Con sollievo, con umiliazione, con terrore, comprese che era anche lui una
parvenza, che un altro lo stava sognando.
Le lettere gli ballavano
davanti agli occhi, si tolse stancamente gli occhiali e si massaggiò le tempie:
forse era ora di dormire. Eppure non se la sentiva di consumare nel sonno il
tempo che gli restava.
Già, quanto tempo gli restava prima che lo
scoprissero? il mondo era diventato un bolgia pazzesca... Europa e Russia si
erano frantumate in una miriade di staterelli a base pseudo-etnica o appena
dialettale, la Cina aveva letteralmente comprato gli Usa, e
dovunque proliferavano feroci dittature militari o labili e plebiscitarie
democrazie televisive: chi poteva si era costruito un bunker, altri erano
fuggiti verso luoghi inospitali e selvaggi; lui era semplicemente rimasto nella
sua stanza, tanto, pensava, che può accadermi di peggiore della
vecchiaia? e aveva ripreso la sua vecchia abitudine di leggere.
Pochi libri gli erano
rimasti, celati alla polizia, sfuggiti con cura alla Grande Distruzione (the Big Bonfire, lo avevano chiamato i
nuovi sanfedisti) in un estremo ed unico suo atto di ribellione, tanto per
dirsi che era vivo e libero di decidere.
Con una punta di meraviglia
si era accorto di una sua lieve, quotidiana mania: leggeva e rileggeva sempre
lo stesso racconto.
Ricordava vagamente che
anche Descartes e Spinoza forse avevano avuto pensieri simili, ma gli autori
che consumava di più erano Lope de Vega e Borges: l'idea che lo affascinava era,
in quel tempo miserabile e faticoso, molto consolante, cioè che niente
esistesse realmente, che tutto fosse un sogno.
Sì, lo spagnolo aveva detto
che la vita è sogno, e l'argentino cieco gli aveva risposto che era il sogno di
un dio.
Gli piaceva l'idea di
essere quel sogno, andare lungo il fiume degli anni senza memorie e senza
dolore, anche se qualcosa lo inquietava, perché le poche volte che ricordava i suoi sogni, sentiva con asprezza la pena
e l'orrore di scoprire che quel sollievo era solo un sogno: fortunatamente,
però, poi, ogni mattina, il rito del caffè d'orzo e il dolore alla schiena gli
davano la piacevole certezza di essere vivo e reale. Comunque, in cuor suo, gli
sembrava bello e importante sentirsi finalmente qualcuno, essere il sogno di un
dio....
Stupidate di vecchio, pensò, che tenta di resistere agli
anni con una testardaggine quasi infantile. Guardò la muffa che si era formata
agli angoli della stanza, spense la candela e spostò il cartone che sostituiva
i vetri della finestra.
Volse gli occhi sulla
strada e verso l'orizzonte: lì, dove una fila di case basse permetteva lo
sguardo, si levava ogni tanto un bagliore, ma la città era nera, nera di
desolazione e di odio, non solo per la mancanza di luci. Sorrise fra sé
pensando al mondo roboante di vetrine e di gente scintillante che aveva
conosciuto in gioventù: alles gestorben,
sentenziò sommessamente, tutto morto.
Finito.
Rimise con cura il cartone
e strascicando le pantofole si avvicinò lentamente al tavolo. Tastò un po',
aprì un piccolo involucro e tirò fuori qualcosa che una volta doveva essere
commestibile.
Si sedette, accese di nuovo
la candela: i suoi libri stavano lì, come a guardarlo, come a dirgli che
provavano pena per l'umanità che gli era rimasta.
Inforcò gli occhiali ed
aprì quelle pagine che sapeva a memoria...il dio del fuoco faceva un dono, ma
voleva essere pagato. Forse ogni dio,
pensò, vuole essere pagato per i suoi
doni, quando ve ne sono.
Beveva le parole come un
respiro fresco, si sentiva a mano a mano in un benessere ovattato, soddisfatto
in ogni sua fibra. Pensò di essere in un posto pieno di luce, pensò che era
meraviglioso quel posto ed aprì gli occhi: di fronte a lui non c'era nulla, né
luce né buio, né oggetti né le sue mani. Il suo corpo non c'era né altro, solo
la sua disperazione...così ci si sente,
rifletté, quando il risveglio ci scopre
coi suoi artigli di verità. Eppure
avrebbe davvero voluto sognare come il viaggiatore dell'argentino, non avere
ricordi né pene. Sognare un suo mondo, quasi una nuova creazione...sognare come
sogna dio, magari anche sognando in quel mondo di essere il sogno di dio.
Poi, quasi all'improvviso, capì
Borges e ne scoprì l'orrore...l'orrore e il dolore di non esistere se non come
un sogno. Si tolse gli occhiali, poggiò la fronte sulle mani strette a pugno.
Sentì dei rumori sul
pianerottolo, grida confuse ed aspre, lo schiocco rauco di uno sparo: non si
voltò neppure. Con ironia, con rassegnata amarezza si disse che lui, e il
mondo, e tutto erano solo il pensiero distratto di un dio infingardo e
cialtrone. O forse il suo incubo peggiore.
Un colpo alla sua porta che
cedette di schianto, il suo ultimo singulto di sopravvivenza: sogno o realtà, i lupi che ci divorano sono
sempre affamati; stanno urlando, tornano, anche se le prede sono tutte morte. Tornano, hanno sempre fame.
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