La foschia si stava alzando e
avvolgeva tutto ciò che incontrava sulla sua strada, ma quella non era certo
una novità. Sull’isola di Kalhos tutto era sempre avvolto dalla nebbia, e la
luce del giorno riusciva a dissipare le tenebre e la nebbia solo per poche ore
durante il giorno.
Avrebbe tanto voluto lasciare quel posto, pensò
Ineka arricciando le labbra e guardando fuori dalla finestra della sua camera.
Era quasi il tramonto. Un’altra giornata stava
per concludersi, sempre uguale a tutte le altre. Mai un cambiamento nella sua
vita, mai un’emozione. Ancora pochi istanti e poi anche la sagoma dell’isola di
Oxia sarebbe scomparsa nel nulla. Basta! Ne aveva abbastanza di vivere lì, si disse
determinata a mettere in atto il suo piano di fuga il prima possibile. Non
aveva avuto il coraggio di parlarne con nessuno perchè era certa che non
sarebbe stata compresa. Tutti gli altri ragazzi e ragazze che vivevano con lei
nell’orfanotrofio dov’era cresciuta sembravano trovare quel posto incantevole.
In effetti Menodora e Georgos non le avevano mai fatto mancare nulla, sia dal
punto di vista affettivo che pratico. Con i ragazzi erano sempre tutti molto
gentili, compresi i dipendenti che lavoravano all’interno del grande edificio
che somigliava a una versione ridotta del tempio di Artemide di Corfù. Ineka ne
aveva vista un’immagine sul suo libro di storia dell’arte e si era messa a
ridere pensando che la casa che Menodora e Georgos avevano fatto costruire per
accogliere degli orfani fosse una specie di santuario. Tutti i suoi ricordi
erano legati a Kalhos e a quella scuola,
quindi dava per scontato di essere stata portata sull’isola appena nata
e adesso, anche se lo desiderava con tutto il cuore, non sapeva come fare per
lasciarla.
Menodora era una donna molto dolce e premurosa,
dall’aspetto delicato e non perdeva quasi mai la calma. Suo marito Georgos
invece era un uomo grande e grosso, dai lineamenti marcati, la carnagione
olivastra e l’espressione perennemente imbronciata. Si compensavano, si
aiutavano e, anche se il loro modo di approcciarsi con i ragazzi era
completamente diverso, su una cosa erano d’accordo: nessuno doveva lasciare la
casa dopo il tramonto. Un’altra regola era quella di non lasciare l’isola mai,
per nessun motivo e d’altronde i ragazzi non ne avevano neppure la possibilità.
Sull’isola di Kalhos, Menodora e Georgos
avevano fatto in modo di costruire tutto ciò che ai ragazzi sarebbe potuto servire
e piacere. Attorno all’istituto i contadini coltivavano i campi e i
sorveglianti si assicuravano che nessuno degli ospiti della casa uscisse di
sera o si avvicinasse troppo al bosco. Se i ragazzi avevano bisogno di qualcosa
dovevano stilare una lista e, una volta al mese Georgos, con alcuni dipendenti
dell’orfanotrofio prendevano la lancia e andavano a Patrasso per fare
rifornimenti.
Un giorno o l’altro sarebbe sgattaiolata fuori
di nascosto, si sarebbe nascosta sulla lancia e una volta raggiunto Patrasso se
ne sarebbe andata per la sua strada e avrebbe iniziato una nuova vita, si disse
la giovane mentre con un sorriso accarezzava quell’idea che ormai faceva
capolino nella sua mente sempre più spesso.
Il suono della campanella la distolse dai suoi
pensieri. Era ora di cena ed era regola della scuola che le ragazze si
presentassero in ordine, con la divisa blu e con i capelli raccolti. Ineka
lisciò la gonna, si mise un velo di lucida labbra e sistemò con le forcine le
ciocche ribelli che erano sfuggite dalla coda di cavallo. Era una ragazza
affascinante, o per lo meno così l’avevano sempre definita i compagni maschi,
seppur la sua bellezza non si potesse definire convenzionale. Era alta,
slanciata e aveva curve generose. Aveva i capelli neri, lucidi e lunghi fino
alla vita che erano il suo orgoglio. Non li aveva mai tagliati e, anche quando
Menodora insisteva per farglieli spuntare, Ineka sorvegliava come un falco la
parrucchiera perché non andasse oltre al centimetro consentito. Aveva grandi
occhi neri, talmente scuri che l’iride e la pupilla sembravano fondersi
insieme. Aveva qualche ammiratore, ma lei non era molto interessata ai maschi.
Le avevano raccontato le insegnati che era capitato che alcuni ragazzi della
scuola si fidanzassero tra di loro e poi finissero per sposarsi, ma era un’ipotesi
che lei escludeva a priori. Non avrebbe mai sposato uno che conosceva fin da
quando usava ancora i pannolini. Lei voleva uscire da quel gruppo ristretto,
conoscere un rockettaro, andare a vivere negli Stati Uniti, mangiare hamburger
seduta su una panchina di Central Park e dimenticarsi per sempre di essere
stata in quel pesto.
Stava ancora rimuginando su quelle fantasie
quando raggiunse la sala da pranzo e lo sguardo severo di Georgos la fece
tornare bruscamente con i piedi per terra.
Lei ormai era una senior e andò a sedersi al
tavolo dei ragazzi più grandi. In fondo, a capotavola, Menodora stava
chiacchierando con alcune sue compagne, mentre Georgos, seduto al tavolo dei
bambini più piccoli li teneva sotto stretta osservazione e gli bastava uno sguardo
per sedare capricci o comportamenti non consoni.
Fu una cena tranquilla, come sempre, ma quando
fu il momento di andare a ritirarsi nella propria stanza Ineka venne avvicinata
da una compagna con cui aveva sempre parlato poco: Theodosia.
- Hai la tipica faccia di quella che vuole
scappare – le disse avvicinandole le labbra all’orecchio e facendole gomitino.
Ineka rimase impietrita da quell’affermazione.
Se era così evidente per una che la conosceva appena chissà da quanto tempo
Menodora e Georgos si erano accorti di questa sua esigenza, pensò abbassando lo
sguardo.
- Questi non sono affari tuoi, Teho – le
rispose.
- Io non la penso nello stesso modo. Anch’io me
ne voglio andare da qui e ho anche un piano, ma ho bisogno del tuo aiuto.
- Che intendi? Cosa vuoi da me?
- Devi lasciarmi usare la tua stanza per
scappare.
- Dico, sei matta? È vero che la mia camera è
quella più vicina al muro di cinta e alla cancellata, ma è anche al terzo
piano. Ti ammazzeresti se cercassi di saltare dal balcone.
- Non ti preoccupare. Ho i miei metodi. Se vuoi
puoi unirti a me…. Avanti, Ineka, non fare la preziosa. So che muori dalla
voglia di scavalcare quel muro e lasciare questa schifosissima isola. Io ti
posso aiutare e tu, puoi dare una mano a me.
Ineka rimase a riflettere per qualche istante,
poi si rese conto che la compagna aveva ragione, peggio di così non sarebbe
potuta andare, quindi tanto valeva fare un tentativo, anche se non aveva
proprio idea di come sarebbero riuscire a saltare dal balcone e poi a
scavalcare una cancellata in ferro alta quasi sei metri, o il muro di cinta con
sopra il filo spinato. A pensarci bene, dalle precauzioni che avevano preso i
direttori quello sembrava più un carcere minorile che una scuola.
- Ok, ti aspetto nella mia stanza verso le undici,
così saremo sicure che tutti staranno già dormendo e Menodora e Georgos saranno
nel loro cottage in fondo al cortile.
Ineka era in piedi sul cornicione e guardava in
basso. Sentiva un forte senso di nausea alla bocca dello stomaco, mentre Theodosia
sorrideva, le teneva la mano e le diceva di non avere paura.
- No, tu sei tutta matta! Io non salterò… –
borbottò Ineka con voce tremante, ma la compagna le strinse più forte la mano e
saltò nel vuoto tirandosela dietro.
Ineka stava urlando mentre precipitava
velocemente verso il basso, ma dalle sue labbra non usciva nessun suono. Anche
Theo rideva a crepapelle e la sua risata era silenziosa, muta.
Quando furono a poco meno di mezzo metro la loro
corsa si arrestò e iniziarono a fluttuare leggere e delicate fino a quando
posarono i piedi sull’erba.
Ineka fissava trasecolata la compagna senza
capire cosa stesse succedendo. Theodosia portò l’indice alle labbra per farle
capire che doveva solo tacere e fidarsi. Le avrebbe spiegato tutto, ma più
tardi.
Tenendola sempre ben salda per il polso Theo si
mise a correre e Ineka la seguì. Erano agili e veloci e nel giro di pochi
secondi raggiunsero la cinta. Teho si voltò per qualche istante a guardare
l’istituto, alzò il dito medio e sorrise prima scavalcare la cinta con un
balzo. Quando fu dall’altra parte fece segno a Ineka di imitarla.
- Ma non posso…. Io…. Non sono capace… –
sussurrò intimorita.
- Ce la puoi fare. Tu sei una kallikantzaroi.
- Cosa?
- Vuoi
davvero sapere chi sei? E allora fidati di me e fa’ come ti ho detto. Conterò
fino a dieci, se poi non sarai da questa parte io me ne andrò e tu dovrai
tornare al dormitorio da sola – la minacciò Theo con aria determinata.
Ineka sollevò lo sguardo e rimase a fissare per
qualche secondo le minacciose punte del filo spinato. Poi spostò lo sguardo per
cercare di capire se sarebbe stato più facile saltare la cancellata come aveva
fatto Theodosia, ma anche le acuminate sagomature le incutevano una certa
ansia.
- Sei… sette… non hai molto tempo…ot…
Ineka chiuse gli occhi, serrò i pugni, chiuse
gli occhi e saltò. Sentì il suo corpo vincere la forza di gravità come se sulla
schiena le fossero spuntate delle ali invisibile. Aprì gli occhi e iniziò a
mulinare le braccia e le gambe come se stesse nuotando. Voleva spostarsi il più
possibile dalla cancella per timore di
ricadergli sopra e restare infilzata. Quando atterrò si rese conto di essere a
quasi tre metri di distanza.
Theodosia la fissava sorridente e le stava
battendo le mani.
- Brava la mia ragazza. Adesso però ci dobbiamo
sbrigare – le disse e voltandole le spalle iniziò a correre verso la foresta.
Ineka la seguì. Stavano capitandole un sacco di cose strane, ma adesso, che era
a un passo dalla libertà non era il caso di fermarsi a discutere. Non fino a
quando fossero state in salvo, per lo meno.
Nel giro di pochi minuti raggiunsero il centro
del bosco e Ineka seguì Theodosia che entrò con aria sicura all’interno di una
caverna. Era ovvio che la ragazza ci fosse già stata in passato, pensò Ineka,
poiché la grotta era riparata dalla vegetazione e non era facile scorgerla a
meno che uno fosse a conoscenza della sua esistenza. Theodosia camminava
disinvolta come se quella fosse stata per lei una seconda casa, ma forse lo
era, si rese conto Ineka non appena raggiunsero una specie di stanza. Al centro
c’erano dei massi piatti disposti a cerchio. Sembravano quasi delle poltrone in
miniatura.
Le ragazze si misero sedute e rimasero a
fissarsi negli occhi per alcuni istanti. Ineka, aveva una miriade di domande
che le balenavano in testa, ma era così confusa che non sapeva da dove
cominciare e poi, aveva bisogno di qualche istante per riprendere fiato.
- Siete delle kallikantzaroi – disse una voce di
uomo rispondendo alla prima domanda che Ineka aveva in testa. La ragazza si voltò
e si trovò faccia a faccia con un bellissimo uomo sulla trentina. Proprio come
lei era incredibilmente alto e aveva grandi occhi neri su un volto spigoloso e
serio. –Anzi forse dovrei dire che siamo dei kallikantzaroi, dato che anch’io
faccio parte della categoria.
- Io… ecco… non so…
- Oh, non ti preoccupare, Ineka – la rassicurò
la compagna. –Fino a un paio di mesi fa’ neppure io sapevo di appartenere a
questa casta.
- Non capisco. Cosa saremmo esattamente?
- Forse non è la definizione più azzeccata, ma
ci hanno sempre considerato dei folletti – confermò l’uomo accennando un
sorriso. –A proposito io sono Nesios.
- Ineka – rispose la ragazza allungandogli la
mano. Lui la prese con delicatezza e la strinse senza mai smettere di guardarla
negli occhi.
- Non
sapevo che saresti venuta anche tu con noi, ma forse è meglio così. Ora,
ragazza mia, sarà meglio che io ti dica tutto per bene. I kallikantzaroi sono
bambini speciali, bambini concepiti in un particolare giorno dell’anno, per la
precisione il 25 marzo alle ore 23, ventitre minuti e ventritre secondi, cioè
l’esatto attimo dell’annunciazione a Maria. Se il concepimento avviene in quel
preciso istante il bambino che nascerà sarà un kallikantzaroi. Alcuni di noi
sono particolarmente buoni e capaci solo di attuare il bene, altri invece hanno
poteri malefici. Ad ogni modo all’età di due anni ogni kallikantzaroi viene
sottratto alla famiglia e portato a vivere su quest’isola. Un posto che nessuno
conosce perché agli occhi umani non esiste. Quest’isola non è segnata su
nessuna mappa ed è nascosta dall’incantesimo della nebbia che la avvolge
completamente in qualsiasi ora del giorno della notte.
- È per questo che veniamo tutti lasciati a
marcire su quest’isola per sempre, perché per nostra infinita fortuna siamo
stati concepiti nel momento sbagliato. Ti rendi conto che è una vera
ingiustizia! – tuonò Theodosia con i pugni serrati.
- Ma non capisco… perché devono restare
confinati anche quelli capaci di fare il bene? Menodora e Georgos mi sembrano
della brave persone e…
- Non ti fidare di loro – la ammonì Nesios.
–Sono loro i nostri carcerieri. Io per fortuna sono riuscito a fuggire, ma non
sono in grado di lasciare l’isola da solo. Come ti ho detto nessuno può
oltrepassare l’incantesimo che avvolge l’isola. È una specie di barriera
impenetrabile, ma unendo i nostri poteri ce la possiamo fare.
- Perché avete deciso di coinvolgere anche me
nella vostra fuga?
- In realtà saremmo bastati noi due soli, ma
quando Nesios ha lanciato l’incantesimo che ha potuto permettermi di uscire
dalla scuola dopo il tramonto, per colpa di un improvviso cambio direzionale
del vento, la magia ha colpito la tua finestra anziché la mia e così ho dovuto
chiederti il permesso. Ad ogni modo sapevo che anche tu volevi andartene da qui
e così…
- Bene ragazze – si intromise l’uomo. –Il
momento è quasi arrivato. Abbiamo solo una mezz’ora prima del sorgere del sole.
Quando la nebbia sta sorgendo è un po’ meno fitta del solito e solo in quel
momento possiamo tentare di lanciare l’incantesimo per aprire il varco.
- Come riusciremo a raggiungere la terra ferma?
– chiese Ineka.
- Oh, avanti ragazzina – la ammonì la compagna. – Usa la testa. Siamo spiriti!
Non hai visto quello che siamo state in grado di fare poco fa!?
Senza perdere altro tempo, seppur poco convinta
di quello che stava per fare, Ineka decise di seguire Theodosia e Nesios. Quell’uomo
non le piaceva, aveva qualcosa di inquietante, ma in quel momento sentiva di
non avere altra scelta se non quella di andare con loro per aiutarli. Una volta
raggiunto Patrasso si sarebbero separati e di Nesios non avrebbe più sentito
parlare, si disse per farsi un po’ di coraggio.
Raggiunsero la riva e rimasero immobili ad
osservare i sole che si stava alzando all’orizzonte. Insieme alla sua ascesa
ecco che anche una leggere foschia si stava sollevando dalle acque.
- Bene ragazze, ora datemi le vostre mani e…
- No! Non fatelo! – La voce severa di Georgos
costrinse le sue ragazze a bloccarsi.
L’uomo era sospeso un paio di metri da terra,
con le braccia incrociate e lo sguardo carico di disappunto.
- Ragazze, vi prego. State per commettere un
grosso errore – confermò Menodora che levitava sulle acqua, proprio davanti al
punto in cui i tre avrebbero dovuto aprire il portale. – Niesos non è affatto
quello che pensate. Per lui siete solo delle ragazze come tante da sacrificare
per poter fuggire da Kalhos.
- Oh, che tu sia maledetta, Menodora! – tuonò
Niesos. –Non riuscirai a fermarmi questa volta – aggiunse, poi prese Theodosia
per un braccio, la sollevò come se fosse fatta d’aria e la scaraventò contro il portale. La giovane
esplose come se fosse una piccola bolla di sapone e il suo sangue, di uno
strano color arancione, intrise il portale. Si aprì uno spiraglio, ma non era
sufficiente per permettergli di attraversarlo e lui lo sapeva.
Menodora congiunse le mani e lanciò una magia
verso la porta magica, ma si stava chiudendo troppo lentamente.
Niesos sapeva di avere poco tempo così afferrò
Ineka e stava per lanciare anche lei quando Georgos gli fu addosso. Tutti e tre
ruzzolarono al suono. Ineka sbatté la schiena con violenza ma, per fortuna era viva e non si era rotta
nulla.
Georgos le intimò di allontanarsi e lei andò a
ripararsi nel fitto della vegetazione, mentre Menodora volava in aiuto del
compagno.
Ineka si rannicchiò dentro ad un cespuglio,
chiuse gli occhi e si coprì le orecchie con le mani per cercare di smorzare le
urla disumane che sentiva emettere ora da Niesos, ora dai suoi insegnanti. Oh,
come aveva potuto essere così stupida, si domandava pregando che tutto finisse
in fretta e per il meglio. Se avesse vinto Niesos lei sarebbe stata la seconda
vittima da sacrificare per la sua libertà, si rese conto iniziando a tremare.
I secondi le sembrarono ore, i minuti settimane
intere, poi finalmente sentì una mano sulla sua spalla e facendosi coraggio
aprì gli occhi.
- È tutto finito, piccola mia – le disse
Menodora aiutandola ad alzarsi.
- Certo che hai corso un bel rischio, ma sei
stata fortunata – la rimproverò Georgos. – Questa non era la prima volta che
Niesos tentava di fuggire, ma per fortuna non ce ne saranno altre.
- Adesso torniamo a casa, Ineka. Abbiamo molto
di cui parlare.
Appena raggiunto l’istituto Manodora dispose che
a Ineka venisse fatto un bel bagno caldo e che poi venisse condotta nel suo
ufficio.
Nel giro di mezz’ora la ragazza se ne stava
raggomitolata sulla poltrona davanti alla scrivania della direttrice con una
tazza di caffè tra le mani e l’aria smarrita.
- Niesos non ti ha mentito. Tu sei davvero una
kallikantzaroi. Tutti i ragazzi che sono nostri ospiti lo sono. Io e Georgos
abbiamo l’incarico di crescervi e di capire quale spirito si nasconde dentro di
voi. Se siete buoni al compimento del ventunesimo anno di età vi viene spiegata
ogni cosa e venite condotti a Patrasso. Da lì potete andare liberi per il mondo
e seguire il vostro cuore e i vostri sogni.
- E se invece un kallikantzaroi ha dentro il
male? – domandò lei titubante.
- In tal caso viene eliminato – rispose Georgos
non fare risoluto. – Theodosia per esempio era candidata all’eliminazione.
Anche Niesos era uno spirito malvagio, ma ci era sfuggito. Per anni gli abbiamo
dato la caccia, ma era protetto da un incantesimo io e Menodora non riuscivamo
a localizzarlo. Da una parte dovremmo ringraziarti per averlo portato allo scoperto.
Ora abbiamo una cosa in meno di cui preoccuparci.
Ineka sentì nascere dentro di sé una domanda che
la faceva tremare fin nel profondo: - Che ne sarà di me?
- Vuoi sapere se sei una kallikantzaroi
destinata a vedere il mondo? O piuttosto condannata dall’eliminazione? – le
domandò la donna sorridendo e la ragazza si affrettò ad annuire. –Oh, mia cara,
solo tu puoi rispondere a questa domanda. Il bene e il male vivono in
equilibrio da sempre, sono due piccole stanze che ognuno di noi ha nel proprio
cuore, ma sta a te decidere quale delle due aprire. Hai ancora due anni da
dover passare con me e Georgos e durante questi due anni sarai tu a dover
decidere del tuo futuro.
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