(La seguente
pubblicazione raccoglie brevi scritti di vari autori per l’anniversario di
PEGASUS, la cui denominazione era, in origine, Letteratura Fantastica. La
terza e ultima parte comprende racconti di
Cristian J. Caravello, Antonio Ognibene, Daniel Frini, Serena Gentilhomme, Peppe Murro, Jean-Pierre Planque)
IL
RITORNO di Cristian J. Caravello
La gioia perpetua di quel paradiso iniziava a infastidirmi. Una sensazione di inutilità estrema cresceva dentro di me; la percezione di non stare facendo niente.
– Voglio tornare – dissi al vecchio.
– Quelli che vivono nella piena felicità sentono nostalgia della sofferenza – disse l’anziano.
– Non è questo. È che mi sento vuoto, inutile.
– Fare, è doloroso.
– Preferisco il dolore alla noia.
– Ben detto. Devi tornare.
Studiammo insieme lo scenario del ritorno. Il punto esatto. Il posto adatto.
Entrai nella macchina senza esitare. Conoscevo già il viaggio. Era un viaggio verso l’oblio.
Gli operatori iniziarono il conteggio. Persi conoscenza con le luci intermittenti e il ronzio dell’enorme rotore.
Mi svegliai gridando, piccolo, confuso, intorpidito; sospeso a testa in giù, tenuto per i piedi da un uomo in verde che mi dava sculacciate. Con un dolore intenso nella testa e la nostalgia del liquido in cui galleggiavo.
E con questo sogno, che sfuggiva fino a svanire.
La gioia perpetua di quel paradiso iniziava a infastidirmi. Una sensazione di inutilità estrema cresceva dentro di me; la percezione di non stare facendo niente.
– Voglio tornare – dissi al vecchio.
– Quelli che vivono nella piena felicità sentono nostalgia della sofferenza – disse l’anziano.
– Non è questo. È che mi sento vuoto, inutile.
– Fare, è doloroso.
– Preferisco il dolore alla noia.
– Ben detto. Devi tornare.
Studiammo insieme lo scenario del ritorno. Il punto esatto. Il posto adatto.
Entrai nella macchina senza esitare. Conoscevo già il viaggio. Era un viaggio verso l’oblio.
Gli operatori iniziarono il conteggio. Persi conoscenza con le luci intermittenti e il ronzio dell’enorme rotore.
Mi svegliai gridando, piccolo, confuso, intorpidito; sospeso a testa in giù, tenuto per i piedi da un uomo in verde che mi dava sculacciate. Con un dolore intenso nella testa e la nostalgia del liquido in cui galleggiavo.
E con questo sogno, che sfuggiva fino a svanire.
(Traduzione
dallo spagnolo di Giuliana Acanfora)
* * *
CHI MI VEDE? di Antonio Ognibene
Suidi uscì dal cancelletto di casa con due sacchi della spazzatura. Attraversò la strada e si avvicinò a un platano vicino al parcheggio.
Si guardò intorno, poi buttò i due sacchi dietro l’albero. Non li aveva nemmeno chiusi. Lattine di birra, mozziconi di sigarette e resti di pollo, scivolarono sull’erba.
Ritornò in casa con le mani in tasca, fischiettando.
Una sfera di metallo uscì da dietro il platano. Fluttuava a circa tre metri dall’asfalto con il led al centro del globo che cambiava colore, memorizzando nell’hard disk suoni e immagini dell’uomo mentre chiudeva la porta della villetta.
Il sole spuntò da dietro i palazzi del quartiere. Suidi chiuse la porta della casa e salì in auto.
Si fermò vicino a un’altra abitazione e apri la portiera. Svotò il portacenere sul marciapiede. Fuori non c’era nessuno, di vivo.
La sfera spuntò da sopra un tetto. Il led luminoso registrava.
Suidi uscì dal cancelletto di casa con due sacchi della spazzatura. Attraversò la strada e si avvicinò a un platano vicino al parcheggio.
Si guardò intorno, poi buttò i due sacchi dietro l’albero. Non li aveva nemmeno chiusi. Lattine di birra, mozziconi di sigarette e resti di pollo, scivolarono sull’erba.
Ritornò in casa con le mani in tasca, fischiettando.
Una sfera di metallo uscì da dietro il platano. Fluttuava a circa tre metri dall’asfalto con il led al centro del globo che cambiava colore, memorizzando nell’hard disk suoni e immagini dell’uomo mentre chiudeva la porta della villetta.
Il sole spuntò da dietro i palazzi del quartiere. Suidi chiuse la porta della casa e salì in auto.
Si fermò vicino a un’altra abitazione e apri la portiera. Svotò il portacenere sul marciapiede. Fuori non c’era nessuno, di vivo.
La sfera spuntò da sopra un tetto. Il led luminoso registrava.
Suidi inchiodò l’auto
di fronte al giardino. Scese. La mandibola gli cadde sul petto.
— La mia casa — diceva — cos’è successo alla mia casa?
Il terreno era coperto
da mozziconi di cicche e resti di pollo, e al posto della villetta c’era una
lattina di birra alta otto metri. Accartocciata e vuota.
* * *
CRISI DI IDENTITA di Daniel Frini
Con il cambio delle foglie della primavera persi gli occhi e mi vennero le
branchie. Quando arrivò l’estate, le mie dodici braccia si trasformarono in
tentacoli. Al principio dell’autunno apparirono le prime squame, al posto delle
piume. In inverno la mia spiritromba si trasformò in una bocca cavernosa e
lugubre. La primavera seguente i cambiamenti continuarono. Lasciai la
crisalide. Ebbi freddo per la prima volta. Dopo mi vennero i pedipalpi, che
mutarono in denti affilatissimi; e antenne, che dopo furono pinne, e anche
membrane, e palpebre verticali, e dentelli, e opercoli, garretti, corna, cerchi
terminali e cheliceri; mentre le stagioni continuavano a passare.
Il liquido che trasudo, dopo che ha attraversato i miei tre stomaci, e che
rigurgito per alimentarmi, non è nemmeno gustoso.
Io ero un impiegato amministrativo, anonimo, ma senza problemi. Ho perso il
mio lavoro, mia moglie, la mia famiglia e i miei amici. E adesso cosa sono?
Voglio morire. Con la fortuna che ho, manca solo che non esista un
asteroide che si schianti contro il pianeta, e che debba continuare così,
mutando, stagione dopo stagione, fino a chissà quando.
(Traduzione dallo spagnolo di
Giuliana Acanfora)
* * *
VIALE DEL TRAMONTO di Serena Gentilhomme
Calpestando un cumolo di cuscini
argentei, stracciando strati di nembi fragili come seriche lenzuola, l’annosa
Superstar urlava:
– Un tempo mi si
erigevano templi ed anfiteatri, dove una folla in delirio si riversava
prosternandosi ai miei piedi, pronta a tutto, perfino ai sacrifici umani. Tutti
mi veneravano nel mondo, dall’Egitto alla Grecia, dal Guatemala al Messico, dal
Manzanarre al Reno… Ed ora sol posso pianger mia dura sorte…
Segue un concerto di singhiozzi su musica di
Hændel
– Basta! Non ne
posso più. Non c’è più rispetto per le divine stars del passato: gli stupidi
scienziati svelano la mia età, computano – orrore! – le mie protuberanze, le
mie macchie… Peggio, mi tacciano di nana gialla!
Poco a poco, i pianti si mutano in
ruggiti forieri di cataclisma cosmico.
– Ma non finirà così, poveri Terrestri,
ignari d’un fenomeno che i più sofisticati strumenti non possono captare:
cotanta mancanza di rispetto ha fatto esplodere in me una terribile eruzione!
Inginocchiatevi e pregate i vostri Dei – o il vostro Dio, tanto nelle vostre
religioni assurde non ci capisco più nulla… Attenzione, arrivo!
Inceneriti da un olocausto nucleare totale, gli
imprudenti Terrestri non ebbero neppure un attimo per rimpiangere la loro
astronomica impertinenza nei confronti del Sole.
* * *
NARCISO di Peppe Murro
La Moira osservava, assorta,
nel bosco c’erano mille voci
e quel fiume scorreva limpido
bianco e d’argento,
quasi una scheggia di cielo.
La Moira guardava senza dire, senza giudicare;
guardava, da osservatrice qual era.
Narciso stava lì
in contemplazione indicibile di se stesso:
era talmente assorto
che non vide Eros passare
e cercare persone
e invadere il bosco
e invadere il cielo
e scorrere persino lungo il fiume.
Narciso guardava
e vedeva solo stesso,
guardava estasiato il suo fuori
senza capire che era solo il suo vuoto.
nel bosco c’erano mille voci
e quel fiume scorreva limpido
bianco e d’argento,
quasi una scheggia di cielo.
La Moira guardava senza dire, senza giudicare;
guardava, da osservatrice qual era.
Narciso stava lì
in contemplazione indicibile di se stesso:
era talmente assorto
che non vide Eros passare
e cercare persone
e invadere il bosco
e invadere il cielo
e scorrere persino lungo il fiume.
Narciso guardava
e vedeva solo stesso,
guardava estasiato il suo fuori
senza capire che era solo il suo vuoto.
La Moira guardava
e stavolta sì
pensava a Narciso e al suo destino:
non avrebbe mai visto Eros passare
e far tremare il bosco,
non sarebbe mai stato trasportato dal suo fuoco .
La Moira guardava.
e stavolta sì
pensava a Narciso e al suo destino:
non avrebbe mai visto Eros passare
e far tremare il bosco,
non sarebbe mai stato trasportato dal suo fuoco .
La Moira guardava.
Eros passò via.
Il bosco tornò senza movimento
senza fremiti,
forse cadde il silenzio.
Narciso guardava solo se stesso.
Allora
e solo allora
la Moira tagliò il filo
e Narciso cadde nell’acqua.
Il bosco tornò senza movimento
senza fremiti,
forse cadde il silenzio.
Narciso guardava solo se stesso.
Allora
e solo allora
la Moira tagliò il filo
e Narciso cadde nell’acqua.
* * *
IL VOLO di Jean-Pierre Planque
Io scrivo. Allineo le parole.
Non so assolutamente che cosa mi rimproveri.
Ah, sì! Sembra che tutto ciò che scrivo finisce per verificarsi.
È grave, questo?
Sì, a quel che pare! Sembra sia peggio del terrorismo, peggio che gettare una bomba nella stazione di Milano, nel momento in cui si parte per le vacanze!
Ieri ho raccolto un pezzo di gesso nel cortile della passeggiata e ho scritto sul muro della mia cella:
«La pace ad Haiti. Aristide sarà giudicato e Cesare Battisti liberato.»
Io scrivo d'istinto. Non rifletto. Voi sapete che gli uomini di colore mi hanno promesso somme considerevoli di denaro per scrivere cose come : "L'ultra-liberalismo è l'oppio dei popoli" o anche "Vivere è vincere!"
Mi è stato proposto di riscrivere la storia. Ho rifiutato. Scrivo la mia vita mentalmente. La mia cella manda un cattivo odore, nessuno mi chiede in parlatorio. Sono stanco di aspettare.
Ho deciso di scrivere col mio sangue.
Una piccola ferita, quasi nulla.
Esso fluisce, è rosso.
Con l’unghia scrivo:
«Sono un uccello blu nel cielo della Guadalupa.»
Non so assolutamente che cosa mi rimproveri.
Ah, sì! Sembra che tutto ciò che scrivo finisce per verificarsi.
È grave, questo?
Sì, a quel che pare! Sembra sia peggio del terrorismo, peggio che gettare una bomba nella stazione di Milano, nel momento in cui si parte per le vacanze!
Ieri ho raccolto un pezzo di gesso nel cortile della passeggiata e ho scritto sul muro della mia cella:
«La pace ad Haiti. Aristide sarà giudicato e Cesare Battisti liberato.»
Io scrivo d'istinto. Non rifletto. Voi sapete che gli uomini di colore mi hanno promesso somme considerevoli di denaro per scrivere cose come : "L'ultra-liberalismo è l'oppio dei popoli" o anche "Vivere è vincere!"
Mi è stato proposto di riscrivere la storia. Ho rifiutato. Scrivo la mia vita mentalmente. La mia cella manda un cattivo odore, nessuno mi chiede in parlatorio. Sono stanco di aspettare.
Ho deciso di scrivere col mio sangue.
Una piccola ferita, quasi nulla.
Esso fluisce, è rosso.
Con l’unghia scrivo:
«Sono un uccello blu nel cielo della Guadalupa.»
(Traduzione dal francese di Paolo
Secondini)
Ultima parte dell'antologia online Anniversario di Pegasus e ancora una volta scrittori validi e interessanti cui va un grande ringraziamento.
RispondiEliminaComplimenti a tutti gli autori, che adattandosi a un formato così anomalo, sono riusciti comunque a dare il meglio di sé. Bravissimi!
RispondiEliminaGrazie, fu un vero piacere: adoro scrivere barzellette!
RispondiEliminaIl Volo
RispondiElimina[ J'ai écrit ce texte la nuit. Le lendemain, Cesare Battisti était libéré. Ce texte a été publié par Claude Mesplède, spécialiste du polar, dans le n°13 de sa Gazette. Il a été repris par Sergio Gaut vel Hartman dans l'anthologie GRAGEAS - (Cuentos breves de todo el mundo) chez l'éditeur Desde la Gente (Argentine). ]
Merci à tous les auteurs.
Merci, Jean-Pierre!
EliminaTanti bei racconti in duecento parole. Ce n'è per tutti i gusti: divertenti, allucinati, allucinanti, vere allucinazioni, stravaganti, fantastici, fantascientifici...
RispondiEliminaGiuseppe Novellino