lunedì 5 gennaio 2015

SEGRETERIA TELEFONICA di Giuseppe Novellino



Edvige era impallidita. Seduta nel divanetto, fissava il cellulare. Il cuore le martellava e una fitta di emicrania si irradiava dalla cervicale.
Aveva già razionalizzato l’accaduto, ma il terrore non l’aveva ancora abbandonata. Aveva lasciato cadere l’apparecchio sul tavolino come le si fosse improvvisamente arroventato nella mano. E adesso la voce di lui era come un’eco minacciosa:
“Sono il tuo ganimede, piccola! Ti aspetto nel nostro nido alle nove di questa sera. Vedi di essere puntuale. Bye, bye!”
Il timbro catarroso dell’uomo risuonava ancora nelle sue orecchie.
Nel momento in cui aveva sentito quelle parole, aveva emesso un grido strozzato. Poi era stata assalita da quel malessere che ora la attanagliava.
Lui era morto ormai da una settimana in un incidente stradale che era risultato per lei provvidenziale. Ma risentire così improvvisamente la sua voce era stata un’esperienza sconvolgente, anche se subito aveva capito: le parole dell’uomo non venivano dall’aldilà, ma semplicemente dalla segreteria telefonica. Erano rimaste registrate in un messaggio di diversi giorni prima, in agguato, pronte a riprodursi in qualsiasi momento.
Impegnò un bel momento a ritrovare la calma. Poi si alzò per andare in cucina a bere un bicchiere di acqua minerale.
Passando accanto allo specchio dell’anticamera, si fermò a guardarsi nella luce incerta del tardo pomeriggio. I graziosi lineamenti, ancora sottolineati dal trucco leggero della giornata lavorativa, le apparivano un po’ contratti, ma testimoniavano sempre quella sua bellezza da attrice. Lo sguardo le cadde sul busto e sui fianchi armoniosamente modellati e non riuscì ad evitare un interiore moto di compiacimento. Ecco, quello era uno dei motivi per cui lui, l’uomo, l’aveva perseguitata. L’altro era il ricatto.
Lasciò perdere la sua immagine riflessa e andò ad aprire il frigorifero. L’acqua fresca le diede un po’ di tono. Si sedette al tavolo di cucina, tenendo il bicchiere fra le mani posato sul ripiano. Fissò le bollicine, riandando con la mente a quei trascorsi giorni di angoscia.
Lui l’aveva presa in flagrante mentre cercava di manipolare dei dati aziendali. Era stata tentata in un’occasione favorevole che le si era presentata durante lo svolgimento di un lavoro straordinario. Non aveva resistito e ci era cascata in pieno. Lui aveva minacciato di denunciarla all’amministrazione; poi, con quel sorrisetto maligno, l’aveva squadrata ben bene. Le aveva chiesto l’equivalente di uno stipendio per risolvere un suo problemino finanziario e poi… il corpo di lei. Edvige non poteva permettersi di perdere quel lavoro così gratificante e sicuro.
Vuotò il bicchiere e tornò in salotto. Dalla finestra aperta entrava una dolce aria di primavera. Si sentivano i bambini vociare nel giardinetto del condominio, mentre il sole calava dietro le colline.
Comodamente abbandonata nel divanetto, fissò il cellulare ancora posato sul ripiano di cristallo.
Rievocò la voce sgradevole dell’uomo. L’immaginazione, ancora in subbuglio per lo spavento, la costrinse a rivivere le sensazioni di quei rapporti forzati, nella squallida stanzetta. Le mani di lui, rigide come quelle di un cadavere, esploravano il suo corpo riluttante. Quando le alitava nelle orecchie, soprattutto nel momento culminante della voluttà, lei provava un puntuale senso di nausea. Ma quello era stato il castigo per avere tentato di cogliere, in maniera disonesta, un’opportunità a sua vantaggio. Per quasi due mesi, Edvige aveva cercato il modo per sfuggire a quell’inferno, ma senza risultati. Poi c’era stato l’incidente. E così lui, l’uomo, era uscito di scena, lasciandola improvvisamente libera.
La sofferenza non era stata inutile. Adesso Edvige si sentiva più saggia, se non altro non avrebbe più commesso errori di quel tipo.
Si protese in avanti e allungò una mano verso il cellulare. Esitò ad afferrarlo. La voce che poco prima ne era scaturita l’aveva agghiacciata. Ma adesso poteva sorridere. Bisognava semplicemente cancellare i messaggi rimasti sulla segreteria.
Finalmente afferrò l’apparecchio e si lasciò ricadere contro lo schienale del divano. Sospirò.
Il display era ancora acceso sulla pagina dei messaggi registrati. Con un certo batticuore cercò quello incriminato. Non solo non c’era, ma non ce ne erano altri. La segreteria risultava completamente ripulita. Possibile?
Freneticamente lavorò con le dita alla ricerca di quello che cercava. Niente. Eppure lo aveva visto comparire nel momento in cui aveva nitidamente udito la voce dell’uomo, minacciosa e beffarda.
Ora non c’era più.
O non c’era più… da alcuni giorni?
Un alito di brezza entrò dalla finestra spalancata, sì, come in un altro momento analogo, sette giorni prima. Ecco, ricordava. Era proprio seduta, come adesso, nel divanetto del salotto, il giorno che aveva appreso dell’incidente. Aveva parlato al telefono con Sonia, una sua collega di ufficio. Poi aveva ripulito la segreteria da tutti i messaggi, compresi quelli di lui.
Ma allora… la voce di poco prima…
Se avesse avuto davanti uno specchio e avesse visto la sua faccia, Edvige avrebbe lanciato un grido di terrore.

1 commento:

  1. Un horror efficace, suggestivo, coinvolgente, come nelle caratteristiche di Giuseppe. Ottima narrativa.

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