Alamito
Adagiata nel fondovalle
pietroso, non era altro che un insieme di costruzioni riunite intorno
all’antica chiesetta spagnola. Il sole faceva risaltare alcune casupole bianche
che si mischiavano con altre in legno e pietra porosa.
- E quella sarebbe una città? – disse
Aleardo Pink, sputando un bolo di tabacco. Scorreva del sangue messicano, nelle
sue vene. Eppure non aveva il cuore tenero per i mangiafagioli. Suo padre era
stato un combattente per l’indipendenza del Texas, aveva sposato una bella
contadina di Matamoros che gli aveva dato lui come unico figlio.
- Hai ragione. Se il Texas assomiglia a
una vecchia baldracca seduta, quello è il buco del culo – convenne Keith Whitcomb.
Si era tolto il largo cappello e si asciugava la fronte madida. I suoi capelli
rossicci si accompagnavano agli occhi azzurri: il classico uomo venuto
dall’Est, in cerca di fortuna.
I due, fermi sui loro cavalli in cima
all’arida collina, osservavano l’agglomerato di case. Nel cielo, senza una
nuvola, volteggiavano due avvoltoi. Di sicuro stavano individuando qualche
carogna da spartirsi, ma dovevano essere intimoriti dagli abitanti della
cittadina.
- Sei sicuro che Juan Torres si trovi laggiù?
Keith si rimise il cappello. – Adesso che
hai visto il posto ti tornano i dubbi, non è vero?
- Umana debolezza...
- Eppure le informazioni su Juan sono
attendibili. Se lui ha fatto sosta laggiù, ce lo troveremo; se se ne è già
andato, qualcuno ci dirà dove.
- Mille dollari a testa, se non mi fanno
difetto le tabelline.
- Certo, amico, un bel compenso. – E gli
lanciò un’occhiata di sbieco. Era infatti un prezzo ragionevole per assicurare
alla giustizia un balordo ricercato come Juan Torres: una mezza tacca di
bandito che aveva contribuito a fare un bel po’ di casino dalle parti di
Lubbock.
- A meno che il mangiafagioli ci abbia
fatto fessi… e non sia passato di qui.
- Dubito. Ci sono solo rocce e aride
colline tra il Pecos e il confine con il Messico. Di sicuro sarà passato da
Alamito, se non altro per fare rifornimento d’acqua e sciacquarsi la gola con
un po’ di tequila.
Gli avvoltoi si erano eclissati dietro una
cresta.
- Okay, andiamo.
Cominciarono a scendere lungo il fianco
sassoso della montagnola.
Quando furono alle porte della cittadina,
si resero conto che c’era qualcosa di sbagliato. La via principale, che
cominciava tra due file di bianche casupole in muratura, appariva del tutto
deserta. Strano, non era ancora l’ora della siesta.
Keith e Aleardo misero i loro cavalli al
passo.
- C’è una quiete insolita in questo buco –
disse il primo.
Poi giunse alle loro orecchie quello
strano suono: un battere di legno contro legno, costante ma senza ritmo. Forse
un’imposta che continuava a sbattere. Tuttavia non era possibile senza un alito
di brezza. Il sole di quasi mezzogiorno dardeggiava implacabile.
- Qualcuno c’è, dopotutto, in questa
fetida cittadina di confine – disse Aleardo.
Infatti un ragazzino, seduto sulla soglia di
casa sua, batteva continuamente un nodoso bastone contro la pancia di un
barilotto vuoto.
- Spiegato il rumore – convenne Keith.
Lo osservarono entrambi: teneva il capo
chino e lo dondolava come avrebbe fatto uno scimpanzé. E quel suo picchiare era
alquanto sinistro.
Intanto erano arrivati in prossimità del
saloon. I vetri della finestra erano infranti. La scritta “Dillon’s” pendeva
tutta storta, dando un senso di desolazione e di abbandono.
Smontarono.
- Ehi, guarda come cammina – avvertì
Aleardo.
Il ragazzo stava attraversando la strada,
in diagonale, e veniva verso di loro.
- Sembra una marionetta – osservò Keith,
spingendo il cappello sulla nuca.
Quello veniva verso di loro ma il suo sguardo
era perso nel vuoto
Lo lasciarono avvicinarsi.
- Che vuoi, ragazzo? – disse Aleardo.
Il volto del giovane era pallido, con due
occhiaie scure. Dalla bocca semiaperta usciva un rigagnolo di bava verdastra.
- Oddio! – esclamò il mezzo messicano.
Poi il ragazzino gli si avventò contro e
lo addentò su una guancia.
Keith estrasse la pistola e lo colpì in
una coscia. Quello lasciò la presa e vacillò per un attimo, ma poi si scagliò
ancora contro Aleardo.
- Toglimi questo animale di dosso! –
sbraitò quest’ultimo.
Keith sparò di nuovo, lo beccò in pieno
torace. Ma quello continuava nella sua aggressione. Allora gli fece esplodere
un colpo in testa. Il ragazzo stramazzò al suolo e non si mosse più.
Aleardo imprecò. Il sangue gli sgorgava da una
mano e dalla mascella.
- Vieni, entriamo nel locale – disse Keih,
la pistola in pugno.
Una porta, dall’altra parte della strada,
fu spalancata.
Dalla vecchia chiesetta spagnola venne uno
sgangherato scampanio.
L’interno era nella penombra e nel
silenzio. Vi stagnava un odore immondo. Sedie e tavoli erano rovesciati, come
se ci fosse stata una zuffa colossale.
- Per la miseria! – fece Keith.
Poi videro Juan Torres, il ricercato. Era
spuntato da dietro il bancone. Lo riconobbero subito, perché un raggio di sole,
entrando dalla finestra, illuminava la sua faccia. Ma era anche quella di un
cadavere.
Rimasero immobili, come paralizzati,
osservando il loro uomo scavalcare il bancone con movimenti del tutto
scoordinati. Emetteva rauchi suoni animaleschi. Poi si lanciò su di loro.
Anche Aleardo estrasse la Colt ed entrambi
fecero fuoco. Ma quello avanzava come se fosse colpito da sassolini, inciampava
nelle sedie e subito si raddrizzava, venendo verso di loro con le braccia
protese in avanti.
- Alla testa! – grido Keith. – Spara alla
testa.
Un colpo sulla nuca fece vacillare Juan
Torres, che stramazzò sopra un tavolo sbilenco.
- Via di qui! – ordinò Keith.
Ma fuori li aspettava un’altra sorpresa.
Un capannello di gente circondava i due
cavalli, che nitrivano e scalpitavano in preda al terrore.
Keith, riavutosi per primo dalla sorpresa,
balzò in sella al suo, mentre Aleardo rimase con un piede nella staffa. Una
donna anziana, vestita di nero, e un giovanotto scalzo gli furono addosso. Lei
lo azzannò al collo; lui addentò il cranio.
Il cavallo di Aleardo si alzò sulle zampe
posteriori, emise un nitrito di terrore e prese a correre verso la chiesetta,
trascinandosi dietro il corpo di Aleardo con attaccati i due assalitori.
Keith cominciava a capire l’allucinante
realtà in cui era piombato. Estrasse la pistola e fece fuoco verso quella
marmaglia, mirando alla testa. E prima di spronare il suo cavallo verso la
parte da cui era entrato in città, sentì un dolore acuto a un polpaccio. Un
tizio dalla pancia prominente, con la stella di sceriffo ben visibile sulla
camicia, gli aveva dato un morso bestiale. Gli sparò in fronte, e via.
Nel galoppare verso l’uscita della
cittadina, travolse una giovane donna dai sciolti capelli biondi.
Risalì il versante da cui erano discesi,
lui e il suo compagno, poco prima. La campana continuava a far risuonare i suoi
stonati rintocchi. E quando fu sulla cresta brulla della collina, Keith
Withcomb si chinò sul collo del suo cavallo. Il polpaccio sanguinava e gli
procurava dolori lancinanti.
Prima di
cadere su un lato, privo di vita, vide i due avvoltoi volare ancora nel
cielo luminoso del mezzogiorno. Ma ebbe il fuggevole pensiero che non avrebbero
cercato il suo corpo.
Bellissimo racconto di ispirazione western dell'amico Giuseppe: avvincente, pieno di suspense. Lettura piacevole.
RispondiEliminaUn altro magnifico racconto in stile western di Giuseppe.
RispondiEliminaProsegue il filone western, pian piano Giuseppe, stai contemplando tutti i paesaggi dal nord a sud degli states. bello il racconto, mi ha fatto pensare a "dal tramonto all'alba"
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