giovedì 10 settembre 2015

R. P. di Peppe Murro






Si guardava intorno come chi ha smarrito ogni capacità di orientarsi, come a tentare di trovare qualcosa che desse senso al grigio che sentiva dentro, ma non trovava punti di riferimento né attorno né dentro la sua anima. Si era perso, pensò con tristezza e terrore.
 Restò immobile, forse per capacitarsi di quanto gli accadeva e piano, con inesausta lentezza sentì crescergli un dolore nel petto. Strinse gli occhi, portò le mani al cuore quasi a dirgli "non fermarti, non ora". E respirò forte come per  trarre forza dai polmoni pieni.
Guardò intorno quella nebbia che sembrava lo cingesse in un abbraccio di umido mistero, cercò lì se stesso, le parole non dette, gli affetti rifiutati; cercò in quel biancore anche i suoi errori, ma gli sembrò che stesse guardando ogni cosa con occhi bianchi di cieco.
Provò ad alzare lo sguardo per vedere se c'era un cielo, non vide nulla. Non riusciva neppure a rendersi conto se il suo era un viaggio e quali erano le ragioni.
Nulla, non sapeva nulla; si rendeva conto solo che era lì, perso in quel grumo d'ovatta che sembrava quasi entrargli dentro, piano, con studiata lentezza.
 Provò anche a ricordare, ma né un nome né amici né incontri, sembrava quasi che lui fosse senza storia. Gli si rimescolava dentro appena un vago malessere come per cose incompiute.
Forse per questo ebbe paura, forse per questo lo prese l'angoscia di non riuscire a definire se quella situazione era un sogno o fosse reale, se era momentanea o definitiva: dove stava? e perché?
Aveva voglia di piangere, ma non sentiva lacrime.
Si accartocciò su se stesso, ripiegato come in ginocchio, forse gridò la sua disperazione contro tutto quello che lo sovrastava senza risposte.
Cercò la calma per pensare, cercò nella nebbia e in se stesso.
 Fu allora che affiorarono i ricordi come una piena, e lo travolse il gusto agrodolce di tutte le cose che aveva vissuto: gli incontri, le piccole cattiverie, gli affetti carezzati...persino i suoi pomeriggi a sfiorare i tasti del pianoforte, con la musica come amante.
E ricordò la fitta acuta al petto, i pensieri che si smarrivano con l'ultimo respiro.
Seppe così che era morto, come per una burrasca improvvisa in un giorno d'estate.
 Ne fu quasi sollevato: ora sapeva.
 E si accorse che non era la morte a dargli dolore, ma la vita incompleta, tutte le cose che avrebbe voluto finire ed erano invece rimaste lì, a segnare la fragilità del suo cuore. 

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