Quando la
MentalTech, Inc. annunciò il lancio della piattaforma Brainbook, il suo
fondatore Jeremy Shepperd, appena venticinquenne, profettizzò un afflusso di un
milione di utenti circa solo nel primo mese di attività; nello scandire quelle
parole, la sua mano tremò d'emozione, facendo debordare il calice di Vevue
Cliquot e provocando brividi di eccitazione nei presenti.
Di utenti
ce ne furono un miliardo e mezzo solo nelle prime due settimane.
Stefano
prese il cappotto e uscì nel freddo del mattino. Il sole splendeva, ma sembrava
una enorme e fredda lampada al mercurio piuttosto che la solita, rassicurante
palla di fuoco che riscaldava la Terra da eoni. Si chiese, per l'ennesima
volta, dove fossero tutti; con la mente, intendeva, perchè fisicamente lo
sapeva: si trovavano chiusi in casa, denutriti e sbavanti davanti alla console
di Brainbook, col cervello pieno di software-personalità con i quali tenere
interminabili conversazioni nei remoti recessi della loro coscienza. Sapeva di
persone che avevano più di duemila software impiantati; un certo Karter92 era
arrivato addiritura ad averne seimiladuecento. Dopo due sedute di chat era
morto col cervello che gli colava dalle orecchie.
Scaricare
nel proprio cervello i software-personalità, chiamati in gergo Amicizie, era
semplice: bastava chiedere a un utente remoto di trasmettere il suo codice,
consistente in una serie ad alta frequenza di immagini frattali, e la sua
coscienza restava impressa nelle sinapsi del richiedente. Da quel momento in
poi si poteva conversare e scambiare dati a livello mentale con tutte le
amicizie installate.
Stefano
era orgoglioso di se stesso: era molto probabilmente l'unico essere umano privo
di software e che ancora teneva contatti col mondo reale. Gli aveva sempre
fatto ribrezzo quel metodo di comunicazione che teneva così distanti dalla
rassicurante realtà quotidiana, specialmente dopo che ebbe trovato la sua amica
Vittoria nella sua casa, ridotta a un vegetale e insozzata dalle sue stesse
feci. Dopo quello sconvolgente episodio decise che era tempo di agire e
inattivare fisicamente i server. Avrebbe tolto loro la corrente distruggendo le
cabine elettriche.
Avrebbe
iniziato nella sua zona per poi espandersi fino a coprire l'intera città e
oltre; avrebbe trovato altri come lui che l'avrebbero aiutato. Non era
possibile che fosse rimasto solo.
La strada
era silenziosa e deserta, con solo qualche raro furgoncino a percorrerla. Entrò
nel sottopassaggio della Metro dove in precedenza aveva nascosto la pesante
cassetta degli attrezzi e lo zaino con la dinamite dietro una delle porte di
servizio. Mentre si dirigeva verso la prima cabina, quella più vicino a casa
sua, fischiettando un allegro motivetto, fantasticava su cosa sarebbe tornato a
essere il mondo dopo l'ultima esplosione: gli avrebbero dato un premio per aver
liberato l'umanità dalla schiavitù? Pensò che gli sarebbe bastato anche una
semplice menzione sui futuri libri di scuola. 'E perchè non il Nobel per la
pace?' pensò, mentre accendeva la miccia della fila di candelotti piazzati
attorno alla prima cabina.
Un bentornato a Danilo dopo tanto tempo.
RispondiEliminaTornato l'Internet a casa, ho il cervello pieno di software e gli occhi assorbendo racconti...
RispondiEliminaBravo Danilo!
Bello. Fulminante e pervaso da un certo acido umorismo. In poche righe si riesce a mettere insieme uno scenario di rimbambimento elettronico dai risvolti veramente apocalittici. La critica al mondo attuale, tra internet e smartphone, è più che evidente e giustamente azzeccata.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino