giovedì 16 luglio 2015

STANZA 15 di Francesco Gallina


Luna, sesto giorno dell’anno 2046.
Mi chiamo 40-03. Sono nato soltanto da sei giorni e in questo momento mi trovo nella stanza quattordici. L’ho scoperto poche ore fa, quando ho iniziato ad avere un minimo di lucidità interiore. So di essere una cavia da esperimento che deve portare con sé la sua finalità. La prova tangibile che le ricerche sugli sviluppi evolutivi della psiche sintetizzata possono ancora dare speranza a ciò che resta della razza umana. Ma la sola cosa che riesco a ricordare, per ora, è di aver perso conoscenza prima che iniziassero a eseguire l’ultima serie di esperimenti sul mio organismo. Ora mi trovo qui, in questa stanza priva di finestre – composta perlopiù da enormi specchi –, a osservare da non so quanto tempo la mia immagine riflessa senza avere la possibilità di fare alcunché. Non mi piace stare qui. Ho di nuovo quello strano dolore al petto, quella flebile e persistente pressione che da giorni non riesco più a sopportare. I miei genitori hanno detto che la causa di questo dolore è da attribuirsi alla mia attuale condizione psicosociale e alle prove di contatto umano testate fino a questo momento.
Aspettate… ho sentito suonare un campanello. Sono entrate due persone, un uomo e una donna. Spero solo che non siano venuti a prendermi per sottopormi a nuovi esperimenti.
Si sono fermati a pochi metri da dove mi trovo io, mettendosi a parlare fra loro e scrutandomi con i loro occhi clinici. Faccio fatica a capire il significato di alcune delle loro parole.
Dicono che mi sto ammalando seriamente, e che se qualcosa d’insolito non accadrà al più presto, il ciclo della mia breve esistenza sarà destinato a fare la stessa fine di quello dei miei fratelli.
Parole inconcludenti e senza alcun senso, ma che, in qualche modo, sono rimaste impresse nella mia mente come una profonda e inesorabile verità. Soprattutto queste: “Ha bisogno di amare”.
All’improvviso uno specchio si solleva per scomparire all’interno del soffitto, nella sommità dell’apertura è comparso un numero, il quindici.
Ho paura! Sento che dovrei alzarmi dal lettino e dirigermi verso l’oscurità che incombe aldilà dell’apertura, ma poi una sensazione di diffidenza s’impone al mio io, sussurrandomi di non abbandonare un luogo sicuro per andare a scoprirne uno nuovo e ignoto.
I battiti del mio cuore stanno accelerando, le tempie pulsano, ho bisogno di alzarmi e di camminare urgentemente. Mi alzo concitatamente drogato di curiosità.
Passo dopo passo arrivo verso l’apertura attraversandola, facendomi avvolgere completamente dall’oscurità. Ma a un tratto tutto incomincia a illuminarsi fiocamente.
Mi guardo attorno per osservare meglio la nuova stanza e mi accorgo che è meglio di quanto osassi sperare. Circondato da vetri trasparenti, potevo ammirare l’immensa bellezza che lo spazio esterno può regalare in determinati momenti della propria esistenza.
Il protagonista in quell’immenso sfondo nero era il pianeta di cui avevo sentito molto parlare dal mio creatore durante i miei pochi giorni di vita. Provavo ammirazione per quel pianeta chiamato Terra. Lo guardo sommesso accorgendomi di quanto siano intense le sue innumerevoli sfumature. Poi voltandomi verso il centro della stanza mi accorgo finalmente della sua presenza.
Una donna dalla corporatura minuta e dal viso mite se ne stava lì a osservarmi dritto negli occhi.
Un dolce sorriso stava irradiando da lei, facendomi provare una sensazione insolita. Dopo interminabili secondi decido di prendere l’iniziativa dirigendomi a passi cadenzati verso di lei. Eravamo soli, uno di fronte all’altra cercando di percepire la realtà delle nostre emozioni. Lei, a un certo punto, con una mano mi accarezza delicatamente il volto.
Il profumo della sua pelle e la sensazione di quel contatto ravvicinato mi hanno fatto venire un brivido lungo la schiena. In quel momento capisco che il mio futuro sarebbe dipeso dal desiderio di entrambi di portare avanti quell’enfatica relazione. Guardandola ancora una volta negli occhi mentre tengo le sue mani tra le mie, la sento pronunciare parole che non ho mai udito prima d’ora: “ Ti amo“.
Lei poi abbracciandomi stretto, realizzò con le sue labbra il primo bacio della nostra vita.

1 commento:

  1. Un cordiale benvenuto a Francesco sulle pagine di Pegasus. Molto suggestivo il suo racconto fantascientifico.

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