianeta chiamato
Terra. Lo guardo sommesso accorgendomi di quanto siano intense le sue
innumerevoli sfumature. Poi voltandomi verso il centro della stanza mi accorgo
finalmente della sua presenza.
Una donna dalla corporatura minuta e dal viso
mite se ne stava lì a osservarmi dritto negli occhi.
Un dolce sorriso stava irradiando da lei,
facendomi provare una sensazione insolita. Dopo interminabili secondi decido di
prendere l’iniziativa dirigendomi a passi cadenzati verso di lei. Eravamo soli,
uno di fronte all’altra cercando di percepire la realtà delle nostre emozioni.
Lei, a un certo punto, con una mano mi accarezza delicatamente il volto.
Il profumo della sua pelle e la sensazione
di quel contatto ravvicinato mi hanno fatto venire un brivido lungo la schiena.
In quel momento capisco che il mio futuro sarebbe dipeso dal desiderio di
entrambi di portare avanti quell’enfatica relazione. Guardandola ancora una
volta negli occhi mentre tengo le sue mani tra le mie, la sento pronunciare parole
che non ho mai udito prima d’ora: “ Ti amo“.
Lei poi abbracciandomi stretto, realizzò con le sue labbra il primo
bacio della nostra vita.
Un cordiale benvenuto a Francesco sulle pagine di Pegasus. Molto suggestivo il suo racconto fantascientifico.
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