Forse
stavano lì per caso, ma si erano incontrati e si erano guardati
negli occhi o forse nell’anima.
Stavano
lì, fermi, da una parte e dall’altra del mare e si guardavano,
talvolta si salutavano agitando le braccia. E si dicevano cose,
gettavano al vento pensieri che aprivano a sorrisi dal sapore di
salsedine.
Le
sponde non separavano e Il mare sorrideva, sdraiato fra quelle terre,
mentre i due si parlavano, talvolta si sorridevano.
Era
dolce persino l’ansia dell’attesa, certo che qualcuno, dall’altra
parte, sarebbe venuto…
E
di là dal mare qualcuno veniva… a rischiarare la notte, a lacerare
le nebbie.
Poi
un giorno più nessuno, non parole non gesti non presenze.
E
di qua dal mare chi aspetta ancora guarda l’altra sponda. Per la
prima volta ne scopre la desolazione…nessuno verrà, nessuno a dire
parole…
E
impietrito comprende che il silenzio l’assenza l’orribile vuoto
sono l’unico modo di far capire, di non scoprirsi il cuore, di
indicare, in silenzio, le strade divergenti della vita…
Non
si sa bene perché il vento racconti ancora questa storia, mentre
copre di nulla il passato del pianeta morto Ohogon, e la polvere
scivola lenta, dissolvendo memorie, carezzando di continuo dune
ferite.
Ciao, Peppe. Altro bel racconto.
RispondiEliminaBel racconto breve ed emotivo, qualcosa sorprendentemente piacevole nella fantascienza.
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