mercoledì 5 marzo 2014

IL RITORNO DI AGNI di Paolo Durando



Ancora una volta tornerà il figlio delle due madri.
Preceduto dall’ariete, avrà due teste, i capelli ritti, quattro braccia; reggerà il ventaglio per alimentare le fiamme.
Io lo attenderò seduto su questa roccia, come sempre, ad una curva del sentiero che porta al villaggio. Da una parte il mio sguardo domina le mura, le torri antiche, dall’altra, su un verde pendio, una  casa di contadini. Una sottile nebbia d’autunno avvolge le cose. 
Avverto di essere destinato a conoscere questo momento in tutta la sua estensione.
Una giovane donna passa davanti a me, con un fascio di erbe sotto il braccio e si dirige verso l’abitato. Ha i capelli biondi, la pelle chiara. Mi guarda e il suo sorriso sin dall’inizio mi pare rammentare e, allo stesso tempo, presentire. La osservo allontanarsi decisa verso le mura.
Il tempo trascorre, si sentono suonare le campane ed io attendo nella mia solitudine. Poi una finestra, al secondo piano della vecchia casa, si chiude. Si vedono delle braccia  che sporgono verso le persiane. E’ il segno della fine della giornata.
E arriva Agni dal volto severo. Io brucio nella sua onnipresenza, insieme a tutto ciò che mi assedia. Avverto il venir meno di ogni mia intima consistenza. Bruciando, sprofondo in un nulla dove mi sparpaglio, dilapidandomi ignaro.
Poi il ciclo ricomincia. Sono di nuovo seduto sulla roccia sul ciglio della via.
In un certo senso mi ricordo e so. C’è un grumo di consapevolezza che non si scioglie. Di là le mura, le torri, di qui la casa di contadini. Ogni cosa si ripete, nella nebbia leggera. Una  ragazza passa davanti a me, con un fascio di erbe sotto il braccio, dirigendosi verso il villaggio.  Stavolta scorgo una maggiore lucidità nei suoi occhi, un anelito angosciato e nello stesso tempo speranzoso. Il suo sorriso rivela una storia di amore e voluttà. Mi guarda più a lungo. Poi la osservo mentre si allontana, fino a quando scompare oltre le mura. I minuti si accavallano, si sentono suonare le campane. Ed ecco, una finestra, sempre quella, nella vecchia casa, si chiude. Si intravedono le  braccia che si tendono verso le persiane. È il suggello del tramonto.
Agni divora il tempo, bruciando tutto nella sua onnipresenza. Sibilano voragini inaudite tra me e me, tra me ed il mondo che mi circonda, finché, dopo lunghe processioni di epoche, sono un’altra volta qui. Il tempo trascorso ha l’impronta dell’infinito ma anche dell’ infinitesimo. Di nuovo coincido con me stesso,  ricalco le mie orme. Ogni cosa si ripete. Eternamente seduto su questa roccia, vedo il villaggio immerso in una nebbia senza presente. La giovane cammina  ritrovando esattamente i suoi passi di allora. Tutto ritorna alla verifica del mio sguardo, della mia comprensione.
Adesso però lei si ferma. I suoi occhi chiari non mi sfiorano soltanto. È lì davanti a me, immobile, mi guarda e mi sorride. Quel sorriso ha un altro spessore. Non c’è contraddizione, perché tutto è inesorabilmente qui, ora. Questo suo fermarsi annulla ogni suo precedente, imperterrito procedere. La finestra della vecchia casa si richiude mentre suonano le campane.
E di nuovo ritorna Agni. Sono sempre più tranquillo ad accoglierlo. Non ho paura dei suoi capelli protesi come le fiamme che nutre e non mi induce alla fuga l’agitarsi delle sue braccia. L’ariete che lo guida è solo un segno, nulla più. Agni ha viaggiato ed io vado dissolvendomi nei suoi e miei abissi. Ma dopo inesauribili millenni che sono solo un istante io mi ritrovo qui, presso la curva di un sentiero.
Ho vicino il villaggio, le sue torri, vedo la  nebbiolina che sale dietro le mura. La vecchia casa di contadini appare silenziosa e intima laggiù in mezzo al verde. E lei riappare, si avvicina a me, gioviale, col suo fascio di erbe.  Si ferma, mi sorride.
Era stato così in un altro tempo, è così ora, com’era inevitabile. Ma non è la stessa acqua che passa in questo mio fiume.  Accade che posa il fascio di erbe.
Si è avveduta di un ricordo che l’aveva colta innumerevoli ere fa. Tutto si ripete e nulla si ripete.
Ha posato il fascio di erbe ed io sorrido a mia volta, le porgo la mano.  Forse avrebbe dovuto già accadere. Non eravamo pronti, allora. 
Ogni cosa sta andando  al suo posto. Le campane suonano, le braccia sporgono dalla finestra che viene chiusa.
È il ristabilimento. Questo frangente realizza tutti gli altri, che più non sono. Ce ne andiamo insieme, mano nella mano, verso una felicità intuita nei secoli dei secoli.
Ma tornerà Agni.

4 commenti:

  1. Oh, finalmente dopo giorni tremendamente incasinati è bello tornare ed essere accolti da un romanzo così piacevole. Complimenti Paolo

    RispondiElimina
  2. Suggestiva narrazione, piena di malinconia. Mi è piaciuto il linguaggio che si presenta come un valido supporto per questa immagine che veicola il senso del ciclico e dell'infinito.

    Giuseppe Novellino

    RispondiElimina
  3. Bel racconto ciclico di grande atmosfera, poetico e inquietante, bravissimo!

    RispondiElimina