A Isaac Asimov, per l’ingegno e la sconfinata fede nell’uomo.
«Prima
legge della robotica: Un robot non può recar danno a un essere umano,
né permettere che un essere umano sia danneggiato a causa del suo mancato
intervento.
Seconda
legge della robotica: Un robot deve ubbidire agli ordini impartiti
dagli esseri umani, purché non contrastino con la prima legge.
Terza
legge della robotica: Un robot deve proteggere la propria esistenza,
purché questa autodifesa non contrasti con le altre due leggi».
Isaac Asimov - Le tre leggi della robotica.
1
Effettivamente, quando Liebowsky sosteneva che il panorama occorresse di maggiore illuminazione, non gli si poteva dare torto.
Attraverso l’oblò, il cui diametro
era appena sufficiente a contenere il bordo del cappuccio avvolgente della
tuta, non era possibile beneficiare di sensazioni sublimi, se non attingendo
all’immaginazione. Anche così, soltanto chi fosse abituato a sbirciare il
pianeta rosso da lungo tempo, avrebbe potuto godere del fascino della vista
attraverso la nave.
Neppure Maltese era
particolarmente felice di quella missione, appena a una settimana dalle
meritate ferie, proprio ad agosto, considerando anche che Allegra, sua moglie,
quando lo chiamava da terra, passava la maggior parte del tempo a sua
disposizione per video-maledirlo, ricordandogli le migliaia di promesse non
mantenute tra le quali primeggiavano le visite ai suoi genitori e l’obbligo di
ridipingere i muri della cellula-casa che, da poco, avevano acquistato in
Tailandia.
Così, mentre Liebowsky, il
sovietico freddo e calcolatore dormiva, Maltese spendeva il proprio tempo
libero a considerare quanto inutile fosse la sua presenza lì, nell’atmosfera
marziana.
La nave era frutto di un progetto
innovativo, realizzata in gel rivestito da una sottile pellicola in titanio,
alimentata all’ottantacinque per cento dalle radiazioni emesse dai corpi
celesti, che garantivano energia di propulsione e per il sistema interno.
Maltese, quando non pensava alle
rogne che la moglie gli propinava in video-conferenza, dedicava la maggior
parte del giorno al tapis-roulant
parte delle attrezzature ginniche presenti all’interno dell’uovo.
Correva, cercando di non far caso
ai canti propiziatori di Liebowsky, il sovietico dalla testa pelata che
aborriva ogni manifestazione di gioia, ira, ogni debolezza caratteriale, se non
la noia, il cinismo e che aveva quest’abitudine fastidiosa di cantare
liturgiche canzoni popolari mentre rimetteva a posto i calibratori di quota, i
direzionanti e i sistemi di riaggancio all’orbita del pianeta rosso.
Che gran lavoro!, pensava Maltese,
correndo, sai che abilità!
Tutto quello che il tecnico
asiatico doveva fare, in sostanza, era verificare che A.S.T.R.O. – Automatic
System of Touring Round and Other Observation – ossia il Comandante di
fatto dell’uovo, la macchina pensante che calcolava e correggeva
automaticamente la rotta, ma anche il cervellone che consentiva al tapis-roulant di rollare e all’acqua
minerale liofilizzata di condensarsi in forma liquida, continuasse a rigare
diritto, a mantenersi disciplinato.
Maltese, biochimico, astrofisico e
scienziato al soldo della più importante università privata terrestre, era
stato assegnato alla missione al fianco di Liebowsky, l’ingegnere elettronico,
in rappresentanza della confederazione degli stati asiatici, incaricato di
seguire le prestazioni di A.S.T.R.O., il cuore e il cervello dell’uovo.
Dopo quasi due mesi di giostra
attorno a Marte, i due non si erano scambiati che qualche parola di
circostanza, così diversi anche nel modo di pensare e di considerare la
validità delle macchine calibrate sulle leggi della robotica.
La nave e la tecnologia di
supporto erano il frutto di un sapiente, quanto politico, accordo tra le due
superpotenze, un connubio tra fantasia, innovazione e struttura, che non poteva
fallire, in nessun caso.
L’occidente aveva mantenuto fede
al patto, fornendo lo standard adeguato per garantire la sicurezza durante la
fase del soggiorno a bordo, innescando in A.S.T.R.O., la filosofia tanto cara
agli ingegneri progressisti e ispirata alle secolari e discusse tre leggi della robotica, mutuate,
all’origine, dagli scritti della letteratura fantascientifica ma rivelatesi
estremamente utili e duttili anche in campo propriamente empirico.
Gli asiatici, che non avevano mai
visto di buon grado il positivismo occidentale, pur rimanendo estremamente
agganciati alle tradizionali tecniche del controllo e dei programmi di riserva,
avevano accettato il pacchetto occidentale a patto che a seguire le fasi della
missione fosse un loro uomo di fiducia, un tecnico puro, una mente razionale la
quale, alle prime avvisaglie di insubordinazione della macchina, avesse potuto
registrare le debolezze del sistema, porvi rimedio e riequilibrare le forze
anche una volta esaurito lo scopo del volo ricognitivo attorno al pianeta
rosso.
In queste condizioni non c’era da
stupirsi se Maltese e Liebowsky parlassero tra loro il meno possibile, giusto
ciò che occorreva per concordare, a fatica, sui dati elaborati dalle sonde
satellitari che venivano sganciate di mattina e ritirate al termine del ciclo
solare marziano.
Sui dati registrati dalle sonde e
rielaborati da A.S.T.R.O., tuttavia, non c’erano troppi punti di discordanza
tra i due: la macchina funzionava a meraviglia.
- Da qua non si vede bene, colpa
della densità del vetro degli oblò -, bisbigliava il sovietico, con l’indice
puntato al centro della finestra, mentre Maltese tentava di non ascoltare le
critiche mosse alla struttura della nave e ai materiali utilizzati per
assemblarla.
L’uovo, visto dall’esterno, era
grande poco più di una nave mercantile, a lentissima propulsione standard, ma
capace di riprendere velocità abbastanza celermente, grazie all’ausilio di
motori alimentati a ozono, gestibili solo attraverso specifiche istruzioni da
comunicare ad A.S.T.R.O.. Il programma, difatti, in ossequio alla prima delle
tre leggi della robotica, non avrebbe consentito neppure a un umano di auto
infliggersi un danno, attraverso l’esecuzione di una direttiva sbagliata, che
avrebbe potuto catapultare l’uovo, a velocità eccessive, verso l’orbita del
sole e qui, farlo bollire.
Naturalmente si ragionava per
estremi, dato che né un sovietico, né un europeo avrebbero mai deciso di
sperimentare le calure solari dando un ordine del genere alla macchina.
-Si vede quello che si vede,-
Replicò Maltese, evitando di distogliere lo sguardo dal contachilometri del tapis-roulant.
-Se avessimo una vista migliore,
potremmo decidere di prendere delle immagini digitali per fare quei… come li
chiamate voi? Ah, sì, quei calendari tridimensionali per i vostri bambini…-
Liebowsky si riferiva alla moda da poco esplosa nel continente occidentale di
realizzare calendari tridimensionali raffiguranti pianeti in orbita attorno al
sole, presi da differenti angolazioni, grazie a immagini scattate dalle sonde e
dalle navi impegnate nelle più disparate missioni spaziali e scaricabili
attraverso internet.
Maltese, naturalmente, aveva già
in programma di fare qualche scatto e poi di inserire i valori in A.S.T.R.O.,
per rielaborare un paio di meravigliosi calendari da regalare ai suoi figli e
ai suoi nipoti. Uno scherzetto per una macchina elettronica quale era il
cervello dell’uovo.
Naturalmente, l’osservazione del
sovietico, così pregna di cinismo e spocchia, lo ferì.
-I calendari li comperiamo sulla
terra. Meno sacrificio, più qualità. Non credi, amico mio?- Disse, soffiando
aria dai polmoni sotto sforzo.
Liebowsky si limitò a un’alzata di
spalle.
-Da quando siamo partiti noto
lievi distorsioni di campo -, disse il sovietico, avvicinandosi a Maltese,
sperando che quell’osservazione potesse almeno scalfire la scorza di fiducia
estrema che l’europeo riponeva in A.S.T.R.O..
-Del tipo? -, l’altro soffiò
appena, continuando a tenere sotto controllo il battito del cuore.
-Mi sembra che non collimino i
dati della temperatura e poi…- si interruppe, passandosi una mano sulla pelata.
Maltese, che conosceva bene quel
gesto, dopo due mesi di convivenza nell’uovo, non gli diede corda.
-…e poi, - riprese il sovietico, -
ho come l’impressione che il cervello faccia fatica a controllare il calendario
-.
A quelle parole Maltese arrestò la
sua corsa, girando la manopola della velocità del tappeto, portandola
progressivamente sullo zero. Si fermò, lentamente, muovendo gli ultimi passi in
concomitanza con l’aggrottarsi del suo sguardo.
Fissò il sovietico come se stesse
studiando una nuova forma di alga appena scoperta negli abissi oceanici.
-Il calendario? -, ripeté. Era
impossibile, pensò, che Liebowsky ritenesse A.S.T.R.O., così idiota da
sbagliare a portare il conto dei giorni. Una critica del genere, presumeva, non
poteva che essere il frutto del cinismo portato ai massimi livelli, dato che
quell’asiatico tutto pragmatismo e certezze non aveva potuto appigliarsi a nulla,
neanche un piccolo segnale che alimentasse gli sforzi dei suoi compaesani, a
terra, i quali speravano che l’intelligenza artificiale naufragasse contro gli
scogli del limite logico.
In pratica, Liebowsky e tutti gli
altri studiosi della sua corrente, sostenevano la debolezza delle tre leggi,
destinate a fallire se costrette a passare per quello che veniva definito –
anche su autorevoli riviste scientifiche -, il cunicolo logico, ossia
una strettoia concettuale rappresentata dalla necessità di dover prendere una
decisione originale, seppur ovvia.
Per questi pensatori, Asimov aveva
arbitrariamente aggirato il principale dei problemi collegati alla gestione dei
robot di qualsiasi generazione essi fossero.
Il problema, si rappresentava
fedelmente con l’esempio del frullatore.
Spesso, anche Maltese, aveva
assistito ad alcune lezioni tenute da questi correntisti nell’ambito dei cicli
didattici all’interno delle università pubbliche.
L’esempio del frullatore, era
quanto di più spiacevole potesse capitare di ascoltare a chi sosteneva, su
altro fronte, la solidità della teoria derivata dagli scritti di Asimov.
In sostanza, quando una casalinga
aziona un frullatore e inizia a introdurre i cibi da macinare, spiegavano i
geni del pragmatismo, doveva fare i conti col sistema di auto bloccaggio del
quale la macchina stessa era dotata e ideato, inizialmente, col fine di
impedire incidenti domestici come tagli alle mani, inceppamenti prolungati
delle lame e così via. Niente di più che la riduzione in piccolo della prima legge
della robotica ossia quella per la quale nessun robot può consentire a un umano
di patire danno attraverso una propria azione ovvero una propria omissione.
Ma che succede, sostenevano i
detrattori delle leggi, se la casalinga fosse stata all’oscuro del sistema per
riavviare la macchina?
Tolte le mani dalle lame, tolta la
grossa patata che inceppava il meccanismo, in quale diavolo di maniera si
doveva azionare il trita alimenti? Se le istruzioni mancavano, se la casalinga
non riusciva a trovare soluzione a questo problema, la macchina avrebbe
continuato, serenamente, a starsene ferma e buona, col suo bravo carico di
carote e pomodori che solo coltello e tagliere avrebbero potuto ridurre a polpa
e listelli.
Un danno di poco conto, certo.
Se il problema fosse rimasto
quello del frullatore.
Ma supponiamo, proseguivano i
docenti asiatici, che l’inghippo si verifichi all’interno di una nave colonia,
incaricata di depositare su Marte qualcosa come dieci, ventimila terrestri e
che a causa delle sabbie e dei venti marziani il portellone della nave stessa,
registrando pulviscolo e materiale cosmico in quantità eccessiva per garantire
il successo della missione, decidesse di restarsene chiuso, di non consentire
la manovra di approdo sulla crosta marziana. Fin qui, ben fatto, perché la vita
dei passeggeri della nave poteva essere attentata dalla velocità di impatto
delle nubi sabbiose.
Eppure, qualsiasi membro
qualificato dell’equipaggio, sapeva bene che con una banale manovra fuori
schema, consistente nell’azionare le turbine anti-refrigeranti del sistema
idraulico, era possibile allontanare le polveri marziane e i venti cosmici,
creando una bolla di vuoto artificiale capacissima di garantire lo scalo dei
coloni.
Pertanto, concludevano i teorici
del frullatore, siccome la soluzione non stava nella logica della macchina,
questa avrebbe continuato a tenere il portellone ben chiuso fino al cessare dei
venti marziani, per un periodo lungo circa sette, dieci settimane, con
gravissimo pericolo degli uomini stessi. Ecco, asserivano alla fine i
professori, che la prima legge della robotica finirebbe col ritorcersi contro
l’uomo, poiché per evitare un pericolo di una certa rilevanza, ne avrebbe
ignorato un altro, altrettanto importante, ma solo non immediatamente
prioritario rispetto al primo.
Il problema, secondo i detrattori
di Asimov, avrebbe potuto risolversi solo attraverso l’impiego di congegni di
controllo manovrati manualmente dall’uomo. Affermare questo, significava, in
buona sostanza, ritenere fallibili i robot di ultima generazione e,
praticamente, inutili le tre leggi.
Dunque, le soluzioni pragmatiche,
in conflitto con quelle radicalmente logiche, costituivano il limite alla
gestione totale da parte dei robot ispirati alle tre leggi.
A.S.T.R.O., era una delle macchine
che più delle altre dipendeva dal rispetto dei tre assiomi.
-Tu pensi che il cervello non
riesca a portare il conto dei giorni?-, domandò scettico Maltese, asciugandosi
il collo con un asciugamano, passando davanti al sovietico.
-Al contrario. Credo che ci riesca
benissimo-, rispose Liebowsky, sorvolando sull’atteggiamento tipicamente
europeo del suo collega.
-Allora non capisco di cosa ti
preoccupi-.
-Il calore. Il riscaldamento della
nave-. Disse ancora Liebowsky.
Maltese si fermò al centro della
nave. Buttò un occhio sul termostato. Effettivamente, notò che A.S.T.R.O. aveva
stabilito un programma di riscaldamento eccessivo per le esigenze
dell’equipaggio. Decise, tuttavia, di non darla vinta all’altro ospite della
nave.
-Tu non consideri che il cervello
calcola il calore necessario non solo per noi due, ma anche per le
strumentazioni, a seconda di quello che sarà il clima esterno, secondo le sue
previsioni. Probabilmente ci sarà in arrivo una qualche perturbazione.
A.S.T.R.O. deve aver previsto il passaggio di una corrente ghiacciata, da qui a
qualche ora -.
Mentre diceva tutto questo,
Maltese osservò che il sovietico scuoteva la testa.
-Nessuna corrente ghiacciata in
arrivo. Fuori è tutto calmo. Guarda tu stesso-, disse, indicando di nuovo il
centro dell’oblò, attraverso il quale, sgranata, poteva scorgersi la rossa
sagoma di Marte, cosparsa appena da un filo di polvere poco densa.
-Non possiamo saperlo con certezza
-. Replicò Maltese, deciso a troncare la conversazione.
Il sovietico non se la prese, per
il piglio aspro della risposta ricevuta. Si avvicinò, invece, al pannello di
controllo della macchina. Puntò di nuovo l’indice pallido contro un livello.
-Allora spiegami perché A.S.T.R.O.
ha deciso che, tra quindici minuti, la nave arresterà la sua orbita attorno a
Marte, spegnerà i motori e resterà in questo stato per circa due settimane-.
A questo punto, Maltese realizzò
che l’approccio del sovietico, il quale ora sembrava seriamente preoccupato,
era stato sapientemente calcolato. Comprese che Liebowsky aveva acquisito tutte
queste informazioni tempo prima, col chiaro scopo di metterlo in castagna tutto
di un colpo. Era un simulatore eccezionale.
-Che cosa? E me lo dici
solo ora? – Sbottò, avvicinandosi a lui.
-Dovevo esserne certo. Che mi
dici, adesso, dell’infallibilità di questo arnese?-
Maltese, non sapendo che pesci
prendere, stette zitto.
Si avvicinò ai comandi, pur
sapendo che in fatto di controllo di bordo, era praticamente un neonato di
fronte a un computer di quarta generazione e che Liebowsky, poteva giocarlo
come e quando volesse, circa la lettura del pannello.
Eppure, mentre il sovietico
continuava a indicare la leva del riscaldamento e lo schermo che lampeggiava il
termine massimo di funzionamento dei motori, stabilendo autoritariamente che
tutto il movimento dell’uovo e qualsiasi altra funzione delle strumentazioni di
bordo sarebbero cessate esattamente tra quindici minuti, allo scoccare della
mezzanotte di quello stesso giorno, Maltese scovò un dato che neppure
l’altezzoso Liebowsky aveva notato.
Lungo la striscia al quarzo che
scorreva al di sotto di leve e levette, pulsanti e manovratori di direzione
d’emegenza, lungo questo rettangolo necessario per brevi messaggi di testo tra
stazione di lancio ed equipaggio, passava ora una frase in inglese, elaborata
attraverso le sinergiche formulazioni elettroniche di A.S.T.R.O., una frase
benaugurante, che diceva:
Merry
Christmas!--------------------- Merry Christmas!--------------------- Merry
Christmas!--------------------- Merry Christmas!--------------------- Merry
Christmas!--------------------- Merry Christmas!--------------------- Merry
Christmas!--------------------- Merry Christmas!--------------------- Merry
Christmas!--------------------- Merry Christmas!--------------------- Merry
Christmas!--------------------- Merry Christmas!-------
Maltese non poté trattenere un
sospiro di cocente preoccupazione.
-Buon Natale?- Chiese a se stesso.
Liebowsky, staccato l’indice dai
suoi preziosi indicatori climatici, inarcò un sopracciglio, anch’egli preso
alla sprovvista. Poi si diresse vicino al collega.
-Buon Natale -, confermò.
Un istante dopo, i due umani si
stavano fissando, incapaci di commentare quel comportamento pazzesco del
cervello di bordo, Maltese bloccato su quell’augurio natalizio così fuori
stagione e Liebowsky al quale non veniva in mente nient’altro che un frullatore
inceppato.
2
-Ragioniamo…-, suggerì, dopo
cinque minuti buoni di silenzio, Maltese.
-Si è inceppato, lo sapevo. Chissà
quale diavoleria gli è passata per la mente, ed è andato in tilt -. Disse,
lentamente, il sovietico.
-Non può essere. Lo sa bene che se
spegne i motori, tra quindici minuti, siamo condannati a congelare in
altrettanto tempo! Non può ammazzarci! La prima legge della…-
-La tua prima legge -, lo
interruppe l’altro, - è andata a farsi benedire. Lo vuoi capire? Questo
aggeggio è convinto che siamo a dicembre e non in agosto e che tra quindici
minuti sarà Natale-.
-E allora? Perché spegnere i
motori…-, rifletté a voce alta Maltese.
Il sovietico scosse la testa e gli
poggiò una mano sulla spalla. Questo gesto, fin troppo amicale per uno come
lui, sembrò a Maltese la traccia di una paura sottilmente covata, di un freddo
brivido che serpeggiava anche nell’animo del suo collega, fino ad allora
rivelatosi un professionista della dissimulazione.
-Ragiona. Dove troveresti questa
nave, il venticinque di dicembre?-
Maltese rispettò un doveroso
minuto di silenzio, anche se già conosceva la risposta a quella domanda. –La
troverei ricoverata in un hangar. Se non ci sono in programma missioni di volo,
credo che… oh, Gesù!, no!-
Liebowsky sorrise. Amaramente, ma
sorrise.
-Bravo. A.S.T.R.O crede che tra un
quarto d’ora sarà natale. Siccome non ci sono programmi di volo nella sua
scheda, non dovrà fare altro che rispettare la tabella di marcia e spegnersi-.
-Non… non può essere...-.
-Invece è così. Fidati. Non ci
sono alternative per spiegare il suo comportamento-.
-Ma siamo ad agosto! Non posso
credere che questa scatola di latta abbia fatto un salto di quattro mesi, senza
una giustificazione!- Esplose Maltese, che aveva cominciato a realizzare la
bruttissima situazione nella quale sarebbero finiti tra pochissimo tempo.
Tra quindici minuti esatti, ogni
energia nell’uovo sarebbe stata ricondotta a zero, bloccando, prima di tutto,
il riscaldamento. La temperatura, all’interno della nave, era adesso ferma sui
trenta gradi, anche troppo alta. Ma in brevissimo tempo, forse non più di venti
minuti, il termostato avrebbe segnato la bellezza di meno quindici.
E loro, salvo miracoli difficili a
credersi, sarebbero morti.
-Chi ti ha detto che non c’è una
giustificazione?-, disse il sovietico, mentre armeggiava con i comandi, nel
tentativo di scoprire qualche sistema di controllo manuale in verità del tutto
assente, visto che lo scopo della missione era anche quello di dimostrare
l’assoluta autonomia di un A.S.T.R.O., e la validità estrema delle tre leggi
della robotica, andassero al diavolo anche loro, pensava Maltese.
-Quale giustificazione può
esserci? Dimmelo tu, ingegnere!- Replicò.
-Pensaci-.
In effetti, Maltese proprio non
riusciva a pensare, non in quel frangente e un poco invidiava il suo collega
che mentre toccava i comandi, stava già elaborando una propria teoria
sull’accaduto. Deve essere vero, allora, pensò l’europeo, che stiamo perdendo
l’abitudine a riflettere con la nostra testa, che queste tre leggi basali ci
stanno succhiando ogni forma di autonomia.
-Non lo so, dimmelo tu. Ma fa in
fretta, perché io comincio già a sentire freddo-.
Sul display, quell’inquietante
augurio, Merry Christmas!---------------, continuava a passare, senza
sosta alcuna.
-Eppure è semplice-. Rintuzzò il
sovietico, che intanto aveva rinunciato a cercare manovratori automatici.
-È sicuramente semplice, allora io
sono uno stupido, ma ti vuoi decidere? Non mi sembra che abbiamo troppo tempo
-.
Il sovietico trasse un profondo
respiro e poi parlò.
-Prova a dire ad alta voce: voglio
una banana -. Disse.
Maltese inarcò un sopraciglio.
–Che cosa?-
-Avanti, dillo. Se no lo faccio io
-.
Seppur controvoglia, col solo fine
di sbloccare quel testardo, Maltese parlò.
-Voglio una banana!- disse, a voce
alta.
Immediatamente, dal distributore
del cibo, sbucò un frutto di quella specie.
Il sovietico, trasse la banana dal
fondo dello scivolo, la sbucciò e, in tre morsi, la finì, destinando la buccia
nel contenitore dei rifiuti.
-Hai capito?- Disse, dopo aver
finito di masticare.
-Sinceramente, no-.
-Ecco… io credo che si tratti di…
desideri-. Annuì Liebowsky.
Maltese, osservò distrattamente il
panorama marziano al di fuori dell’oblò e credette di essere perduto. Sul
serio, pensò, se sono nelle mani di una macchina impazzita, che non risponde
alle tre leggi della robotica e in quelle di un ingegnere ammattito, che mangia
banane e parla di filosofia, allora tutto è perduto.
-Moriremo…-, disse, mettendosi a
sedere.
Il sovietico si avvicinò e compì
il suo secondo gesto da essere umano, da quando era iniziata quella missione.
-Ma no, che non moriremo. Sta’
tranquillo -, gli sorrise.
-Allora tu non capisci! Tra
venti minuti, qui dentro ci sarà soltanto brina e noi due, sorridenti, dentro
colonnine di ghiaccio trasparente!-
-Se mi dai ascolto, tutto questo
non succederà-.
Eppure, Maltese, continuava a
guardare la striscia di quarzo che gli augurava buon natale, non trovando
nessun conforto dalle parole del suo algido compagno di viaggio.
3
- A.S.T.R.O! -, chiamò Liebowsky,
una volta sola, dopo aver controllato quanto tempo gli restasse prima del conto
alla rovescia. Mancavano cinque minuti al minuto zero, quello che avrebbe
segnato lo spegnimento delle macchine.
Prima di gridare il nome del cervello, prima di
connettersi in viva voce con A.S.T.R.O., il quale, grazie all’ausilio fonico
avrebbe dialogato con l’equipaggio, il sovietico aveva spiegato la sua teoria a
Maltese il quale, da un iniziale scetticismo, s’era via via lasciato
convincere.
Del resto, che poteva fare altrimenti?
-Quando parliamo tra noi -, aveva spiegato Liebowsky, - la
macchina registra e decifra le nostre conversazioni. E’ tutto previsto nel
programma, non dirmi che non lo sai. Questo sistema consente agli psicologi
sulla terra di capire come reagisce la mente dell’equipaggio alle
sollecitazioni derivanti dalla missione, come stress, fame, sonno,
pericolo,eccetera…-.
Maltese continuava ad annuire, anche se non sapeva dove
volesse andare a parare il sovietico.
-Dunque, io e te abbiamo parlato poco e quando
discorriamo, in genere, finiamo con il pianificare le nostre ferie. Quando
capiteranno, la prossima volta, queste?-
-A Natale. Certo. Abbiamo parlato spesso di come vorremmo
che il periodo natalizio giungesse presto e…, oh, no!- Maltese c’era arrivato,
finalmente.
-Prima legge della robotica: un
robot non può fare in modo che a causa di una sua omissione l’uomo
patisca danno!-
-Lui poteva fare in modo che…-
Maltese si portò una mano alla bocca.
-…che arrivasse Natale, certo. E
l’ha fatto. Così ora io e te, non subiamo il danno della malinconia, della
solitudine. Prima legge della robotica, rispettata!-.
-Rispettata un accidenti! Qui ci
lasciamo la pelle!-
-Ma il sistema centrale non la
pensa così. Per lui, io e te, stiamo per andare in vacanza-.
Dopo un attimo di sconcerto e di
profonda desolazione, Maltese aveva gridato.
-Ma allora basterà ordinargli di
convincersi che non è natale e A.S.T.R.O…
Liebowsky a volte si stupiva di
come fosse impulsivo il suo collega.
-No -. Disse.
-…no?-, Maltese aveva soffiato
aria, deluso per quel netto diniego dell’ingegnere sovietico.
-No. Per A.S.T.R.O, ora è Natale. Non si può ordinare a un
robot di comportarsi contro la logica.-
-Ma la prima legge della robotica,
viene prima, anche della logica!- Sbottò, di nuovo, Maltese, per il quale era
assolutamente impossibile che una macchina lo facesse morire nell’orbita
marziana, soltanto perché era convinta che fosse natale.
-Certo!, tu hai ragione! Difatti,
quando c’è stato da scegliere tra la logica ed evitare un danno psicologico per
noi due, A.S.T.R.O., ha deciso. Ha trasformato oggi nel venticinque dicembre.
Ma ora? Per quale motivo dovrebbe riapplicare questa manovra eccezionale?-
-Perché altrimenti congeliamo! E
se congeliamo, moriamo! E questo cozza con la prima legge!- Disse Maltese,
tentando di convincere il sovietico che, invece, continuava a scuotere il capo.
-No. Perché secondo la logica di
A.S.T.R.O., io e te, ora, non siamo affatto in pericolo, visto che
abbandoneremo la nave e andremo in vacanza. Nessun danno, dunque-.
-Ma potrebbe obbedire soltanto
perché glie lo ordiniamo noi, indipendentemente dal danno!-
-Ti ho già spiegato che queste
vostre stupide macchine, non vanno contro logica, a meno che non significhi
salvaguardare la vita di un uomo-. Concluse Liebowsky.
-Allora, che cosa suggerisci, dato
che non possiamo neppure aprire il portellone perché lo controlla lui?- Aveva
chiesto, allo stremo, Maltese. – Potremmo ordinargli di distruggersi! Ecco! C’è
un unico evento nel quale la nave risponderebbe ai comandi manuali! Se
A.S.T.R.O. venisse distrutto, noi potremmo...- Maltese aveva parlato di getto,
nonostante il sovietico continuasse a scuotere il capo.
-Ancora una volta sbagli. Cosa
dice la seconda legge?- Suggerì, evitando di fargli notare autonomamente
l’errore nel quale era caduto.
- Un robot deve ubbidire agli ordini impartiti dagli
esseri umani, purché non contrastino con la prima legge... – disse, deluso,
l’europeo.
-Difatti. Se noi gli
ordinassimo di distruggersi, A.S.T.R.O., che non conosce il sistema di manovra automatico,
ritenendo che la nave andrebbe alla deriva, anche nel brevissimo tempo che
occorre per spegnere i cicli energetici, senza la sua guida, si rifiuterebbe, per
non arrecarci un danno. No, c’è un’unica soluzione, fidati-. E gliela disse,
questa soluzione.
Il suggerimento fornito dal
sovietico, gli era parso ancora più pazzesco della situazione nella quale si
trovavano.
Del resto, spiegatogli per filo e
per segno il piano, Maltese non aveva saputo obiettare nulla.
Così, ora, Liebowsky, comunicava
in viva voce con il cervello.
-Buongiorno ingegnere…-
rispose la macchina. La voce era neutra, come quella di un normale comunicatore
vocale elettronico.
-Buongiorno un cavolo, maledetto idiota!- Esplose Maltese,
senza che il braccio teso del sovietico potesse impedire quello scatto d’ira.
-Non capisco perché il dottor
Maltese è in urto con me…- disse la macchina.
-Lascia stare A.S.T.R.O.,
ascoltami. Ascoltami bene. Mi senti? Riesci a sentirmi perfettamente?- Chiese
il sovietico.
-La odo benissimo, ingegnere,
parli pure…-
-Bene. Così siamo a Natale…-
Disse, cercando di non sembrare artificiale in quel commento fuori logica.
-Una bella festa, spero siate
contenti…- Replicò cortese A.S.T.R.O.. Prima che Maltese potesse maledire
nuovamente la macchina, il sovietico lo zittì con un gesto deciso.
-Sì, una bella festa. Solo che…-
accennò Liebowsky, sperando che A.S.T.R.O. fosse concepito per anticipare le
farsi lasciate a metà, così come aveva fatto per i desideri irrealizzabili.
-Mi dica, ingegnere, c’è
qualcosa che non va?-
-Beh, a dire il vero sì,
A.S.T.R.O., qualcosa che non va c’è…-
Di nuovo silenzio.
- diglielo… coraggio!,…- Bisbigliò
Maltese, in un orecchio, al sovietico. Ma quello scosse la testa e gli rispose
con un sottile filo di voce, allo stesso modo, in un orecchio. -…ti ho
spiegato che deve arrivarci da solo, altrimenti il rischio che non ci caschi è
altissimo!… lasciami fare!…-
-Cosa posso fare per il vostro
benessere?- Chiese la macchina, senza che trapelasse ansia alcuna da quel
quesito destinato a restare senza risposta.
-Vedi, A.S.T.R.O., tu sai che la
prima legge della robotica impedisce a un robot – e tu sei un robot, giusto?,
giusto -, di arrecare un danno, anche minimo, anche un dispiacere, a un essere
umano, quando questo dipenda da una sua omissione…-
-Conosco perfettamente le tre
leggi della robotica, esse sono in me e io mi conformo a loro…- Replicò, un po’ piccato,
A.S.T.R.O.. Non aveva ben gradito quel richiamo alle tre leggi, fattogli da
Liebowsky.
-Certo che le conosci… Accidenti! Allora, A.S.T.R.O.,
dovresti arrivarci da solo. Analizzando il comportamento di noi umani,
evidenziando tutti i nostri usi, specie collegati al Natale, tu dovresti capire
di cosa stiamo parlando, di quale desiderio non è pienamente soddisfatto…-
-… non ce la farà!…-, bisbigliò Maltese, di nuovo
nell’orecchio del sovietico. Intanto, l’ultimo minuto di energia, stava
esaurendosi.
Il sovietico, invece, gli fece
nuovamente cenno di tacere.
-Devo evitare che a causa di
una mia omissione, lei, ingegnere, e il dottor Maltese, abbiate a subire un
danno… -
-Bravissimo. Fin qui ci sei -. Disse Liebowsky.
Quando terminò l’ultimo minuto di
energia, e i cicli energetici della nave iniziarono a declinare verso il
livello zero, il sovietico disse l’ultima cosa che ritenne necessaria.
-Ora, io e il dottor Maltese, ti
lasceremo riflettere. Quando crederai di essere arrivato alla soluzione,
chiamaci -.
Dopo un solo secondo, la macchina
rispose.
-Lo farò. Ne stia certo…-
Detto questo, il sovietico prese
sottobraccio Maltese e si spostarono in un angolo dell’uovo, incrociarono le
dita.
Tra diciotto minuti, di loro
sarebbe rimasta soltanto quell’espressione di apprensione, ben conservata nel
ghiaccio.
4
Invece, passò soltanto un minuto.
Liebowsky si ricredette circa le
qualità algoritmiche di A.S.T.R.O., nel preciso momento in cui la macchina lo
chiamò.
-Ingegnere, credo di esserci
arrivato…- disse A.S.T.R.O., quando ormai Maltese non ci credeva più.
I due umani si diressero
lentamente verso il comando vocale, cercando di apparire rilassati.
-Allora, dimmi ciò che ritieni di
dovermi dire…-
-Se ho ben capito, invece, siete
voi a dovermi dire qualcosa…- replicò la macchina. Un’emozione fortissima aprì la
speranza nel cuore degli umani.
Liebowsky rifletté un istante e
poi rispose.
-In effetti, la sorpresa è
un’abitudine superata, hai ragione. Ti diremo noi cosa vogliamo…-
Maltese stava per parlare, ma poi
capì che a chiudere doveva essere il sovietico, che c’era ancora la possibilità
che lui tradisse le proprie emozioni.
-Ormai siamo sulla terra, giusto
A.S.T.R.O.? E’ il venticinque dicembre, non hai programmi di volo, concordi?-
Dopo qualche istante, la macchina
rispose.
- E’ il venticinque dicembre, non
ho programmi di volo. Il timer, dice che le energie si sono spente, continuo
solo a rispondere ai comandi vocali. Dunque, siamo sulla terra….-
Liebowsky annuì.
-Tu hai capito ciò che mancava a
questo Natale. Hai capito che è usanza che durate le feste, ci si scambino
delle cose, degli oggetti. Si chiamano regali-.
-Certo… ho capito tutte queste
cose. E ho capito anche che voi due, non volete scambiarvi nessun oggetto,
perché… risultate…
antipatici l’un l’altro… così, non posso evitare che, a causa di una
mia omissione, voi due patiate un danno psicologico…-
Ecco, pensò Maltese, ora va in palla e siamo fregati. Se
crede di non poter nulla contro la prima legge, c’è il rischio che la macchina
frigga i circuiti!
-No!-, disse subito il sovietico.
–Tu puoi fare qualcosa eccome!-
-Lei crede, ingegnere?- Replicò
A.S.T.R.O.
-Ma certo! L’hai già fatto una
volta! Anche se non puoi saperlo, né ricordarlo -.
Ti prego, pensava Maltese, ti
prego…
Dopo altri tre minuti, nonostante
il freddo si fosse fatto pungente, lentamente, i livelli di energia ritornarono
a condizioni ottimali.
Maltese osservò il calendario.
Tredici agosto.
Non si stupì.
Dopo brevissimo tempo, la nave
aveva ripreso la ricognizione del pianeta rosso, come se nulla fosse accaduto.
5
-Quando ha capito che nessuno di
noi si sarebbe scambiato gli auguri -, disse Liebowsky, a pericolo scampato,
-ha compreso che senza la forzatura della logica, avremmo patito un danno
psicologico. Di conseguenza, come la prima volta, ha cambiato le condizioni
basali-.
Maltese annuì.
-Dunque, se siamo vivi dipende dal
fatto che non ti vado a genio! -, sorrise.
Il sovietico annuì.
-Diciamola così. Anche se da oggi
in poi, è mio auspicio che le cose cambino-.
-In meglio!- Chiuse Maltese.
La nave uovo si avvicinò ancora un
po’ a Marte e da quel punto, anche Liebowsky commentò che, in fondo, era
possibile scattare qualche buona fotografia del pianeta rosso.
(Pubblicato per gentile concessione dell’autore)