L’interfono squillò sulla
scrivania di Mary Jacobson.
«Signore?» disse la segretaria,
dopo avere premuto un pulsante dell’apparecchio.
«Venga un istante, la prego!»
rispose una tremula voce senile.
«Senz’altro, signore!»
Mary Jacobson, giovane e
graziosa, percorse a passi veloci un
lungo corridoio. Bussò ed entrò nell’ufficio del direttore generale.
Non vide nessuno.
«Signor Boronsky?... Signor Boronsky?...»
chiamò.
Non ottenuta risposta, stava per
lasciare la stanza quando una voce la fermò.
«Sono qui, signorina!»
La segretaria si volse e, con
grande stupore, scorse Arthur Boronsky seduto al solito posto: nella poltrona
dietro la scrivania.
«Oh! La prego di scusarmi,
signore!» rispose arrossendo. «Non mi spiego come ho potuto non vederla.»
«La capisco, signorina,» disse il
direttore generale. «Con l’età mi sono rimpicciolito al punto di essere quasi
invisibile. Ho più di cent’anni, sa?»
«Oh!» esclamò di nuovo la
segretaria. «A me pare, signore, che lei non dimostri…»
«…l’età che ho?» la prevenne
Boronsky. «È molto gentile, ma non menta. Sono vecchio, anzi vecchissimo. Mi
muovo e parlo con molta fatica… Si sieda, la prego,» e indicò la poltrona
davanti alla scrivania. Poi afferrò, con mano tremante, il collo di una
bottiglia e riempì due bicchieri. «Ne prenda uno,» disse. «Voglio brindare alla
sua efficienza. Non immagina quanto mi siano indispensabili i suoi servigi…
Alla sua salute, signorina!»
Mary Jacobson bevve, a piccoli sorsi, un
liquore denso, giallastro.
«Come le sembra?» volle sapere
Boronsky, guardandola negli occhi.
«Forse un po’ dolce per i miei
gusti, ma tutto sommato gradevo…»
Non finì di parlare.
Reclinò la testa sul petto e
rimase immobile, come si fosse addormentata. Dopo qualche secondo l’alzò di
nuovo e fissò lo sguardo sul viso attraente di un uomo seduto dietro la
scrivania. Poteva avere all’incirca trent’anni.
Era robusto, atletico, dai lunghi capelli biondi, dagli occhi verdi, dal
sorriso cordiale.
«Signor Boronsky… è lei?» chiese,
timidamente, la segretaria.
«Non mi riconosce?»
«Ma certo! Che stupida! Non so
proprio che cosa mi accade quest’oggi!»
Arthur Boronsky non rispose. Si
alzò con fatica dalla poltrona e, vacillando sulle gambe, si avvicinò a Mary
Jacobson. Le prese il viso tra le mani gracili, rattrappite, ma che agli occhi
di lei apparivano sane e vigorose.
«C’è una cosa che desidero fare da
tempo,» disse l’anziano direttore, la cui voce, agli orecchi della segretaria,
aveva un timbro decisamente giovanile. «Vorrei tanto baciarla, signorina. Spero
che lei lo permetta.»
«Ecco, signore… io… non so…»
Ma prima che potesse aggiungere
altro, Arthur Boronsky si chinò lentamente e, con labbra fredde, livide, grinzose,
la baciò sulla bocca.
Poi tornò a sedersi nella poltrona
e attese che la segretaria si riavesse dall’effetto dell’OSSUN C-138
Niente ricorderà di quel che è successo, si disse mentalmente, mentre io conserverò fino alla fine dei miei
giorni – pochi, purtroppo! –, la dolcezza infinita delle sue labbra morbide e
vellutate…. Oh! Avessi realmente trent’anni, cara signorina!
Bello, tenero e dolce il racconto di Paolo Secondini che descrive con parole gentili il desiderio atavico di non invecchiare mai.
RispondiEliminaL'impossibile tensione alla giovinezza coniugata con la sf in un racconto ben misurato.
RispondiEliminaAhhh... quando si dice che l'amore è una questione di chimica!
RispondiEliminaBel raccontino, Paolo.
Danilo Concas
Piacevole racconto, venato di sottile malinconia. Ormai sono anch'io nell'età in cui si gradirebbe bere un po' di quell'OSSUN C-138.
RispondiEliminaDove lo si può trovare?
Giuseppe Novellino
Non disperare, caro Giuseppe! Abbiamo mandato Philae a posarsi su una cometa distante da Terra cinquecentodieci milioni di chilometri (dico cinquecentodieci milioni!) e non siamo capaci di produrre l’OSSUN C-138?. Sarà una bazzecola, una quisquilia, una pinzillacchera!
RispondiEliminaGrazie a tutti dei commenti lusinghieri.
Piacevole stile, efficace racconto di sf.
RispondiEliminaG.S.