domenica 19 luglio 2015

BRAINBOOK di Danilo Concas



Quando la MentalTech, Inc. annunciò il lancio della piattaforma Brainbook, il suo fondatore Jeremy Shepperd, appena venticinquenne, profettizzò un afflusso di un milione di utenti circa solo nel primo mese di attività; nello scandire quelle parole, la sua mano tremò d'emozione, facendo debordare il calice di Vevue Cliquot e provocando brividi di eccitazione nei presenti.
Di utenti ce ne furono un miliardo e mezzo solo nelle prime due settimane.


Stefano prese il cappotto e uscì nel freddo del mattino. Il sole splendeva, ma sembrava una enorme e fredda lampada al mercurio piuttosto che la solita, rassicurante palla di fuoco che riscaldava la Terra da eoni. Si chiese, per l'ennesima volta, dove fossero tutti; con la mente, intendeva, perchè fisicamente lo sapeva: si trovavano chiusi in casa, denutriti e sbavanti davanti alla console di Brainbook, col cervello pieno di software-personalità con i quali tenere interminabili conversazioni nei remoti recessi della loro coscienza. Sapeva di persone che avevano più di duemila software impiantati; un certo Karter92 era arrivato addiritura ad averne seimiladuecento. Dopo due sedute di chat era morto col cervello che gli colava dalle orecchie.
Scaricare nel proprio cervello i software-personalità, chiamati in gergo Amicizie, era semplice: bastava chiedere a un utente remoto di trasmettere il suo codice, consistente in una serie ad alta frequenza di immagini frattali, e la sua coscienza restava impressa nelle sinapsi del richiedente. Da quel momento in poi si poteva conversare e scambiare dati a livello mentale con tutte le amicizie installate.
Stefano era orgoglioso di se stesso: era molto probabilmente l'unico essere umano privo di software e che ancora teneva contatti col mondo reale. Gli aveva sempre fatto ribrezzo quel metodo di comunicazione che teneva così distanti dalla rassicurante realtà quotidiana, specialmente dopo che ebbe trovato la sua amica Vittoria nella sua casa, ridotta a un vegetale e insozzata dalle sue stesse feci. Dopo quello sconvolgente episodio decise che era tempo di agire e inattivare fisicamente i server. Avrebbe tolto loro la corrente distruggendo le cabine elettriche.
Avrebbe iniziato nella sua zona per poi espandersi fino a coprire l'intera città e oltre; avrebbe trovato altri come lui che l'avrebbero aiutato. Non era possibile che fosse rimasto solo.
La strada era silenziosa e deserta, con solo qualche raro furgoncino a percorrerla. Entrò nel sottopassaggio della Metro dove in precedenza aveva nascosto la pesante cassetta degli attrezzi e lo zaino con la dinamite dietro una delle porte di servizio. Mentre si dirigeva verso la prima cabina, quella più vicino a casa sua, fischiettando un allegro motivetto, fantasticava su cosa sarebbe tornato a essere il mondo dopo l'ultima esplosione: gli avrebbero dato un premio per aver liberato l'umanità dalla schiavitù? Pensò che gli sarebbe bastato anche una semplice menzione sui futuri libri di scuola. 'E perchè non il Nobel per la pace?' pensò, mentre accendeva la miccia della fila di candelotti piazzati attorno alla prima cabina.

3 commenti:

  1. Tornato l'Internet a casa, ho il cervello pieno di software e gli occhi assorbendo racconti...
    Bravo Danilo!

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  2. Bello. Fulminante e pervaso da un certo acido umorismo. In poche righe si riesce a mettere insieme uno scenario di rimbambimento elettronico dai risvolti veramente apocalittici. La critica al mondo attuale, tra internet e smartphone, è più che evidente e giustamente azzeccata.

    Giuseppe Novellino

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