Si guardava
intorno come chi ha smarrito ogni capacità di orientarsi, come a tentare di
trovare qualcosa che desse senso al grigio che sentiva dentro, ma non trovava
punti di riferimento né attorno né dentro la sua anima. Si era perso, pensò con
tristezza e terrore.
Restò immobile, forse per capacitarsi di
quanto gli accadeva e piano, con inesausta lentezza sentì crescergli un dolore
nel petto. Strinse gli occhi, portò le mani al cuore quasi a dirgli "non fermarti, non ora". E respirò forte
come per trarre forza dai polmoni pieni.
Guardò intorno
quella nebbia che sembrava lo cingesse in un abbraccio di umido mistero, cercò
lì se stesso, le parole non dette, gli affetti rifiutati; cercò in quel
biancore anche i suoi errori, ma gli sembrò che stesse guardando ogni cosa con
occhi bianchi di cieco.
Provò ad alzare
lo sguardo per vedere se c'era un cielo, non vide nulla. Non riusciva neppure a
rendersi conto se il suo era un viaggio e quali erano le ragioni.
Nulla, non
sapeva nulla; si rendeva conto solo che era lì, perso in quel grumo d'ovatta
che sembrava quasi entrargli dentro, piano, con studiata lentezza.
Provò anche a ricordare, ma né un nome né
amici né incontri, sembrava quasi che lui fosse senza storia. Gli si
rimescolava dentro appena un vago malessere come per cose incompiute.
Forse per questo
ebbe paura, forse per questo lo prese l'angoscia di non riuscire a definire se
quella situazione era un sogno o fosse reale, se era momentanea o definitiva:
dove stava? e perché?
Aveva voglia di
piangere, ma non sentiva lacrime.
Si accartocciò
su se stesso, ripiegato come in ginocchio, forse gridò la sua disperazione
contro tutto quello che lo sovrastava senza risposte.
Cercò la calma
per pensare, cercò nella nebbia e in se stesso.
Fu allora che
affiorarono i ricordi come una piena, e lo travolse il gusto agrodolce di tutte
le cose che aveva vissuto: gli incontri, le piccole cattiverie, gli affetti
carezzati...persino i suoi pomeriggi a sfiorare i tasti del pianoforte, con la
musica come amante.
E ricordò la
fitta acuta al petto, i pensieri che si smarrivano con l'ultimo respiro.
Seppe così che
era morto, come per una burrasca improvvisa in un giorno d'estate.
Ne fu quasi sollevato: ora sapeva.
E si accorse che non era la morte a dargli dolore,
ma la vita incompleta, tutte le cose che avrebbe voluto finire ed erano invece
rimaste lì, a segnare la fragilità del suo cuore.
Come sempre bella narrativa quella dell'amico Peppe.
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