Seduto sotto il pergolato di una osteria di campagna
mangio pane e noci mentre osservo la morte dell’estate.
É una sera di settembre. Il sole arancione tramonta
dietro i campi di stoppie e davanti a questo spettacolo provo una profonda
tristezza e malinconia. Ogni anno nella stagione autunnale io provo questa
intensa sofferenza esistenziale.
Ci sono solo tre o quattro contadini silenziosi sotto
il pergolato di glicini perché fra poco sarà buio e freddo. Qualcuno, forse un
ubriaco, sta parlando da solo:
“Fin da giovane ho sempre avuto una grande passione...
ma la vita, le circostanze...”
Mi verso dell’altra birra per scacciare i pensieri
tetri e la solitudine. Molto tempo dopo la voce riprende roca e monotona:
“... Mi sono svegliato una mattina, e ho sentito che
qualcosa era cambiato. Fino a venti anni il tempo non passava mai. La vita era
lenta, le stagioni sembravano eterne e i giorni erano interminabili. Dopo i
venti anni il tempo ha cominciato a correre sempre più veloce...”
A questo punto alzo la testa verso i miei compagni. Ci
sono solo due o tre ombre adesso sotto il pergolato, nella luce fioca del
crepuscolo. Quello che ha parlato deve essere l’uomo grasso con il cappello
seduto vicino allo steccato del campo di bocce. Dopo una pausa l’uomo riprende
a borbottare:
“... A volte rivedo le scene della mia vita come
fossero dei flash... Il lavoro di bottega, il fidanzamento, il matrimonio...
Pensavo che gli eventi si sarebbero calmati, che forse avrei avuto maggior tempo...
Sbagliavo. I cambiamenti di lavoro, la casa nuova, il primo figlio... Allora la
vita è diventata un incendio, un turbine che gira, una mietitrebbia che macina
avvenimenti e anni...”
Gli altri contadini sono andati via tutti. Siamo
rimasti solo io e lui adesso, sotto il pergolato semibuio. La sera è diventata
umida e pesante. La luna sorge a est, rossa, sfocata e la voce riprende a
raccontare:
“... Avevo passato i quaranta anni quando arrivarono i
disaccordi in famiglia, la separazione... Gli anni saltavano come le
cavallette... Ora gli anni passavano a cinque alla volta, i mesi erano
settimane e i giorni erano ore. Quarantacinque, cinquanta, cinquantacinque
anni... Con questa corsa sarei volato verso la morte e il pensiero della morte
mi faceva paura...”
Adesso giro la testa e guardo l’uomo che ormai è
diventato una ombra nera. Dalle finestre illuminate provengono brusii misti a
tintinnii di bicchieri e provo forte l’impulso di entrare dentro all’osteria.
Ma resto seduto al mio posto ad ascoltare:
“Dovevo fare qualcosa. Capivo che il mio nemico era il
tempo. Dovevo trovare un mezzo per rallentare il tempo... Allora incominciai a
studiarlo. Lessi Dunne, Hinton, Zollner, Roberts... Scoprii che il tempo non è
costante né uniforme. Ci sono luoghi e momenti di tempo ritardato o anticipato.
Scoprii che il tempo ha anse, scatti, salti, pause... Arrivato a questo punto
ho trovato: la vecchia che balla...”
“Che cosa ha trovato?” gli chiedo.
L’uomo si alza barcollando e viene a sedersi al mio
tavolo.
“Oh. É solo un nome che io ho dato a questo fenomeno.”
Intanto è scesa la notte e incomincia a fare freddo.
La luna si alza nel cielo e diventa piccola e bianca. L’uomo è seduto vicino a
me adesso. Riprende a parlare e sento il suo alito che puzza di vino:
“Bisogna entrare nello stato di coscienza della quarta
dimensione per spostarsi nel tempo. Oppure entrare nella quinta dimensione per
uscire dal tempo. O nella sesta per attuare le varianti probabili... Io ho
quasi risolto questi problemi...”
Ancora una pausa. Nel buio sento il rumore di carta
spiegazzata. L’uomo sta estraendo dalla giacca un pacco di carte che dispiega
davanti a me.
“Guardi questo mandala. É lo psicogramma delle
percezioni temporali...”
Alla luce gialliccia che proviene dalle finestre vedo
tanti diagrammi che somigliano a una rete o a una gabbia curva. Ci sono tante
ellissi dentro linee a otto allungate e messe una nell’altra...
“Provi a scorrere le linee con lo sguardo aiutandosi
con un dito.”
Poiché esito, l’uomo prende la mia mano per posarmela
sulla carta. La sua è una mano grossa, rugosa e calda.
Con il dito percorro spirali, arabeschi, matasse di
ellissi... Il mio sguardo si immerge dentro vortici ellittici e gira, gira...
Talvolta mi sembra di intuire che il complesso disegno
è formato da schemi differenti e paralleli. Però tutte le volte che arrivo alle
intersezioni ritorno sempre sullo stesso percorso. Nell’ombra la voce dell’uomo
mi suggerisce:
“Lo so che cosa le sta succedendo. Resti calmo, senza
pensare. Per superarlo deve desiderare l’opposto di quello che vuole ottenere.”
Pazientemente ripeto ancora il percorso senza successo
e sto quasi per smettere.
All’improvviso succede qualcosa.
Il disegno si confonde. Mi sembra di percorrere
velocemente un corridoio all’indietro, con le immagini che rimpiccioliscono
davanti a me.
Poi davanti a me si fa buio. Ma lateralmente vedo
scorrere le immagini dei giorni passati. Quando mi sforzo di fissarle, queste
immagini rallentano. Contemporaneamente però l’alone di buio davanti si
allarga, fino a oscurare la visione. Non so quante volte si ripete questo
fenomeno...
Quando sollevo la testa mi trovo semisdraiato sul
piano del tavolo. Mi sento stordito con la testa che mi fa male.
Con grande fatica mi alzo e mi guardo intorno. Non c’è
più nessuno. L’osteria è chiusa, la luna è scomparsa. Sta per arrivare il
temporale e faccio ritorno a casa.
I giorni passano e io penso sempre ai discorsi di
quell’uomo.
Il tempo passa, la morte si avvicina. Devo affrettarmi
a ritrovare l’uomo grasso col cappello.
Forse a quest’ora lui avrà risolto completamente il
problema del tempo. Forse anche io potrò beneficiare della sua scoperta.
Un bel racconto di fantascienza da un maestro dell'horror.
RispondiEliminaRiconosco le atmosfere di Bissoli: più o meno rurali, fuori dal tempo, liminari.
RispondiEliminaBravissimo Sergio.
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