L’avrebbero crocifisso allo spuntare
del nuovo giorno. Questo era riuscito a capire, durante quella specie di seduta
giudiziaria. L’uomo, avvolto in una toga dai colori spenti, doveva essere una
specie di governatore; aveva emesso la sentenza, agitando il pollice all’ingiù,
senza la minima esitazione.
Non lo avevano incatenato ma non poteva in
alcun modo fuggire. Due soldati di guardia se ne stavano seduti oltre la grata
brunita e giocavano a dadi.
Nella cella c’erano altri tre disgraziati
che attendevano il supplizio. Aveva provato a comunicare con loro, ma senza
risultato. Uno di essi si trovava in carcere da qualche tempo.
Ciò che gli stava capitando era
incredibile, ma vero, come vero era quel suo corpo sul cui petto ora passava la
mano sudaticcia.
Aveva parcheggiato la macchina nello
spiazzo sterrato ed era sceso lungo la scarpata fiorita di ginestre. L’idea era
quella di fotografare l’antica colonna ionica, ultimo resto di un tempietto
solitario. Durante quella vacanza dai toni culturali, non si era lasciato
sfuggire nulla: fino a quel momento aveva esaminato e fotografato ogni piccolo
reperto.
Ad un tratto era scivolato, ruzzolando tra
i cespugli. E quando si era rialzato, la colonna non appariva più solitaria, ma
affiancata da altre simili, intorno a una specie di cortiletto lastricato. Poi
gli si erano avvicinati i due individui, ansanti, sudati e sporchi. Uno dei due
impugnava una spada corta. Nello stesso tempo, accompagnati da un clangore e da
un nugolo di polvere, erano comparsi i militi appiedati, simili a quelli che
era abituato a vedere nei film in technicolor. Solo che non si comportavano
secondo un copione cinematografico, non erano comparse che si muovevano davanti
alla macchina da presa; i loro modi brutali erano del tutto spontanei.
Li avevano circondati. Il tizio con lo
spadino aveva tentato di resistere, ma era stato ferito all’avambraccio da un
colpo di lancia. E mentre li legavano, lui aveva cercato di protestare, dicendo
che era un semplice turista italiano in cerca di reperti antichi e che doveva
rientrare in albergo per l’ora di cena. Si era beccato solo delle percosse.
Gli venne in mente lo smartphone.
Ma a che poteva servirgli?
Se proprio doveva essere caduto in una
falla dimensionale, oppure era andato indietro nel tempo (assurdo, decisamente
assurdo, ma certo come la morte) a che cosa poteva servirgli il cellulare?
Lo sfilò dal taschino laterale dei
pantaloncini corti e se lo rigirò tra le mani.
Un rumore venne dal vano adiacente, oltre
la pesante grata di ferro. Uno dei soldati si levò in piedi, stiracchiandosi.
Disse qualcosa in direzione della porta di legno massiccio che si aprì
cigolando. Comparve un individuo che indossava una corta tunica di ruvido
panno. Scambiò alcune parole con la guardia, che poi lo seguì oltre la soglia.
Accese lo smartphone, entrò nella rubrica
e selezionò meccanicamente il numero di Sonia.
- Dove cazzo ti sei cacciato? – disse la
voce familiare della moglie.
Per poco l’apparecchio non gli sfuggì di
mano. - Sei tu…
- Chi vuoi che sia, Monica Bellucci? Ti
devi accontentare della tua mogliettina, cocco!
Uno dei tre prigionieri, accovacciato
sopra un mucchietto di paglia umida, cominciava a lamentarsi. Era quello ferito
all’avambraccio e se lo teneva stretto contro il ventre.
- Non sai in che cazzo di pasticcio mi
sono messo. – Poi ebbe una specie di lampo: - Forse sono capitato sul set di un
film in costume, cara, non lo so. – Indossava solo un paio di sandali da frate
e calzoncini corti. Quindi, così a torso nudo, appariva un po’ simile ai tre
tizi che condividevano adesso lo stato di prigionieri, anch’essi scoperti fino
alla cintola, con sandali, quelli sì d’epoca. Ma la mancanza di macchinari da
ripresa mise in fuga quella sua debole speranza.
- Tu giochi al cinema, mentre io sono qui
ad aspettarti per scendere a cena. Lo sai che in questo ambiente ci sono gli
squali, che se vedono una donna sola…
- Se potessi, verrei subito.
- Come sarebbe a dire “se potessi”?
- Sono in una specie di carcere.
- Se è solo una specie, vieni fuori di lì
e precipitati in albergo.
- Fosse facile!
- Vuoi che venga io a prenderti?
- Domani mattina mi crocifiggono.
- Ti crocifiggo io, Tony, se non mi
raggiungi immediatamente. – Poi interruppe la comunicazione.
Uno dei prigionieri si era assopito.
Quello ferito, invece, pensava al suo male. Il terzo guardò Tony con aria
interrogativa, gettando occhiate di meraviglia allo smartphone.
- No – disse Tony, - mi sa proprio che
questo oggetto sia del tutto al di là delle tue capacità di comprensione.
Una delle sentinelle intimò il silenzio.
Poi rientrò il collega con un secchio di legno, pieno di una specie di brodaglia. Era
probabilmente tutto ciò che spettava ai prigionieri, prima dell’esecuzione.
Dovevano essere già calate le tenebre. Il
caldo e l’umidità ostacolavano la respirazione. E mentre trascorreva il tempo,
la mente di Tony si mise a lavorare.
Che cosa gli era successo in realtà? Tutto
sembrava, tranne uno scherzo. Doveva dunque ammettere di essere piombato in un
passato assai remoto, in quello stesso luogo situato sulle coste meridionali
della Turchia, dove si era recato in vacanza con la moglie? Ma si rese conto
che era inutile arrovellarsi. Le cose erano andate così, punto e a capo.
L’unica domanda che poteva porsi era sul perché il telefonino lo manteneva in
contatto con la moglie.
Riprese in mano l’apparecchio e selezionò
ancora il numero della moglie. Niente, questa volta. Nessun suono, solo una
specie di ronzio, come quello che si sente mettendo una conchiglia
all’orecchio.
L’uomo gli si avvicinò carponi. Aveva
una faccia intelligente, era magro e puzzava. Borbottò qualcosa del tutto
incomprensibile.
Tony si accorse che era attirato dallo
smartphone. Cercò un’immagine (era una foto con Sonia in costume da bagno) e
glielo mise davanti agli occhi. Quello fece un balzo all’indietro.
Ecco cosa doveva fare: usare il suo
cellulare dell’ultima generazione per salvarsi la vita. Se impressionava il
compagno prigioniero, avrebbe colpito anche le guardia e le autorità che lo
avevano condannato a morte. Forse l’avrebbero preso per una dio… o
semplicemente per uno stregone. Tanto valeva tentare.
Si avvicinò alla grata e chiamò una delle
sentinelle. L’altra si era addormentata.
- Guarda qui – disse. – Che ne dici?
Il display luccicava e la “Piccola musica
notturna” di Mozart si diffuse in quell’antro oscuro e umido.
Il milite indietreggiò, sgranando tanto
d’occhi.
- Funziona! – gridò Tony con esultanza.
Poi, rivolto al soldato: - Vedi quali poteri mi ritrovo, citrullo? Su, apri
questa dannata grata e lasciami andare. Altrimenti…
Le parole gli morirono in gola. L’altro si
era destato di soprassalto e si era precipitato alla grata, colpendola
ripetutamente con una specie di manganello e intimando il silenzio.
- Okay, okay – fece Tony, un passo
indietro.
Doveva essere l’alba. Un tenue chiarore
filtrava da un pertugio nel soffitto, sopra la testa delle sentinelle.
Era passato del tempo, durante il quale si
era un po’ assopito.
Adesso ricordava che era riuscito a
comunicare con il prigioniero che gli aveva dedicato una certa curiosità.
Quello gli era stato vicino e aveva perfino toccato lo smartphone, con mano
tremante. Gli altri due erano rimasti del tutto indifferenti: il ferito
abbandonato al suo dolore, l’altro (il veterano del carcere) chiuso in se
stesso come un’ostrica. Probabilmente, aveva pensato Tony, era del tutto
assorto nella contemplazione di ciò che gli sarebbe toccato di lì a poche ore.
Solo lui, Tony, e il terzo individuo riuscivano a distrarsi, quest’ultimo vinto
dalla curiosità. Tony non dava del tutto scontata la sua fine, per il semplice
motivo che se era vissuto nel XXI secolo, non poteva finire crocifisso duemila
anni prima. Qualcosa gli diceva che la situazione era del tutto improbabile.
Inoltre aveva per le mani un gioiello della più recente tecnologia, al quale
continuava ad attribuire poteri taumaturgici.
Poi vennero a prenderli.
Li trascinarono in un cortile. Il ferito e
il prigioniero veterano erano docili e apparivano rassegnati. L’altro si
divincolava e gridava qualcosa, indicando Tony.
Tony
cercò di estrarre lo smartphone, ma non fece in tempo. Due carnefici lo avevano
preso per le braccia e ora gliele stavano legando a un palo, posato
orizzontalmente sopra le sue spalle.
- Ehi… no, lasciatemi… Guardate cosa ho in
tasca! – Poi si accorse che il telefonino gli era scivolato a terra e ora
giaceva nella polvere, calpestato dagli aguzzini. Si lasciò cadere sulle
ginocchia, indicando con lo sguardo l’apparecchio. A suon di frustate fu
costretto a rialzarsi.
- Lo smartphone… lo smartphone… - continuava a ripetere,
mentre lo conducevano sul luogo dell’esecuzione. Il sudore gli colava negli
occhi e glieli faceva bruciare. Quella specie di traversina gravava sulle
spalle, producendogli improvvise fitte alla cervicale.
Cercò di attirare l’attenzione dei
passanti che si fermavano a guardare i quattro disgraziati condotti al
supplizio, poi provò ad avvicinarsi al cavallo del centurione. Ma si prese una
staffilata che lo fece cadere.
In lontananza vide ergersi i lugubri pali
contro l’orizzonte marino.
E pensò a voce alta:
- Chissà cosa dirà mia moglie, fra duemila
anni, non trovandomi in albergo, nel letto, al suo fianco…
Bellissimo racconto dell'amico Giuseppe.
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