Esco dalla stazione e decido di raggiungere a piedi la
casa dei miei parenti. Una passeggiata mi farà dimenticare la noia del viaggio
in treno e recupererò l’appetito. Sono quattro anni che non passo da queste
parti e voglio vedere se questi luoghi hanno conservato il fascino che avevano
nella mia giovinezza.
La strada è fiancheggiata da gelsi tozzi,
sproporzionati e salici vecchissimi. Nella sera di aprile c’è il profumo dei
fiori di salice nell’aria. É un profumo strano che evoca pensieri, ricordi di
anni passati.
Le catapecchie del villaggio che mi sono lasciato alle
spalle appaiono nere contro il cielo rosso. Devo raggiungere il prossimo
villaggio, del quale intravedo a volte il campanile, prima che faccia buio.
Il tempo si va guastando. Nubi scure come vapori si
alzano in fondo alla lunga strada. Uno stormo di cornacchie si levano sopra di
me cantando “rain, rain, rain”.
Arrivo a una casa diroccata. C’è un bivio e sono un
po’ incerto sulla strada da seguire. Più in là un uomo curvo, con gli stivali,
sta mettendo delle lumache dentro un sacco.
“Sono buone, vero?” gli chiedo.
L’uomo alza la testa: “É un cibo indigesto.”
“É questa la strada per Boschi?”
“Tutte e due portano là...”
“Allora questa è la più corta” concludo muovendo
alcuni passi, ma mi arresto subito dopo sentendo il resto delle sue parole: “ma
se fossi in lei non passerei per quella strada...”
“Perché? Se devo andare a Boschi che è a est e questa
strada va verso est non capisco perché devo prendere un giro più lungo visto
che sta per piovere.”
“Perché di là si va dritti all’albero del diavolo.”
“Che cosa? Ah... adesso capisco.”
Probabilmente si riferisce a uno di quegli alberi dove
intorno si facevano i sabba. So che era un’usanza abbastanza comune una volta
in queste terre.
“E che cosa aspettano ad abbatterlo allora?” rispondo
sorridendo.
“Un contadino in cerca di legna da ardere ha provato a
tagliarlo e ha avuto il braccio paralizzato. E alcuni boscaioli hanno
surriscaldato quattro lame di seghe senza riuscire a scalfirlo” prosegue lui
con voce monotona.
Un altro lampo nel cielo. Mi manca il tempo per star
qui ad ascoltare il resto della leggenda. Perciò saluto l’uomo e mi incammino
per la via più breve.
Tutto è fradicio di umidità. Ci sono salici contorti e
avvitati, ceppi di platani bitorzoluti lungo i fossi allagati. Si vede che i
paesani non frequentano molto questa strada; è tutta piena di erbe ormai. La
stradina compie giri tortuosi affondando in mezzo alla vegetazione. Non una
casa, solo distese di campi bagnati.
Il cielo è rosso lungo il fiume e più in alto
compaiono lampi silenziosi. Una luce elettrica tremola nelle nubi gonfie. Le
nubi questa sera hanno forme strane: la faccia di un vecchio, due gatti bianchi
accucciati...
Strada senza fine, stretta, tortuosa. Séguito a
proseguire sotto il cielo piovoso senza quasi più speranza di raggiungere la
mèta.
Ancora un bivio dove sono costretto ad orientarmi per
pura intuizione. Forse, in fondo era meglio se prendevo l’altra strada, più
agevole e sicura. Non ho paura dell’albero, non mi trovo qui per danneggiarlo
ma solo per arrivare a casa prima che si metta a piovere.
Costeggio il lungo muro di una fattoria abbandonata e
all’improvviso lo vedo. É un frassino enorme, con una piramide di lumi posta
alla base. Alcuni sono accesi, molti spenti.
Mi fermo per la sorpresa. Allora non è vero che
nessuno viene più da queste parti. Chissà quante persone ci sono venute di
recente. Ma perché?
L’albero sorge al centro di un crocicchio di quattro
strade. La mia strada deve essere quella di destra e per raggiungerla sono
costretto a passargli davanti.
Con passo più calmo mi dirigo verso il crocevia. Mi
avvicino piano.
É un frassino maestoso, vecchissimo. Al tronco sono
appesi nastri colorati, bicchieri con fiori, cordicelle con nodi, simboli magici.
Le fiammelle dei lumi ardono silenziose accentuando il senso di venerazione.
Adesso capisco perché è temuto. Effettivamente la presenza di questo albero in
questa terra desolata evoca suggestioni e timori.
Sto per arrivare sotto ai suoi rami quando accade una
cosa assurda. L’albero tremola, diventando a tratti fosforescente. Il suo verde
pallido si staglia contro il cielo grigio in un effetto di luce stranissimo.
Apro e chiudo gli occhi più volte per scacciare la
stanchezza. Adesso cadono le prime gocce di pioggia.
Improvvisamente qualcosa emerge su dalle rive di un
fosso facendomi arrestare dallo spavento.
É una ragazza bellissima. Mi saluta con la mano e mi
fa cenno di avvicinarmi. Chi è? Forse mi conosce, ma come è possibile? penso
mentre muovo i primi passi.
É vestita completamente di nero e ha unghie lunghe
smaltate pure di nero.
Più per istinto che per paura taglio in diagonale
attraverso il campo per raggiungere la strada tenendomi il più possibile
lontano da lei.
Adesso che mi sento al sicuro mi volto a guardare ma
non vedo più la ragazza perché l’acqua mi scende giù per il viso. Solo l’albero
scosso dal vento domina la scena mentre sullo sfondo a ovest cade una pioggia
obliqua colorata di verde e di rosso.
Riprendo a correre senza più voltarmi finché vedo la
banderuola a forma di angelo sul campanile del paese. Poco dopo raggiungo la
casa dei miei zii.
Dopo cena, radunati accanto al fuoco, racconto quello
che mi è capitato.
Dapprima si fa silenzio; poi, passato lo stupore lo
zio più anziano prende la parola per spiegarmi che forse si tratta di una
giovane demente rimasta vedova che si aggira a volte per la campagna. Oppure ho
visto veramente il Dio Pan, nel posto dove molti contadini affermano di averlo
incontrato.
Non so cosa pensare. Forse adesso propendo per la
seconda ipotesi.
(Pubblicato per
gentile concessione dell’autore)
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