La stella era lì, di fronte
a lui, brillante nella sua minacciosa indifferenza.
Si voltò un attimo a
guardare quel contenitore blu, sorrise ad un pensiero strano; sospirò appena e
si sedette ai comandi. Spinse i motori al massimo e chiuse gli occhi.
Non gli riuscì di non
aver pensieri.
I giganti erano tutti
morti.
Poi vennero loro, figli del
fuoco, lividi e invidiosi, corrotti e corruttori, insegnarono agli uomini tutte
le loro discutibili virtù, promuovendo la feccia di ogni moto dell’animo.
Loro, i nani, anima flaccida e cuore spietato…
e la gente imparava allegra da loro la più facile delle lezioni…io io io , la mia libertà… di fare, di
non avere responsabilità e pudore, il diritto urlato ad ogni avventura purché
luccicante e spensierata.
Loro, i maestri della
filosofia dell’assenza, i predicatori del no al dolore, alla responsabilità,
all’infelicità… loro, i nani travestiti da uomini, i maestri del vuoto, che
avevano insegnato ad umani instupiditi da frivolezze e vanità cos’era il
cinismo e la disperazione permanente di non apparire giovani e belli; loro, i
maestri sciatti ed arroganti del non pensiero come valore, padroni di ogni
vita, invitavano ogni momento alla festa permanente, come fosse quella la
ricerca della felicità.
Stordirsi e divertirsi era
diventata la sola attività degli umani.
All’inizio offrirono caschi
neurosensoriali per poter sognare anche l’impossibile, per ogni loro capriccio,
poi capirono che non ne avevano più bisogno, bastava dare sfogo ai desideri più
superficiali degli umani, i più vitali, i più forti, quelli per cui ci si
affatica e ci si vende per nutrire la scimmia vanitosa che ci abita dentro.
Gli uomini…! darsi alle
occasioni, e le loro esistenze diventavano luminose, senza sapere che così
consumavano se stessi e la loro vita; darsi senza tenacia e facilmente era la
loro voluttà, come pure usare le persone: a questo li spingevano i nuovi
signori.
Con ogni pubblicità, con
ogni propaganda.
Vite svendute, centrate
sempre sull’autocelebrazione, consumate alla ricerca spasmodica e affannosa
della leggerezza e della felicità, senza accorgersi che tutto questo era già
programmato e comandato, quasi un obbligo risarcitorio della loro libertà
perduta e della loro dignità negata.
Umanità ballerina, pronta a
saltare su ogni carro del vincitore, rapace nel prendere, oscena nel concedere.
Di quella umanità ormai non
gli importava molto, perché sapeva che qualcuno lo avrebbe pianto, qualche
altro lo avrebbe bestemmiato, ma ai più la cosa avrebbe interessato poco o
niente.
Eppure al momento della
genesi aveva pianificato per loro quello che gli era sembrato il dono più
grande, la libertà, la capacità di scegliere…ed ora vivevano così, storditi e
immobili, imbellettati dalla frenesia del niente …
Avrebbe potuto atterrirli a
morte con appena uno dei suoi incubi di dio, ma perché avrebbe dovuto?, anche
quello sarebbe stato troppo poco, bastava soltanto che li mettesse di fronte
alla loro realtà, ben peggiore di qualunque suo incubo di viaggiatore dell’eternità.
O avrebbe potuto togliere
loro la capacità di capire l’abisso in cui erano sprofondati e lasciarli al
destino che avevano scelto.
Era stanco, voleva chiudere
gli occhi su quel progetto errato ed insensato di libertà, sapeva però di
essere il Guardiano, e il suo destino era assistere da fuori a quella storia.
Chiuse gli occhi, guardò
per l’ultima volta ciò che gli era stato consegnato perché ne fosse
l’osservatore…che orrenda cattiveria, pensò, affidargli in custodia quel mondo ! un
altro, più indifferente o feroce, avrebbe fatto di meglio.
Già, avrebbe potuto
distruggere il mondo intero, cancellare ogni bruttura, decise di cancellare
solo se stesso.
Strinse forte i comandi.
La stella era lì, rovente.
Bellissimo racconto, ben scritto, ben strutturato.
RispondiEliminaBello il racconto.
RispondiEliminaPiù che avvincente, direi interessante. Un racconto, basato su una lunga riflessione (un monologo interiore) sul mistero della creazione e della vita nell'universo. Una prova dai riferimenti fantateologici intrigante.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino